Il rapporto Bergier nei commenti della stampa
Ampio risalto, venerdì sulla stampa elvetica oltre all'analisi delle perdite milionarie ed ai licenziamenti annunciati da Swissair, alla presentazione dei primi otto volumi che accompagneranno il rapporto finale della Commissione indipendente di esperti Svizzera-Seconda guerra mondiale, presieduta da Jean-François Bergier.
La Svizzera ha collaborato, annota nel suo commento il Tages Anzeiger, ma lo ha fatto “in un modo tipicamente svizzero”. La prima impressione che si ricava, leggendo gli otto volumi del rapporto Bergier, è che il nostro paese ha sempre cercato di mantenere aperte tutte le opzioni: “da un lato, si era preparata ad una vittoria della Germania nazista e, dall’altro, aveva cercato di non dimenticare gli Alleati”.
Un esempio lampante, secondo il quotidiano zurighese, lo si ritrova in campo finanziario: “la Confederazione ha sostenuto la guerra dei nazisti con un credito di oltre un miliardo di franchi che, all’epoca, corrispondeva a ben un decimo del budget federale”. Una somma che non ha probabilmente prolungato la guerra, ma che ha permesso di tenere a distanza la Germania nazista.
Ma come mai, pur avendo violato in questo modo il principio della neutralità, “la Svizzera e soprattutto la sua élite non è riuscita ad ammettere già molto prima i suoi sbagli”, si chiede ancora il Tages Anzeiger? Forse perché ci si vergognava di riconoscere questa politica estera filonazista di fronte ad una popolazione, uscita indenne dalla guerra.
Per la Neue Zürcher Zeitung, che dedica oltre 5 pagine alla rapporto della Commissione indipendente, “il governo ha cercato di evitare ogni decisione politica, permettendo nel contempo a imprese ed enti pubblici di proseguire i loro accordi con la Germania”. I principali servizi che la Svizzera ha prestato ai nazisti riguardano la piazza finanziaria, il transito, le forniture di armi e di elettricità. Anche per la NZZ, in alcuni di questi ambiti è stata violata la neutralità.
Purtroppo, rileva ancora il quotidiano zurighese, il rapporto Bergier non fornisce chiarimenti sull’influsso che hanno avuto la mentalità e l’atteggiamento dell’élite elvetica. A questo punto, conclude la NZZ, è importante mantenere in vita una sensibilità storica, soprattutto da parte delle imprese coinvolte con il nazismo, che avevano approfittato della situazione di guerra per espandere le loro attività.
Anche il Bund si sofferma in particolare sulle implicazioni delle aziende svizzere con il regime nazista. Le relative indicazioni del rapporto Bergier non solleveranno comunque un atteggiamento di rivolta. La calma relativa attuale è dovuta, da una parte, al fatto che si è ormai stanchi di indignarsi. E, d’altra parte, “il ruolo della Svizzera durante la Seconda Guerra mondiale suscitava maggiore interesse fino a quando vi erano pressioni finanziarie dall’estero”.
Bisogna comunque stare attenti, sostiene il giornale bernese, a non abbandonarsi nella calma e nell’indifferenza. Occorre invece utilizzare gli insegnamenti della storia per il futuro e prendere atto del fatto che la Svizzera è diventata ora “più normale”. Negli ultimi anni sono stati infatti progressivamente smantellati i vecchi miti, secondo i quali il nostro paese era riuscito ad evitare la Guerra, soltanto per la sua stretta neutralità e per la sua disponibilità a resistere.
E proprio alla calma che ha accolto la pubblicazione degli otto volumi della Commissione Bergier è dedicata l’interessante la riflessione che Jean-Jacques Roth propone nell’editoriale di Le Temps. Il quotidiano romando dedica alla ricerca storica l’intera settima pagina. “Lo straordinario -scrive infatti l’editorialista- non sta nel contenuto degli studi che la Commissione Bergier ha presentato ieri a Berna, ma nella calma che li accoglie”.
Certo, la natura prettamente economicistica dell’indagine storico-diplomatica non indulge proprio alla lettura leggera. Ma argomenti come quelli sviscerati dagli otto tomi, che spaziano dagli accordi di clearing fra la Svizzera e le potenze dell’Asse, oltre al commercio di opere d’arte in fuga o confiscate, continuando poi per tutta una serie di temi soprattutto di natura economica, ecco argomenti di questa natura, con le immancabili molteplici letture che potrebbero presentare, avrebbero suscitato forti polemiche nella Confederazione solo pochi anni fa.
Ed è quello che riconosce ed evidenzia ancora Jean-Jacques Roth nel suo editoriale su Le Temps: “solo tre anni fa, la più piccola prova di condiscendenza elvetica avrebbe sollevato una levata di scudi. Oggi, invece, anche lo storico Saul Friedländer, membro della Commissione, dichiara che queste ricerche affinano lo sguardo, ma non accecano”.
Richiamo in prima pagina e sesta pagina interamente dedicata agli studi storici sulla Svizzera dal 1939 al 1945 anche su 24 heures, dove Alain Pichard riporta in evidenza una frase del presidente della Commissione, Jean-François Bergier: “Coloro che hanno ammassato dei veri e propri profitti di guerra sono stati veramente pochi”. Il giudizio del quotidiano losannese si può riassumere nella battuta d’apertura dell’articolo scritto dal giornalista vodese: “Tra il 1939 ed il 1945 gli svizzeri lavoravano per l’Asse durante la settimana, mentre alla domenica pregavano per la vittoria degli alleati”.
Ampio spazio sul Blick, giornale di colore che nel titolo centrale pone l’accento su “La Svizzera forniva ai nazisti i colori”, riferendosi al colore rosso per le bandiere naziste, colore che sotto il nome di Polarrot, rosso polare si potrebbe tradurre in italiano, veniva fornito dall’industria chimico-farmaceutica basilese Geigy al Terzo Reich. Uno degli innumerevoli rapporti economici e d’affari tra la Svizzera e la Germania hitleriana, analizzato negli otto volumi presentati dalla Commissione Bergier.
Sotto il titolo “Niente di molto nuovo”, il quotidiano svizzero degli affari e della finanza Agefi pubblica un articolo firmato dal giornalista della Liberté Serge Gumy, il quale evidenzia come “attori pubblici e privati non si trovino nello stesso paniere. Attori pubblici -scrive ancora il giornalista friborghese- che in generale hanno servito onestamente e fedelmente gli interessi del Paese, mentre gli attori privati, banchieri, commericianti, industriali, assicuratori, si sono mostrati soprattutto attenti ai risultati ed al futuro delle loro aziende”.
Infine i tre quotidiani della Svizzera Italiana sacrificano il lavoro della Commissione Bergier al disavanzo ed ai tagli occupazionali preannunciati di Swissair. La Regione, oltre agli articoli nelle pagine interne, propone anche un commento a firma Silvano De Pietro, dal titolo “Resistere adeguandosi”, commento nel quale l’autore evidenzia come una delle conclusioni di questi primi otto dossier sia quella che “la Svizzera ne esce senza infamia né lode”.
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