Il surrealismo e la rivoluzione delle immagini
Il Fotomuseum di Winterthur presenta la mirabile esposizione “Sovversione delle immagini”, che attraverso un raggruppamento di oltre 400, tra foto, documenti e film, s’interroga sull’uso che i surrealisti hanno fatto della fotografia e dell’immagine animata.
Pensavamo che dopo “l’Amour fou”, la mostra organizzata nel 1985 a Washington da Rosalind Krauss e Jane Livingstone – proposta anche a Parigi con il titolo “Explosante-fixe” – e le numerose riflessioni che studiosi e storici dell’arte hanno prodotto negli ultimi anni sulla fotografia surrealista, non restasse molto di nuovo da aggiungere su una delle avanguardie artistiche più interessanti del primo Novecento.
Ma “Sovversione delle immagini – Surrealismo, fotografia e cinema”, l’esposizione in corso al Fotomuseum di Winterthur fino al 24 maggio, organizzata e presentata lo scorso settembre al Centro Pompidou di Parigi, costringe a ricrederci. Tesi di fondo di questa imponente rassegna è che la poetica surrealista avrebbe trovato proprio nella fotografia e nell’immagine animata la sua espressione più diretta.
Questa mostra ambiziosa, che si è avvalsa delle competenze di ben 5 curatori, ha raggruppato un numero esorbitante di fotografie, film e documenti. Tanto che a Winterthur – dove da fine febbraio ha già richiamato oltre 12.000 visitatori – essa occupa tutti gli spazi del Fotomuseum, compresi i locali adiacenti alla Fondazione Svizzera della Fotografia, che accolgono 5 delle 9 sezioni di cui è composta.
«Volevamo veramente che fosse, e ci auguriamo che lo sia, un’esposizione che marchi la sua epoca e faccia il punto sul rapporto tra il surrealismo, la fotografia e il cinema» ha dichiarato Quentin Bajac, conservatore del Centro Pompidou, in occasione dell’apertura a Winterthur.
Una mostra dal carattere enciclopedico
Pur riconoscendo all’evento del 1985 e agli studi che l’hanno accompagnato il merito di aver tessuto un tassello importante nella comprensione della fotografia surrealista, l’equipe di curatori di questa nuova rassegna suggerisce una lettura che ne rinnova in un certo qual modo l’iconografia.
«Sono trascorsi ormai 25 anni da quando “l’Amour fou” è stata proposta negli Stati Uniti e in Francia e ci è sembrato doveroso presentare questi temi alla nuove generazioni», ha sottolineato Quentin Bajac. «Tanto più che in questi anni le ricerche della fotografia sono evolute e abbiamo ritenuto fosse giunto il momento di fare il punto. Abbiamo così voluto dare a questa esposizione un aspetto enciclopedico in modo che in essa vi si potessero ritrovare tutte le forme di fotografia praticate dai surrealisti».
Del resto non va nemmeno dimenticato che nel corso degli ultimi 30 anni il Centro Pompidou si è fortemente impegnato nella riscoperta e rilettura della fotografia surrealista, tanto da mettere insieme una delle più belle, vaste e importanti collezioni esistenti al mondo sulla storia di questo movimento; collezione che oggi, costituisce la base di questa curatissima esposizione resa possibile anche dal contributo del Fotomuseum.
Un approccio diverso all’iconografia surrealista
Alcune parti della mostra dell’85, come il ruolo svolto dai documenti o l’interesse accordato a nozioni quali il gruppo o la forma sono state riproposte, ma in “Sovversione delle immagini” è stato adottato un approccio funzionalista che s’interroga più sull’uso e le pratiche che la fotografia e l’immagine in movimento hanno svolto per i surrealisti.
Gli usi ludici, documentari o sperimentali emergono in maniera approfondita in ognuna delle 9 sezioni. In “Teatro senza ragione”, dove il paradosso diventa gioco, sono raccolte ad esempio le numerose messe in scena fotografiche -ma anche i collage- che mostrano il carattere artificioso della costruzione delle immagini.
Mentre nella sezione “Pulsione scopica” l’inquadratura e la visione ravvicinata – resa possibile proprio dall’uso del mezzo fotografico – permettono di isolare gli oggetti o le parti del corpo al punto da consentirne un’osservazione intima e quasi sensuale, rivelando il mondo surreale e nascosto dei soggetti.
Estensioni geografiche e contenutistiche
Cronologicamente l’esposizione si concentra sulla prima generazione di artisti, cioè quella operativa tra le due guerre- ma non è circoscritta al gruppo parigino riunito attorno ad André Breton. Essa allarga lo sguardo oltre i confini francesi, mettendo in luce l’internazionalità del surrealismo.
Oltre agli scatti più famosi di Hans Bellmer, Claude Cahun, Raoul Ubac, Jacques-André Boiffard, Maurice Tabard e naturalmente Man Ray -di cui non manca “Le Violon d’Ingres” (1924), la foto-icona surrealista in cui, grazie alla sovrapposizione delle due effe tipiche dei cordofoni, il dorso nudo di Kiki de Montparnasse è metamorfizzato in un violoncello- sono ad esempio esposte anche le immagini oniriche dell’artista ceco Jindrich Styrky o del messicano Manuel Alvarez Bravo.
Sono presentate inoltre foto inedite e collage pressoché sconosciuti di Paul Eluard, André Breton, Antonin Artaud, George Hugnet, ma anche le immagini pubblicate su libri, riviste e giornali, principali diffusori del pensiero surrealista. E ad aprire la mostra troviamo, numerose, le giocose foto-tessera tanto amate dai surrealisti e usate per rimarcare il carattere collettivo delle loro azioni.
Oltre al campo geografico la mostra ha esteso anche quello contenutistico associando alla fotografia l’immagine animata e presentando una serie di filmati e cortometraggi realizzati da Man Ray, Germaine Dulac e Luis Buñuel del quale spiccano due perle rare del cinema surrealista, “Un Chien Andalou” e “L’âge d’or”.
Sovvertire le immagini per sovvertire con le immagini
Se l’eterogeneità di tecniche, pratiche e attori rendono le produzioni surrealiste irriducibili alla nozione di stile, il filo rosso che unisce il vasto corpus di questa rassegna è, come sottolinea anche il titolo, il carattere sovversivo dell’immagine.
«Le immagini surrealiste possiedono una dimensione molto ludica, ma contengono anche preoccupazioni sociali e politiche», ha sottolineato Bajac. «I surrealisti avevano un fondo rivoluzionario, volevano cambiare la vita e pensavano che per farlo, bisognasse dapprima introdurre una rivoluzione nella rappresentazione e nelle immagini.»
Quindi la famosa frase di Breton «è grazie alla forza delle immagini che col tempo, potranno compiersi le vere rivoluzioni» dimostra che i surrealisti avevano piena coscienza del potere rivoluzionario della fotografia e del cinema: erano certi che per ottenere dei cambiamenti sociali e politici profondi fosse necessario iniziare con la trasformazione del ‘vedere’.
Paola Beltrame, swissinfo.ch, Winterthur
È un movimento culturale nato negli anni venti a Parigi che ha coinvolto le arti visive la letteratura e il cinema e ha profondamente segnato la cultura del 900. Suo capofila e principale teorico fu lo scrittore e poeta André Breton.
Mossi da motivazioni ideologiche prima ancora che estetiche i surrealisti rifiutarono la nozione di autonomia dell’arte e concepirono l’attività artistica come strumento per esprimere “il funzionamento reale del pensiero”.
Nel primo manifesto surrealista del 1924 Breton definì il surrealismo come un “automatismo psichico” ovvero quel processo in cui l’inconscio emerge anche nello stato di veglia e permette l’associazione libera di parole, pensieri e immagini.
Considerata la più onirica delle manifestazioni artistiche, la poetica surrealista nacque come critica radicale alla razionalità cosciente ma si manifestò anche come ribellione alle convenzioni culturali e s
“Sovversione delle immagini – Surrealismo, fotografia e cinema” rimarrà aperta fino al 24 maggio al Fotomuseum di Winterthur. Presentata precedentemente al Centro Pompidou di Parigi, dopo Winterthur la mostra farà tappa anche a Madrid dove sarà ospitata dalla Fondazione Mapfre dal 16 giugno al 12 settembre 2010.
La mostra propone oltre 400 tra fotografie, documenti e filmati. Accanto ai più noti rappresentanti della fotografia surrealista -tra cui Man Ray, Hans Bellmer, Claude Cahun, Raoul Ubac, Jacques-André Boiffard, Maurice Tabard- sono esposti collage fotografici pressoché sconosciuti di Paul Eluard, André Breton, Antonin Artaud, George Hugnet, e i giochi fotografici del mitico precursore del «Noir» Léo Malet. Particolare risalto viene dato a personalità intriganti come quelle di Hartur Harfaux e Benjamin Fondane.
In mostra anche una decina tra film e cortometraggi realizzati da Man Ray, Germaine Dulac eLuis Buñuel tra cui spiccano “Un Chien Andalou” e “L’âge d’or”.
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