In alto, sempre più vicino alla luce
La Fondazione Beyeler di Basilea rende omaggio a Giovanni Segantini, uno dei più significativi innovatori del paesaggismo in pittura, con una mostra che mette in luce il ruolo pioneristico dell’artista in seno al modernismo..
Può sorprendere che la Fondazione Beyeler sempre molto orientata all’arte classica e moderna francese, tedesca e americana abbia scelto di rendere omaggio all’opera di Giovanni Segantini (1858-1899), uno dei più amati pittori della montagna di fine 800.
Ma come ha sottolineato il direttore del museo Sam Keller nel corso della conferenza stampa, “questa mostra risponde a un vecchio desiderio di Ernst Beyeler, che non fu soltanto un appassionato uomo di montagna ma anche un convinto assertore della modernità di Segantini.”
Tra i grandi maestri dell’arte moderna
L’universo idilliaco e denso di spiritualità degli armonici paesaggi agresti di Segantini -che colgono con sensibilità profonda e toccante la vita dei semplici nel loro rapporto con l’ambiente circostante e il mondo animale- e il chiarore cristallino dei suoi scorci alpini, hanno fatto di lui uno dei più grandi esponenti della tradizione paesaggistica.
Ma se le immagini allegoriche delle sue tele permettono di considerare Segantini uno dei principali rappresentanti del simbolismo europeo, non bisogna dimenticare che la ricercata luminosità dei suoi dipinti, ottenuta grazie alla tecnica divisionista, rappresenta il suo personale e determinante contributo alle correnti avanguardiste del nuovo secolo.
Non è dunque un caso che le 8 sale in cui sono state suddivise le 75 opere di Segantini scelte per questa mostra, si intreccino con gli spazi che accolgono quadri di grandi maestri del paesaggio quali Cézanne (1839-1906), Monet (1840-1926) e Van Gogh (1853-1890).
Riconquistato consenso
In vita il successo di Segantini fu straordinario ma intorno agli anni 20 l’interesse per la sua opera calò drasticamente. Per molto la critica si focalizzò solo sui contenuti della sua pittura e visto che la religiosità del mondo contadino era considerata sempre più un tema obsoleto, Segantini venne giudicato superato.
“Dopo la guerra vi è stata una riscoperta di questo artista, ma è con la pubblicazione nel 1982 dei 2 volumi del catalogo generale delle opere di Segantini di Annie-Paule Quinsac e in seguito con la mostra di Trento e Zurigo che Segantini ha riguadagnato ampi consensi”, spiega a swissinfo uno dei curatori, Guido Magnaguagno.
Fu lo stesso Magnaguagno a curare nel 1990 la grande retrospettiva di Zurigo. “In quell’occasione -ci dice- vennero presentate 125 opere. Oggi, qui alla Beyeler, non ci sono molti quadri ma la scelta è straordinaria e i disegni sono meravigliosi. Ma la differenza la fa anche il museo: questi spazi aperti inondati di luce, offrono uno scorcio sul paesaggio reale e sono particolarmente adatti ad accogliere l’opera di Segantini.”
Una vita da romanzo
L’esperienza umana di Segantini, come la sua arte, sembra esser nata sotto il segno dell’ascesa. Un inizio difficile e pieno di stenti il suo, ma che grazie a uno spirito curioso, sensibile e libero, a un grande talento, a una volontà di ferro e a una buona dose di coincidenze fortunate si è trasformato in poco tempo in una vita di successi.
Nonostante la povertà, la morte prematura dei genitori, l’affidamento a una sorellastra che gli è probabilmente estranea quanto Milano, la città in cui approda ancora bambino; nonostante la fame, la solitudine, l’abbandono, gli anni del riformatorio, Giovanni Segantini, trova la via dell’arte. Si forma all’Accademia di Brera stringendo amicizia con diversi artisti e intellettuali e il contatto con un ambiente culturalmente fertile stimola la sua applicazione allo studio, con uno sforzo quasi eroico per un analfabeta.
Il fortunato incontro con Bice, sorella del compagno di studi e futuro designer Carlo Bugatti, permette a Segantini di non procedere più solo. Nel 1881 l’affiatata coppia -che non si potrà mai sposare per la condizione di apolide di Giovanni- si stabilisce nella pianura brianzola, da dove riparte nell’86 alla volta di Savognin insieme ai 4 figli nati nel frattempo. Nel piccolo paesino delle montagne grigionesi la famiglia rimane fino al 1894 per poi trasferirsi ancora più in alto, nello chalet Kuoni, al Maloja, in Engandina.
Dalla pianura alle alpi alla ricerca della pura luce
La presentazione cronologica scelta per questa mostra permette di seguire passo a passo i luoghi del peregrinare della famiglia e anche di osservare le trasformazioni che questi spostamenti hanno prodotto nell’arte di Segantini.
Nei ritratti, nature morte e paesaggi urbani del periodo milanese, influenzati dalla scuola lombarda, Segantini adotta una pittura realistica, più nel rispetto della tradizione che della ricerca. Ma opere come Il Naviglio o Ponte San Marco (1880), ci dice la pronipote Diana Segantini, co-curatrice della mostra, contengono già i germi delle scelte future. “Questo è un quadro stupendo con una positività esplosiva, in cui i colori, l’azzurro splendente del cielo e il rosso vivo del palloncino, fanno pensare più a un’opera tardiva”,
Nel passaggio in Brianza le sue tele si riempiono di vita agreste -il lavoro nei campi, il pascolo, la tosatura e la filatura- e la luce della regione dei laghi le arricchisce di un realismo ispirato. Qui nascono opere come A Messa prima (1885-86) o Ave Maria a Trasbordo (1886), uno dei suoi capolavori, in cui vita campestre e sentimento religioso si fondono in un’armonia esaltata dalla forza luminescente dei colori applicati per la prima volta secondo quella che fu la sua tecnica divisionista.
Il desiderio di tradurre nei suoi paesaggi una luminosità più viva e reale spinge l’artista tra le montagne grigionesi. La natura pennellata nei quadri di questo periodo si fa bucolica, le figure – portatrici d’acqua, pastorelle, ragazze in costume tipico-, di cui è quasi sempre modella Baba, la giovane che aiuta la famiglia Segantini nelle faccende domestiche, sembrano affiorarvi in modo magico. Tra i bellissimi esempi troviamo Ritorno dal bosco (1890), esemplare per il suo approccio al colore monocromatico o Mezzogiorno sulle Alpi (1891) in cui è riprodotta con grande maestria la radiosità della luce alpina.
Alle porte di un mondo invisibile
Ma il mistero della luce spinge l’artista ancora più in alto, nel cuore delle alpi engadinesi dove scopre nuovi soggetti e interessanti atmosfere. La luce intensa dell’alta montagna e la bellezza del paesaggio danno vita a dipinti come Primavera sulle Alpi (1897) e ad opere dal carattere più simbolista come La Vanità (1897).
La ricerca di quegli anni culmina nell’imponente Trittico delle Alpi (1896-99) -composto da Vita, Natura, Morte-, troppo grande e delicato per lasciare il museo di St. Moritz dove è custodito. La mostra ne propone però una spettacolare versione grafica che insieme agli altri numerosi disegni rivela il grande e poco noto valore dell’opera grafica di Segantini. Nonostante le altezze e le grandi dimensioni dei dipinti l’artista continua a dipingere en plein air. “Il suo atelier era in mezzo alla natura”, sottolinea Diana Segantini. “Per esaltarla, lui la natura doveva respirarla, doveva viverla fisicamente.”
Difficile prognosticare a quali cambiamenti stilistici l’avrebbe condotto la sua ascensione alle vette. Segantini muore infatti prematuramente, a soli 41 anni, nel fulcro della carriera per un attacco di peritonite. La ricerca di una luce pura l’aveva spinto a salire agli oltre 2700m dello Schafberg, una delle cime che sovrasta Pontresina. Ironia della sorte, stava ultimando proprio la terza tela del Trittico.
Ma per Magnaguagno in opere come la Morte e ancor più in Paesaggio alpino (1899) sono già presenti le tracce di un nuovo linguaggio. “La ricerca di pura luce è stata una via verso la spiritualità, verso un mondo non visibile e se Segantini fosse vissuto più a lungo, sarebbe approdato certamente all’astrattismo come hanno fatto Kandinsky, Mondrian, Malevič e altri dopo di lui.”
Giovanni Segantini nasce nel 1858 ad Arco, allora sotto la dominazione austriaca e oggi in provincia di Trento. Orfano a 7 anni, viene affidato alla sorellastra Irene che vive a Milano e richiede l’annullamento della nazionalità austriaca senza inoltrare la richiesta per la naturalizzazione italiana, così che Giovanni resta apolide tutta la vita.
Arrestato per vagabondaggio nel 1870 è rinchiuso nel riformatorio Marchiondi. Vi esce 3 anni dopo per essere affidato al fratellastro Napoleone che lo impiega nel suo laboratorio fotografico a Borgo Valsugana.
Un anno dopo torna a Milano e s’iscrive all’Accademia di Belle Arti di Brera. Si sostiene insegnando disegno al Marchiondi e lavorando nella Bottega del decoratore L. Tettamanzi. Le sue prime opere sono influenzate dal linguaggio verista lombardo.
Il suo lavoro viene notato dalla critica durante la mostra nazionale di Brera del 1879, dove incontra V. Grubicy che diverrà suo consigliere, mercante e principale agente. Nello stesso anno incontra Luigia Bugatti, detta “Bice”, sua compagna per la vita.
La coppia s’installa prima in Brianza, dove tra il 1882-86 nascono 4 figli, e poi si trasferisce a Savognin tra le montagne del Canton Grigioni. Qui, spronato da Grubicy, e prendendo spunto dal poitillisme francese sviluppa la tecnica divisionista. In 2 anni la sua fama è consolidata anche all’estero.
Nel 1894 la famiglia si trasferisce allo chalet Kuoni al Maloja -in alta Engadina- e il paesaggio montano costituisce il fulcro dei suoi lavori per gli anni che gli restano da vivere. Muore nel 1899 in seguito ad un attacco di peritonite.
La mostra dedicata a Giovanni Segantini in corso alla Fondazione Beyeler di Riehen presso Basilea, rimarrà aperta fino al 25 aprile. L’esposizione raggruppa 45 tele e 30 disegni appartenenti a tutti i periodi creativi dell’artista.
Sono presenti opere esposte raramente e alcune di cui si erano perse le tracce e recuperate grazie a un’accurata ricerca della pronipote Diana Segantini. L’esposizione è arricchita da foto, lettere e documenti provenienti dagli archivi privati degli eredi.
Tra i prestatori figurano la Fondazione Otto-Fischbacher Giovanni Segantini, il Museo Segantini di S. Moritz, la Fondazione Svizzera Gottfried Keller, il Kunsthaus di Zurigo e il Bündner Kunstmuseum di Coira, ma anche musei milanesi e statunitensi e numerose collezioni private.
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