L’arte dei popoli d’Alaska in mostra a Zurigo e a Friburgo

La più antica e la più bella collezione d'arte di popoli amerindi è quella degli"indiani" Tlingit d'Alaska, che il Museo Rietberg di Zurigo presenta con una grande esposizione. Nel contempo, la Banca cantonale di Friburgo mostra nei suoi locali la Cerny Inuit Collection.
Nel 1714, lo zar Pietro il Grande creava a San Pietroburgo un gabinetto d’oggetti d’arte (la “Kunstkammer”), il primo museo russo, che sarebbe poi divenuto l’attuale Museo etnografico. Gli oggetti che vi venivano man mano raccolti e custoditi erano quelli che nel corso del XVIII e, in gran parte, del XIX secolo, esploratori,cacciatori di pelli e commercianti portavano dall’Alaska, affascinati dalla cultura delle locali tribù indiane dei Tlingit.
Si tratta di una collezione che oggi è di valore inestimabile, poiché quella cultura è scomparsa dopo che l’Alaska fu venduta dalla Russia agli USA nel 1867. I Tlingit esistono ancora; ma non vivono in riserve, dove avrebbero potuto conservare gli oggetti e le tradizioni della loro cultura. Per giunta, con il colonialismo (l’Alaska è diventato il 49.mo stato dell’Unione soltanto nel 1959), con le spoliazioni di terre, le razzie, gli insediamenti e la cristianizzazione, gli statunitensi fecero di tutto per reprimere la cultura dei Tlingit e vietarne persino l’espressione.
Oggi i discendenti di quella tribù si sono organizzati e lottano per i loro diritti. E una certa riparazione gli viene finalmente offerta con la riscoperta e la rivalutazione della loro antica cultura. Merito anche dell’artista tlingit Nathan Jackson, che in una tenda nel parco del Museo Rietberg scolpisce e intaglia sotto gli occhi dei visitatori un totem indiano di sette metri.
La straordinaria mostra che viene da San Pietroburgo è suddivisa in tre gruppi tematici. Il primo tratta lo sciamanismo, con le maschere, i sonagli, gli amuleti. Il secondo illustra lo spazio vitale (le coste frastagliate del Pacifico del Nord, che godono di un clima mite e piovoso) e l’organizzazione sociale delle due tribù di Tlingit: i Corvi e le Aquile. Il terzo tema è quello della società di guerrieri, quali erano i Tlingit, come testimoniano le numerose maschere che servivano ad incutere timore.
L’arte dei Tlingit si distingue per il linguaggio formale molto stilizzato, intensamente decorativo ed impressionante. Le loro sculture in legno testimoniano di una tecnica estremamente raffinata ed i loro oggetti in vimini sono tra i più fini che siano mai stati creati. I copricapo e, soprattutto, le maschere degli sciamani in legno dipinto, alcune delle quali ornate con parure sontuose, sono particolarmente affascinanti. E rimane difficile sottrarsi alla potente e persino demoniaca suggestione che emanano.
L’esposizione dà un’idea del mondo materiale e spirituale nel quale vivevano i Tlingit. È l’occasione di scoprire una civiltà eccezionale, praticamente sconosciuta in Europa e che restò incontaminata dall’uomo bianco fino al XVIII secolo. Due salette di proiezioni di video e di diapositive permettono al pubblico di “viaggiare”nel paese dei Tlingit. L’esposizione rimarrà aperta fino al 6 maggio.
La Cerny Inuit Collection, presentata dalla Banca cantonale di Friburgo, è invece una raccolta di oggetti d’arte degli eschimesi (“inuit” significa “uomini” ed è il nome che si danno gli eschimesi), prima acquistata e poi completata con passione da una coppia svizzero-canadese.
Si tratta di sculture in pietra saponaria (steatite), litografie, monili, zanne di tricheco incise ed alcuni utensili. I motivi evocano episodi collettivi (costruzione di igloo, smembramento degli animali cacciati, spedizioni in slitta, allestimento di accampamenti, feste) o illustrano le leggende. L’esposizione – che durerà soltanto fino al 18 marzo – è accompagnata da un video, da documentazione e da diverse manifestazioni collaterali.
Silvano De Pietro

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