L’usura del sistema capitalista
In «La fine del denaro», il drammaturgo basilese Urs Widmer denuncia «un sistema economico che deraglia». A far da sfondo alla sua pièce, attualmente in scena al teatro di San Gallo, sono Davos e il World Economic Forum (WEF). Intervista.
Quando l’opera teatrale inizia, il WEF si è appena concluso. Siamo a Davos. In scena un banchiere, un imprenditore, un vescovo, un consigliere federale… Sono venuti al Forum per pronunciare i loro discorsi. A lavoro concluso, attendono la loro automobile, che non arriva. L’attesa si prolunga. Interminabile. È un blocco. Un blocco di fantasia, ovviamente, ma che la dice lunga sulla crisi economica che lo scrittore basilese Urs Widmer, 75 anni, interroga nella sua ultima opera La fine del denaro.
Coincidenza temporale: questo spettacolo, che Widmer definisce una «metafora apocalittica», è in scena proprio in questo periodo al teatro di San Gallo, e si sovrappone quindi in pieno all’attualità più scottante.
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swissinfo.ch: La fine del denaro è per lei la fine del capitalismo?
Urs Widmer: No, non per forza. Quello che voglio dire con ‘fine’ è in questo caso l’usura del sistema capitalista, o meglio la sua perversione. Tutte le cifre verdi che vedete comparire sugli schermi dei computer nelle banche e nelle borse, è del denaro virtuale, che non esiste. Nessuno sa né cosa rappresentano queste somme, né dove vanno. È diventato un sistema ‘religioso’. Mi fa pensare alla Chiesa cattolica ed al suo capo, il Papa, che non sa molto bene dov’è Dio e nemmeno come funziona.
swissinfo.ch: Possiamo sostenere che il WEF è una commedia tragica come quella raccontata nella pièce?
U.W.: Non mi spingerei così in là. Tanto vale dirlo subito: il mio scopo non è attaccare il WEF, ma tentare di sapere chi sono i grandi dirigenti di questo pianeta che vediamo a Davos. Sono uomini che commettono idiozie o sono al contrario persone di buona volontà che offrono un contrappeso alle ingiustizie sociali? Se osservo da vicino ciò che è successo al WEF in questi ultimi anni, mi dico che coesistono un po’ tutte e due le tendenze.
Ciononostante, non è il WEF in sé che bisogna mettere in causa, ma tutto un sistema economico e finanziario che deraglia. Questo tracollo non è recente come si pensa. È stato scatenato da Margaret Tatcher e Ronald Reagan, che hanno liberalizzato di tutto e di più. È stato allora che le banche hanno cominciato a comportarsi come se fossero dei casinò.
Urs Widmer nasce a Basilea nel 1938.
Studia lingue germaniche e romanze e storia alle Università di Basilea, Montpellier e Parigi.
Nel 1966, ottiene un dottorato per il suo lavoro sulla prosa tedesca del dopoguerra.
Inizia allora la sua carriera come lettore, prima da Walter Verlag ad Olten, poi da Suhrkamp Verlag in Germania.
Lascia rapidamente il mondo dell’edizione, ma non la città di Francoforte, dove si stabilisce come scrittore dal 1967 al 1984.
Scrive critiche per il quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, ed è direttore di conferenze di letteratura moderna tedesca all’Università di Francoforte.
La sua carriera di scrittore inizia con il racconto Alois, pubblicato nel 1968.
La sua opera comprende romanzi, saggi, racconti e pièce teatrali.
Secondo i critici, la forza della sua opera risiede nella sua capacità di trasformare in satira o in parodia le banali storie della vita.
La sua pièce Top Dogs, una satira sociale creata a Berlino nel 1997, ha avuto uno strepitoso successo internazionale.
Altro successo internazionale è il suo romanzo L’uomo che mia madre ha amato.
È membro delle accademie di Darmstadt, Bensheim, Berlino e Graz.
swissinfo.ch: Come legge il comportamento degli ex dirigenti dell’UBS in relazione allo scandalo Libor?
U.W.: Cinque anni fa, il nostro coraggioso saggista Jean Ziegler usava la parola ‘bandito’ per parlare dei banchieri. L’attualità gli dà ragione. Oggi constatiamo che alcune banche funzionano in parte come un’organizzazione criminale. Detto ciò, appartengo innanzitutto al mondo del teatro. Penso dunque che davanti al comitato parlamentare britannico, gli ex dirigenti di UBS hanno inscenato un’immensa commedia, penosa da guardare.
swissinfo.ch: La politica e la finanza costituiscono un terreno scivoloso raramente calcato dai drammaturghi. Si considera un rivoltoso che si avventura su questo terreno nonostante tutto?
U. W.: No, non mi percepisco come un rivoltoso. La rivolta non è il mio motore. Quello che m’interessa è la tensione creata dalle opinioni e dalle volontà divergenti dei personaggi. Ed il teatro è un genere aggressivo, che permette questa tensione. Prendete ad esempio Shakespeare o Brecht. Hanno saputo mostrare molto bene lo scontro di opinioni. Anch’io lo faccio alla mia maniera, in modo modesto. Con la differenza che in Shakespeare il potere erano i re. Oggi, il potere è la finanza, ed è quella che io metto in scena.
swissinfo.ch: Max Frisch e Friedrich Dürrenmatt hanno riflettuto molto sul potere e i suoi malefici. Si sente vicino a loro?
U.W.: Sono legato a loro dalla mia identità svizzera. Ma devo ammettere che penso raramente a questi due scrittori.
swissinfo.ch: Ha comunque un punto i comune con loro, denuncia un sistema che non funziona…
U.W.: Sa, scrivere oggi una pièce come «La fine del denaro» non è facile. Perché? Perché nella realtà tutti i grandi responsabili si assomigliano, sono anche interscambiabili, mentre a teatro i personaggi devono tutti essere ben definiti, capaci, per l’autore, di creare una tensione. Frisch e Dürrenmatt hanno vissuto in un’epoca in cui il mondo economico contava dirigenti con un’identità ben precisa, che potevano incarnare una parte da ‘eroe’.. I miei due predecessori hanno avuto quest’opportunità. È la differenza tra me e loro.
(traduzione di Francesca Motta)
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