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La Biennale di Szeemann: una grossa fetta d’umanità

Harald Szeeman all'apertura della 49esima edizione della Biennale Keystone

Organizzata per la seconda volta da Harald Szeemann, la Mostra internazionale di Venezia ha aperto i battenti questo fine settimana con un'offerta ulteriormente ampliata: nuovi spazi espositivi sono stati integrati nella Biennale che presenta le opere di oltre 110 artisti provenienti da una cinquantina di paesi. Per il curatore svizzero della grande rassegna d'arte è già tempo di bilanci.

Harald Szeemann aveva già nella passata edizione del 1999, significativamente intitolata dAPERTutto, sfondato barriere e inaugurato non solo nuovi spazi espositivi nel grandioso complesso dell’Arsenale, ma anche aperto i cancelli della prestigiosa mostra ai giovani, alle donne e agli artisti orientali.

Per mantenersi ai livelli della Documenta di Kassel, quest’anno la Biennale si è allargata ulteriormente, ospitando una quantità enorme di opere in competizione e una partecipazione eccezionale di paesi con o senza padiglione ufficiale. L’ambizione della Biennale del 2001 è proprio quella di mettere in scena se non proprio tutta l’umanità, almeno una fetta rappresentativa.

A Harald Szeemann, che si vanta della sua totale indipendenzaè spettato in questi anni il difficile compito di traghettare nel ventunesimo secolo la prestigiosa mostra, riportandola ad essere la prima nel mondo. Nuove strutture sono state create per dilatare e diversificare gli spazi creativi, che il direttore ha sfruttato appieno per attirare sempre più artisti da tutto il mondo, per riuscire a rappresentare non tanto una corrente o l’altra, ma il più possibile la diversità e anche la contradditorietà del mondo in cui viviamo.

Essere stato nominato per due mandati consecutivi alla Biennale di Venezia è già di per sé un record. È alquanto improbabile quindi che al curatore svizzero venga rinnovato il contratto alla scadenza, nel marzo prossimo. Si parla già dunque di era Szeemann e della sua successione.

Harald Szeemann si ritrova quindi già sollecitato a parlare di bilanci. In che misura innanzitutto ritiene di aver completato la sua missione alla Biennale con questa 49esima edizione, intitolata “Platea dell’Umanità”? Stanco ma contento, Szeemann confida a swissinfo di sentirsi nel complesso soddisfatto, dopo un lungo sforzo dovuto anche a lotte interne, oltre che alla volontà di presentare le opere di ben 111 artisti con esigenze molto specifiche – soprattutto quando si tratta di istallazioni multimediali.

Quali sono stati, rispetto a due anni fa gli elementi nuovi, emersi nel mondo dell’arte contemporanea, che ha voluto evidenziare nella “Platea dell’Umanità”? Per quest’anno Szeeman ammette di non aver neppure tentato di trovare una parvenza di filo conduttore, rispetto anche alla precedente edizione in cui si poteva ancora rintracciare una tendenza post-minimalista e un certo gusto per il metaforico (emblematica a questo proposito la grande opera all’entrata che rappresentava dei topi enormi).

Nel 1999, con dAPERTutto, aveva infatti cercato di mantenere una coesione tematica centrale minima, soprattutto per gli artisti europei, alla teatralità, aprendo poi all’interno della mostra delle brecce, in particolare verso l’Asia (con la scelta appunto di esporre molti artisti cinesi in spazi autonomi, per non trattarli come esotici). Per l’esposizione del 2001, Szeemann confessa invece di aver avuto difficoltà a rintracciare artisti che potessero riempire grandi spazi con la loro opera.

Quello che di nuovo il direttore ha semmai intravisto nel mondo dell’arte contemporanea è una maggiore concentrazione su di un tema da parte degli artisti. Due anni fa la mostra fu, secondo lui, più poetica. La sfida è stata trovare, in poco più di un anno, altri cento artisti rappresentativi del proprio tempo. Ma, a suo parere, li ha trovati: l’artista tipo di quest’anno è ancora più giovane rispetto alla passata edizione. Ed è così giovane da poter rappresentare non solo il presente, ma anche il futuro dell’arte.

In questo senso, Szeemann avanza un paragone con la fantascienza: “Più si procede verso il futuro, più rispuntano i dinosauri”. Il riferimento è ad un mostro sacro della rivoluzione artistica degli anni 60, Joseph Beuys, con cui, non a caso, ha inizio la mostra di quest’anno.

La sua utopia sociale, destinata sì ad essere sconfitta proprio perché utopia, è comunque uno degli ultimi punti fissi di riferimento dell’arte contemporanea e, con il riemergere di movimenti antiglobalizzazione in tutto il mondo, anche della cultura giovanile in senso più generale. L’opera di Beuys “La fine del XX secolo” apre la porta alla Platea dell’Umanità, legando idealmente passato e futuro. Questo è l’arco principale che ha voluto mettere in luce Szeemann con la sua mostra di quest’anno.

Ma ci sono anche riferimenti, rimandi continui all’interno della mostra, che il pubblico scopre anche in relazione al proprio background o alle proprie conoscenze di storia e che sono a volte, nell’omologazione culturale sempre più evidente anche nelle arti visive, ancora spiegabili dal punto di vista nazionale. Ad esempio gli artisti svizzeri Com&Com che presentano uno pseudo-film hollywoodiano sul mito di Guglielmo Tell.

Altre due opere sono citate invece da Szeemann come esempio di qualcosa cui tutti possono identificarsi, senza bisogno di spiegazioni o rimandi culturali, sentendosi toccati e coinvolti in prima persona. Non solo spettatori ma anche protagonisti, come vorrebbe, nel suo programma, quest’edizione della Biennale veneziana.

Innanzitutto vi è il video di un giovane artista portoghese che mostra una scuola di aspiranti “top models”. Ad uno ad uno vanno verso la telecamera e ripetono frasi come “Devo avere coraggio, perseveranza”. Quello che dicono è però in contrasto con la loro evidente mancanza di coraggio. Un gruppo di giovani deboli, preoccupati solo dell’apparenza, quanto mai lontani dal profilo dell’eroe possente tanto caro a generazioni passate. Il pezzo ha una sua forza drammatica e parla del desiderio collettivo di superare se stessi, le proprie debolezze.

Un’altra installazione presenta invece interviste con alcuni personaggi famosi e meno (da Berlusconi, all’assistente di Bill Clinton, ad un artista handicappato e molti altri), sul tema della paura. Un tema che tocca quindi un gran numero di persone. Secondo Szeemann si intravvede in questi due esempi come l’artista abbia davvero saputo scendere tra la platea e confrontarsi con l’umanità.

All’apice della sua carriera, ora Szeemann si prepara a nuove sfide: organizzare mostre è per lui “un’ossessione”. Quindi, che si tratti di organizzare esposizioni ciclopiche come la Documenta (cosa che fece a soli 39 anni) o la Biennale di Venezia, oppure ancora mostre più piccole, Szeemann vi lavora in ogni caso al massimo dell’intensità. E continuerà a farlo anche quando avrà smesso di essere il re della Biennale di Venezia.

Raffaella Rossello

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