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La comunicazione non verbale degli antichi

Contenitore in terracotta a forma di coppa, Sicilia, 340 a.C. circa © Antikenmuseum Basel

Con la mostra «Ermes invece che SMS», dedicata alla comunicazione nel passato, il Museo delle Antichità di Basilea ha trovato un modo intelligente e curioso per richiamare l'interesse del pubblico sulla sua collezione permanente.

È un problema che tocca un po’ tutti i musei quello di dover relegare nei depositi gran parte delle proprie collezioni, sebbene spesso esse contengano veri e propri tesori. Il Museo delle Antichità di Basilea ha voluto ovviare temporaneamente al problema mettendo in piedi una piccola ma curata e divertente esposizione.

«Si tratta di una mostra con oggetti della nostra collezione», ci spiega Andrea Bignasca, vicedirettore del museo. «Come accade anche in altri musei, la collezione permanente di solito non viene visitata più volte, così abbiamo cercato di valorizzarla presentandola con un tema di assoluta attualità, come quello della comunicazione.»

Ma se nella nostra era giornali, televisione, computer, cellulari ci hanno abituati ad una comunicazione chiara e veloce anche a distanza, come dobbiamo immaginare sia stata quella degli antichi? Come interagivano uomini e donne nella famiglia o in pubblico? Come comunicavano i maschi negli ambienti a loro soli riservati, come la palestra, l’agorà o le tende militari? Come avveniva la comunicazione del potere? Che relazione avevano gli antichi con le divinità e con il mondo dell’aldilà?

La comunicazione per immagini

«Ermes invece che SMS» propone alcune risposte e soprattutto permette di capire quali siano stati nell’antichità i canali usati per lo scambio di informazioni e quali i codici, riconosciuti da tutti, sottostanti alla comunicazione.

La cosa principale che queste opere raccontano sul tema oggetto della mostra è che la comunicazione tra gli antichi, oltre che in modo verbale e diretto, avveniva principalmente attraverso le immagini, perché saper leggere e scrivere, allora era un privilegio di pochi.

«Tutto doveva funzionare attraverso le immagini», sottolinea Bignasca. «Immagini che si incontravano nei luoghi pubblici e privati – cioè nelle piazze, nei santuari ma anche nelle case – in forma di sculture, rilievi, pitture parietali o anche sottoforma di immagini dipinte su vasi. E queste sono anche le immagini più importanti che abbiamo nell’esposizione, oltre a una serie di sculture e rilievi funerari.»

Come un filo di Arianna

A darci il benvenuto sulla soglia dell’edificio centrale che raccoglie la metà degli oggetti presentati, non potevamo trovare simbolo più esplicito a sottolineare il tema della mostra, che una scultura in bronzo di Ermes, il messaggero degli dei della mitologia greca.

Sempre all’entrata un tabellone raccoglie alcune immagini che illuminano sul significato dei diversi tipi di gesto utilizzati nelle rappresentazioni figurate. Scopriamo ad esempio che mettersi una mano sulla fronte significa in generale dolore; che alzare la mano destra di fronte ad un pubblico significa tenere un’allocuzione davanti a qualcuno; che la mano di un uomo sotto il mento di una donna è un gesto di tenerezza riservato agli sposi.

Gli oggetti presentati in quest’area – una quarantina – sono suddivisi in sezioni tematiche che sottolineano quali erano i codici della comunicazione tra uomo e donna, tra soli uomini o sole donne, ma anche come avveniva la comunicazione politica o con le divinità e il mondo dei morti.

Il tema è poi documentato da altri 40 esempi disseminati lungo un percorso espositivo che si snoda come un filo di Arianna in tutte le sale della collezione permanente. A contraddistinguere gli oggetti c’è un numero e un logo speciale colorato che, insieme a un piccolo catalogo dato gratuitamente all’entrata, ne facilitano il ritrovamento.

La comunicazione tra uomo e donna o tra soli uomini

Tra le opere esposte vi è ad esempio una splendida coppa attica del V secolo a.C. in cui è dipinta la figura di un maschio mezzo nudo con la lancia in mano di fronte a una giovane donna. «Dalla loro posizione si riconosce quali sono i canoni di comportamento», ci spiega Bignasca. «Lui si presenta in maniera eroica, e fissa negli occhi la controparte; lei è completamente vestita, si tiene un po’ indietro e guarda verso il basso.»

«Questo era il comportamento che gli ateniesi si aspettavano da una donna per bene che doveva sposarsi. Lo sguardo delle donne e delle ragazze era considerato un’arma estremamente pericolosa, perché erotica, e quindi da evitare assolutamente in pubblico.»

La scena dipinta su un’altra coppa attica sempre del V secolo – che l’esposizione ha scelto come logo – ci fornisce invece un esempio della comunicazione tra soli uomini. Si tratta di un’immagine scolastica nella quale si vede il maestro intento a scrivere su una tavoletta di cera, mentre l’allievo, nudo, lo guarda con aria vergognosa.

«Tutta questa scena ha sicuramente anche un sottofondo erotico», precisa Bignasca. «Ed è in effetti risaputo che nell’Atene del V secolo, il rapporto educativo, sia nella scuola che nell’esercito, poteva anche implicare un rapporto omosessuale.»

La comunicazione politica e quella con l’aldilà

Per l’analisi della comunicazione politica gli organizzatori hanno proposto una serie di ritratti di imperatori romani. «La comunicazione degli imperatori avveniva in maniera capillare», ci spiega Bignasca. «I loro ritratti venivano riprodotti in grandissima quantità e in tutti i formati – sia per l’uso privato che pubblico – e spediti in tutte le province dell’impero.»

Tra i ritratti presentati vi è un piccolo busto in bronzo con delle evidenti ammaccature sul volto, che ritrae Caligola, noto come uno dei peggiori imperatori dell’antichità. «Questo busto è stato ritrovato nel Tevere e le tracce sul viso fanno supporre che il proprietario abbia prima rovinato il bronzetto e poi lo abbia buttato nel fiume, riservando al ritratto di questo imperatore la damnatio memoriae per cancellarne completamente il ricordo.»

Della comunicazione con l’aldilà ci parlano invece i rilievi di una serie di steli funerarie. Tra queste ve n’è una proveniente dalla Beozia, una regione della Grecia centrale, che mostra un uomo anziano nell’atto di consegnare uno strumento musicale ad un giovane.

«Non vi è nessuna iscrizione, ma siamo sicuri che questo personaggio anziano è morto. Prima di morire, in maniera simbolica, consegna lo strumento della sua arte alla generazione futura perché questa musica non vada perduta. E dietro quest’immagine c’è anche un grande senso di speranza nel futuro», conclude Bignasca.

Paola Beltrame, Basilea, swissinfo.ch

«Ermes invece che SMS» rimarrà aperta al museo delle Antichità di Basilea fino al 15 agosto. L’esposizione propone circa 80 oggetti appartenenti alla collezione del museo, tra cui sculture, steli funerarie, vasi e coppe dipinte.

La metà degli oggetti sono presentati in un edificio centrale e i restanti sono da cercare nelle diverse sale della collezione permanente.

Il tema della comunicazione degli antichi è stato suddiviso per ambiti e genere. Viene distinta la comunicazione privata da quella pubblica, ad esempio quella nella famiglia e nella politica; ma anche quella tra uomo e donna, tra soli uomini e sole donne, quella con i morti e con le divinità.

«Ermes invece che SMS» è stata realizzata per colmare il vuoto causato dal rinvio di un’imponente esposizione prevista a febbraio sugli scavi svizzeri di Eretria, che verrà presentata a partire dal 22 settembre.

Questo contrattempo ha convinto il museo a riempire i pochi mesi a disposizione presentando una piccola mostra che mettesse in luce la sua collezione permanente, purtroppo sempre meno visitata dal pubblico.

Accurata e curiosa, «Ermes invece che SMS» è una soluzione intelligente, per ricordare al pubblico e ai conservatori che non esistono solo le grandi esposizioni temporanee ma che anche i tesori di casa hanno molto da raccontare e da insegnare. E a volte basta uno sforzo minimo e intelligente per renderli più appetibili.

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