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La musica dentro

Una scena della Lucia di Lammermoor (Festival Avenches) avenches.ch

Debuttare a 21 anni alla Scala, calcare i palcoscenici più prestigiosi e inventarsi un paio di festival per portare l'opera tra la gente. È il percorso del basso Sergio Fontana. Il 16 luglio, l'ultima nota della Lucia di Lammermoor segnerà il suo addio all'arena di Avenches.

Il festival di Avenches è una sua creatura. Gli spettacoli all’Arena di Verona erano una realtà già dal 1913, ma a nessuno era mai venuto in mente di sfruttare il più grande anfiteatro romano costruito a nord delle Alpi per delle rappresentazioni liriche. Poi è arrivato lui, Sergio Fontana, e ha fatto vibrare le pietre millenarie del sonnecchiante villaggio vodese al ritmo della marcia trionfale dell’Aida. Era il 1995.

«L’arena era vuota da duemila anni, l’acustica buona. Il mio è stato un tentativo; è andato bene», racconta con semplicità, come se non avesse fatto nulla di straordinario. Eppure questi 16 anni hanno cambiato in modo deciso il volto dell’estate di Avenches. Il festival è ormai diventato un bene collettivo e al suo successore, Sergio Fontana lascia una macchina ben oliata.

«Non ho consigli da dare a chi verrà dopo di me. Ognuno ha le sue idee». Certo è che Eric Vigié – l’attuale direttore dell’Opera di Losanna e futuro direttore artistico di Avanches – non dovrà più munirsi di metro e prendere personalmente le misure dell’arena. «Dovevamo mettere in vendita i biglietti, ma nessuno sapeva quanti posti c’erano; qualcuno diceva 3000, altri 8000», racconta Fontana. «Che dovevo fare? Ho preso un metro e mi sono messo al lavoro. I posti sono 6000».

Con gli anni, il festival si è dotato di un’infrastruttura, ma all’inizio l’improvvisazione era d’obbligo. «Ci sono episodi, anche molto buffi, che sono rimasti impressi nella mia memoria. Non dimenticherò mai la prima Aida, Ghena Dimitrova. Lei era una star, un soprano famosissimo, e qui non aveva nemmeno un camerino. La vedo ancora, alla prova generale, mentre aspetta di entrare in scena seduta sui gradoni di pietra con accanto una bottiglietta di Coca Cola».

Lucia chi?

Esibirsi in un contesto come quello di Avenches è un’esperienza che molti cantanti lirici apprezzano, soprattutto per il contatto col pubblico. Per i critici, spettacoli del genere sono più una festa per gli occhi che per le orecchie; molti giudicano che lo spazio aperto non offra le condizioni migliori per la percezione dei dettagli musicali. «C’è qualcosa di vero in questo», ammette Sergio Fontana. «Bisogna fare dei compromessi. Ma iniziative del genere sono fondamentali per far conoscere l’opera. 700mila spettatori in 16 anni non sono pochi. Molte di queste persone non si sarebbero mai avvicinate alla lirica in un altro contesto».

Per uno che a quattro anni sapeva la Bohème a memoria – il padre, costruttore edile, era un appassionato d’opera – l’idea che la lirica sia circondata da tanta ignoranza è quasi insopportabile. «Aida, Nabucco, Carmen: la gente sente questi nomi e compra i biglietti. Del Nabucco conosce al massimo il Va pensiero; delle restanti due ore e mezza di musica non sa assolutamente nulla. Gli interpreti? Se canta un soprano qualsiasi o Elena Mosuc, è lo stesso, tanto non li conoscono. Manca una cultura operistica, un bagaglio di conoscenze di base. Eppure oggi basterebbe andare in internet per informarsi in un batter d’occhio».

In effetti, quando in cartellone è apparsa Lucia di Lammermoor, molti sembrano essersi domandati: Lucia chi? «Questa produzione era già stata presentata con successo alle Terme di Caracalla, a Roma, due anni fa. Qui avevamo già fatto tre Aide, due Carmen e due Nabucchi. Era ora di qualcosa di speciale; non per me, che conosco 90 opere a memoria, ma per Avenches. Purtroppo la Lucia non vende bene come le altre opere, almeno per il momento. Speriamo che il bel tempo ci permetta di aumentare il numero di entrate. Un giornalista mi ha fatto notare che la Lucia è poco conosciuta, che era meglio puntare di nuovo sull’Aida. Intanto però lui dell’Aida non ha saputo cantarmi nemmeno una nota».

Partire dalla Scala

Le partiture le conoscono bene, invece, gli innumerevoli amici di Sergio Fontana. Il festival è sopravvissuto anche perché Fontana ha un rapporto personale con molti cantanti. Ha il loro numero di telefono; per raggiungerli non è necessario passare attraverso gli agenti e in questo modo si spuntano anche prezzi di favore. «Conoscere le persone è fondamentale; senza conoscenze non si fa niente. Ieri, ad esempio, a soli due giorni dalla prima, si è ammalata Ilaria del Prete che doveva alternarsi con Elena Mosuc nel ruolo di Lucia. Ho chiesto alla Gospodinova di sostituirla, ma lei era impegnata in una nuova produzione a Berna. Conosco il regista, l’ho chiamato chiedendogli di lasciarla libera e lui l’ha fatto. Sarebbe successo se non lo conoscessi personalmente?»

La sua rete di relazioni, Sergio Fontana l’ha tessuta negli anni passati a calcare i palcoscenici d’Europa, a partire da quello della Scala di Milano. «Quando si è capito che avrei fatto il cantante lirico, non è che a casa regnasse l’entusiasmo e questo nonostante mio padre amasse moltissimo l’opera. C’era tutta una serie di problemi, tra l’altro ero svizzero e per uno svizzero non era facile cantare in Italia. Però ho avuto la fortuna di incontrare Claudio Abbado che dopo un’audizione mi ha dato subito un lavoro alla Scala. Avevo 21 anni e la mia carriera partiva da un teatro che per molti altri era un punto d’arrivo».

In seguito ha lavorato con i maestri più famosi; Chailly, Domingo, Metha, Muti, Santi, per non citarne che alcuni. «Il più grande è stato sicuramente Tullio Serafin, lo scopritore della Callas. È morto nel 1968, a 90 anni. Sapeva 253 opere a memoria. Oggi chi dirige le opere a memoria? C’è Santi che ne conosce una novantina, gli altri tengono la testa sul libro. Ma non bisogna avere la testa sul libro, la musica bisogna averla dentro».

La forza del pensiero

Sergio Fontana ha smesso di cantare alcuni anni fa. «L’ultima cosa l’ho fatta proprio qui, nel 2007. Era un’Aida. Ho scelto di non cantare più, ma volendo potrei farlo ancora; la voce è ferma. Cosa si prova a smettere? Immagino che molti si sentano come uno sportivo professionista quando lascia le competizioni. A me non importa se non canto. Ho i ricordi, le immagini delle belle serate che scorrono nella mia mente come in un film…»

Ora che sta per concludersi anche la sua avventura come direttore artistico del festival di Avanches pensa alla pensione? «No, no, in pensione non ci vado. Ho mille idee, anche se per il momento nessun progetto concreto. In ogni caso, l’opera non ho bisogno di farla. È la mia passione da sempre, la conosco bene, fa parte di me. Non la perderò mai».

Doris Lucini, Avenches, swissinfo.ch

60 anni, originario di Bruzella (Ticino), Sergio Fontana è nato a Berna e ha studiato canto con Fernando Bandera e Mario del Monaco.

Ha portato la sua voce di basso sui principali palcoscenici europei (Scala di Milano, Arena di Verona, Comunale di Bologna, Maggio musicale fiorentino…).

È stato uno dei fondatori e direttore artistico (1985-1989) del Festival Alpengala di Gstaad (poi confluito nel Menuhin-Festival). Ha ideato, fondato e diretto (dal 1995 al 2010) il Festival d’Opéra Avenches.

Nel 2008 è stato insignito dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.

È nato nel 1995 da un’idea di Sergio Fontana. Gli spettacoli si svolgono nell’anfiteatro romano di Avenches, il più grande conservato a nord delle Alpi. Vi trovano posto 6000 spettatori, più del doppio degli abitanti di Avenches.

In scena sono andati i grandi classici delle rappresentazioni all’aria aperta – Aida 1995, 2000, 2007), Nabucco (1999, 2005), Carmen (1996, 2004) – ma anche opere più inusuali in questo contesto, come Il flauto magico (2003).

Per la 16esima edizione (2-16 luglio 2010) è stata scelta la Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti. Nel ruolo della protagonista – in quattro delle sette rappresentazioni previste – una delle migliori Lucie attualmente in circolazione, il soprano rumeno Elena Mosuc. Con l’opera di Donizetti si chiude l’era Fontana. All’attuale direttore artistico, nel 2011 succederà Eric Vigié (Opera di Losanna).

Il festival ha un budget che oscilla tra i 5 e i 5,5 milioni di franchi. Servono almeno 30’000 spettatori per far quadrare i conti ed arrivare al 70% di autofinanziamento. Nell’anno record – 1999, Nabucco – si sono venduti 52’000 biglietti. Le ultime edizioni, complice anche il moltiplicarsi delle proposte culturali estive, hanno avuto un numero di spettatori meno importante.

Insieme all’Elisir d’amore e al Don Pasquale, è l’opera più conosciuta di Gaetano Donizetti (Bergamo 1797-1848).

Il libretto in tre atti – ispirato al romanzo The bride of Lammermoor di Walter Scott – è di Salvatore Cammarano.

Composta in poco più di un mese, Lucia di Lammermoor viene unanimemente considerata una delle vette del belcanto. La prima, andata a in scena a Napoli nel 1835, fu un trionfo.

L’opera è ambientata in Scozia. La trama, fortemente drammatica, ha come protagonisti Lucia ed Edgardo, rampolli di famiglie rivali. I due si giurano amore eterno, ma il fratello di Lucia è deciso a tutti a costi ad evitare la loro unione e con l’inganno spinge Lucia a sposare un altro uomo.

Ritornato dopo una lunga assenza proprio il giorno delle nozze, Edgardo si crede tradito da Lucia e la insulta. Sopraffatta dal dolore, Lucia impazzisce e uccide il marito, poi stremata si accascia e muore. Quando si rende conto di quello che è successo, Edgardo si uccide.

La scena della pazzia – probabilmente la più famosa della storia dell’opera – dura un quarto d’ora ed esige dal soprano una grande intensità interpretativa e una tecnica vocale perfetta.

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