La presidente Meloni manca un appuntamento con la storia
Un semplice articolo avrebbe catapultato l'Italia a un altro livello di coscienza sulla parità di genere, sottolinea Claudia Vaccarone.
Ci sono momenti in politica che fanno la storia. L’elezione di Giorgia Meloni alla Presidenza del Consiglio Italiano come prima donna è stato sicuramente un passaggio storico. Ma sarebbe stato epico e trasformativo se avesse assunto con disinvoltura l’articolo femminile per il suo titolo: la Signora Presidente del Consiglio dei Ministri avrebbe catapultato l’Italia a un altro livello di coscienza sulla parità di genere, più in linea con quelli degli altri Paesi europei. Avrebbe stabilito un modello e ispirato milioni di giovani donne a osare una carriera in politica, a ingaggiarsi. Avrebbe probabilmente stimolato un dibattito pubblico più sagace e profondo di quello in atto, che sorride con scherno di come la prima donna alla più alta carica amministrativa e politica si aggrappi all’androcentrismo che ha caratterizzato la nostra cultura.
Invece Giorgia Meloni ha preferito imporre l’articolo maschile a un titolo di per sé epiceno (presidente), ossia ambigenere, ancorando un promettente futuro della leadership femminile italiana nella pesante tradizione androcentrica e patriarcale del paese – forse per paura di sminuire il suo ruolo, di perdere legittimità, di non essere percepita come una vera leader.
Una regola tutto fuorché banale
Perché quell’articolo “il” non è un dettaglio insignificante nel 2022?
Il maschile generico non è una regola banale ma ha creato nel tempo e custodisce una gerarchia sociale oltre che semantica. Il linguaggio è un aspetto fondamentale di una società. Definisce e modella il modo in cui diamo un senso alle nostre esperienze, e imposta i parametri che guidano la nostra comprensione di ciò che è (e non è) possibile. Non solo in termini di rappresentanza ma anche di valori!
Una ricerca della Banca MondialeCollegamento esterno nel 2019 ha identificato per la prima volta la struttura grammaticale riguardo il genere di oltre 4’000 lingue, che rappresentano il 99% della popolazione mondiale. Il 38% della popolazione mondiale parla una lingua di genere, come l’italiano e le lingue romanze. Le lingue di genere classificano gli oggetti come maschili o femminili. ma riconoscono anche al genere maschile una predominanza indiscussa. Si parla nello specifico di un genere maschile “universale”, ovvero un genere che soprattutto in italiano, rappresenta tutti e tutte. La ricerca ha evidenziato come le lingue di genere siano associate a tassi molto bassi di partecipazione al mercato del lavoro per le donne, e a norme di genere più regressive.
Per cui la differenza tra dire il o la presidente ha enormi conseguenze sociali ed economiche. L’istituto Europeo di Uguaglianza di Genere (EIGE) ha pubblicato il 25 ottobre il nuovo indice di uguaglianza per i Paesi europeiCollegamento esterno. Su 100 punti possibili, l’Italia ha un indice di 63,8 e figura al 14esimo posto, senza miglioramenti dal 2018 – non sono dati incoraggianti. Al primo posto troviamo la Svezia con un indice di 83,9 e la media europea è 68. Un dato in particolare rende l’idea del ritardo italiano sulle questioni di uguaglianza: solo il 42% delle donne in Italia è attiva lavorativamente (contro il 67% in Europa).
“Femminilizzare le professioni in maniera intenzionale permette di fare avanzare le mentalità, di restituire al femminile e alle donne tutta la loro dignità, diritti e potenziale. Ogni parola conta!”
“La lingua non è mai un monolite”
Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca, ha commentato la scelta della presidente Meloni per un titolo al maschile dichiarando che la lingua è flessibile e fluttuante, aggiungendo che bisogna “abituarsi a non avere paura di queste oscillazioni linguistiche” perché “la lingua non è mai un monolite”. Ma proprio per questo, è importantissimo non perdere ogni occasione per dare importanza alla rappresentanza delle donne nella società. Femminilizzare le professioni in maniera intenzionale permette di fare avanzare le mentalità, di restituire al femminile e alle donne tutta la loro dignità, diritti e potenziale. Ogni parola conta!
Infatti, l’edizione 2022 del “Dizionario della lingua italiana” Treccani per la prima volta non presenta le voci privilegiando il genere maschile, ma scegliendo di lemmatizzare anche aggettivi e nomi femminili. L’annuncio del 22 settembre rappresenta una vera e propria rivoluzione che rende ufficiale l’urgenza di un cambiamento che includa il femminile a partire dalla lingua. Ben vengano quindi notaia, chirurga, medica, soldata e la presidente!
Non sono dibattiti nuovi: sono passati trent’anni dalle Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana (1986) di Alma Sabatini, in cui denunciava l’uso e le conseguenze sociali e politiche del maschile generico nei mass media, nei documenti ufficiali e di testo.
In Italia malgrado l’esempio di donne leader che hanno chiesto che il loro titolo fosse usato al femminile, tali Nilde Iotti, prima donna presidente della Camera dei deputati, l’ex presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini, l’ex sindaca di Milano Letizia Moratti o l’ex sindaca di Torino Chiara Appendino, il maschile è purtroppo ancora preferito – come dalla direttrice d’orchestra Beatrice Venezi, che a Sanremo 2021 chiese di essere chiamata direttore.
Eppure gli esempi non mancano
Eppure gli esempi di leadership femminile consacrati dalla lingua in Europa non mancano – la scelta di Giorgia Meloni colpisce soprattutto per anacronismo in un periodo in cui le massime cariche Europee (Commissione e Parlamento) sono ricoperte da altre due donne! In francese, Ursula von der Leyen è Présidente (Commission européenne); Roberta Metsola presidente du Parlement Européen.
Altre donne che ricoprono la carica di premier o vice-presidente di paesi con lingue di genere hanno tutte scelto di valorizzare il femminile: in Francia nel 2022 Élisabeth Borne é stata nominata Première ministre (prima ministra) dal presidente Macron; Marine Le Pen è la présidente del partito RN; Yaël Braun-Pivet è la presidente dell’Assemblea nazionale. In America latina ricordiamo “la Vicepresidenta” dell’Argentina Cristina Fernández de Kirchner e la sua omologa in Venezuela, Delcy Rodríguez. Perfino il re di Svezia nel 2021 annunciò la nomina della prima donna prima ministra Magdalena Andersson come Madame prime minister.
La stampa italiana ha già assaporato questi contrasti in occasione della visita di Giorgia Meloni a Bruxelles il 3 novembre scorso: “Il Presidente Giorgia Meloni ha incontrato a Bruxelles la Presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola, la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il Presidente del Consiglio europeo Charles Michel”, è scritto sui canali social ufficiali di Palazzo Chigi. In un momento in cui la politica internazionale vede un numero crescente di donne leader occupare posti di prestigio, il tradizionalismo semantico italiano stona.
Contiamo sulla stampa e sui media Italiani per una posizione progressista ed egalitaria: le loro linee guida possono integrare e aggiornare le nuove forme del linguaggio inclusivo e garantire un giornalismo al passo coi tempi e femminista: Usigrai, l’unione Sindacale dei giornalisti RAI, ha pubblicato una nota ricordando che “il contratto Rai Usigrai contiene al proprio interno il Manifesto di Venezia che fa preciso riferimento al linguaggio di genere, e che la policy di genere aziendale, recentemente approvata dal consiglio di amministrazione della Rai indica di usare il femminile lì dove esista”.
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