Marco Müller, l’uomo di Shanghai continua a seminare il futuro del cinema
Dopo aver incoraggiato per decenni generazioni di registi e registe in tutto il mondo, l'ex direttore del Festival del film di Locarno sta ora facendo crescere le nuove speranze del cinema cinese. Una generazione che potrebbe presto trasformare la Cina nella più grande industria cinematografica del mondo.
Non è difficile trovare Marco Müller durante il Locarno Film Festival. L’italiano di origini svizzero-brasiliane, che ha diretto diversi festival come Rotterdam e Venezia, passa i suoi giorni e le sue notti a guardare le pellicole della Retrospettiva. È una delle sezioni del festival più apprezzate fin da prima del suo lavoro a Locarno (1992-2000), che quest’anno ha portato 40 gemme dei giorni gloriosi della Columbia Pictures.
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Müller, 71 anni, è arrivato a Locarno come spettatore in visita dalla Cina, dove vive stabilmente da oltre cinque anni. La sua missione nel Paese asiatico, come inizialmente dichiarato dal Ministro della Propaganda del Comitato Municipale di Shanghai nel 2014, è quella di creare il più grande festival cinematografico del mondo. “Dissero: se Toronto ha 300 film, mostriamone 400 in nove giorni”, racconta a SWI swissinfo.ch tra una proiezione e l’altra. “Ma la mia idea di karma è che non si dovrebbero offrire più di 60 o 70 film, a parte le retrospettive. Non si possono mostrare troppe cose”.
Questi numeri modesti possono sembrare in contrasto con le ambizioni del secondo mercato cinematografico più grande del mondo. L’anno scorso, i botteghini cinesi hanno incassato 7,73 miliardi di dollariCollegamento esterno (6,73 miliardi di franchi svizzeri) da 1,3 miliardi di spettatori e spettatrici; a titolo di paragone, le entrate negli Stati Uniti nello stesso periodo hanno superato i 9 miliardi di dollari per 240 milioni di spettatori. I film di produzione cinese hanno rappresentato l’84% del totale e l’affluenza alle proiezioni di film stranieri non è cambiata dal 2022.
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Marco Müller, tuttavia, non è interessato ai numeri dei botteghini o all’evoluzione dei gusti del pubblico cinese. È un coach-produttore per vocazione, più vicino ad allenatori di calcio di livello mondiale come Pep Guardiola o José Mourinho di qualsiasi altro suo collega nel mondo del cinema. Le sue iniziative sono state premiate a Cannes, Venezia, Berlino, persino con un Oscar (per il miglior film straniero con No Man’s Land, 2001). “Sono molto contento perché ho imparato di nuovo a fare il produttore, usando i soldi che si possono trovare in Cina”, dice.
Marco sulle tracce di Marco Polo
Marco Müller è stato uno dei primi italiani ad andare a studiare in Cina dopo la normalizzazione delle relazioni tra i due Paesi all’inizio degli anni Settanta, subito dopo la Rivoluzione culturale. L’allora studente di antropologia iniziò a seguire le proiezioni di film cinesi con i suoi compagni di corso, alcuni dei quali sarebbero poi diventati famosi in tutto il mondo, in gran parte grazie all’impegno di Müller.
Negli anni Ottanta organizzò le prime e più complete rassegne di cinema cinese in Occidente, dove nomi come Zhang Yimou, Chen Kaige e Wu Tianming – tutte vecchie conoscenze di Müller – divennero molto noti negli anni successivi tra le persone appassionate di cinema.
Il suo ritorno in Cina è iniziato gradualmente nel 2014, per poi diventare definitivo nel 2021, quando è stato nominato direttore artistico del Film Arts Research Centre dell’Università di Shanghai e professore emerito della Shanghai Film Academy. In precedenza, era stato direttore del Pingyao International Film Festival e, più recentemente, ha fondato l’Asia-Europe Young Cinema Festival a Macao.
Quest’anno è stato anche nominato direttore artistico del Taormina Film FestCollegamento esterno, in Sicilia, mantenendo un piede in Europa dopo aver tagliato i suoi ultimi legami formali quando ha lasciato la posizione di insegnante presso l’Accademia di architettura dell’Università della Svizzera Italiana, a Mendrisio, nel 2019.
Più che di ottenere incarichi prestigiosi, questa vasta rete consente a Marco Müller di mettere in contatto i professionisti e le professioniste del cinema dall’Est all’Ovest e al Sud del mondo. I festival cinematografici sono soprattutto un ecosistema di mercato in cui convergono produttori e produttrici, aziende di distribuzione, agenti di vendita e acquirenti, e il coach sa bene come orientarsi tra tutti loro.
A favore della gioventù
Marco Müller sembra insensibile ai vincoli che comporta lavorare in un’industria cinematografica fortemente controllata dallo Stato come quella cinese. “Devi trovare un modo per lavorare con loro. Il mio è stato quello di aver sempre preso posizione a favore dei nuovi registi e produttori indipendenti in Cina, e questo è stato possibile”, dice.
A gennaio ha organizzato la prima edizione dell’Asia-Europe Young Cinema Festival a Macao. Come spiega Müller, l’etichetta “Asia-Europa” ha un sottile significato geopolitico. “Non è che non volessi compiacere il Governo, ma se avessi usato diciture ufficiali come ‘Via della Seta’ o ‘BRICS’, ci sarebbe stata molta resistenza [all’estero]. In un certo senso ho ribaltato il concetto tradizionale russo di Eurasia, parlando di Asia-Europa. E ha funzionato”.
L’accordo relativo all’ex colonia portoghese, entrato in vigore quando il Portogallo è uscito di scena nel 1999, offre anche un’apertura particolare rispetto al resto del Paese. “A Macao ho realizzato un programma specifico per i nuovi registi cinesi, siano essi membri o meno della China Film Directors Association, in modo che potessero incontrare registi stranieri e vedere dei film che ufficialmente non possono essere visti”.
“Attraverso Macao, come era possibile in passato attraverso Hong Kong, si possono trovare anche fondi privati cinesi per progetti di prestigio creati anche da nuovi registi”, dice Müller. “In questo senso, la cosa più importante”, aggiunge, “è il nostro Work-in-Progress Lab, con 16 opere in corso di realizzazione che vengono presentate a tutti i più importanti festival del mondo. Una volta completati andranno a San Sebastian, Berlino e, si spera, a Cannes”.
Per un pugno di franchi
Parlare di Cina in un caffè di Locarno sembra improvvisamente di discutere di film di fantascienza. Le realtà dell’industria cinematografica in Cina e in Svizzera non potrebbero essere più contrastanti. Mentre in Cina i fondi privati fluiscono e l’impegno del Governo è evidente, a Locarno si parla di un drastico taglio ai fondi federali svizzeri per la cooperazione internazionale nel campo della cultura.
Questi fondi sono gestiti dalla Direzione per la sviluppo e la cooperazione (DSC), l’agenzia per l’aiuto allo sviluppo del Dipartimento federale degli affari esteri, e sono stati distribuiti secondo un modello che Marco Müller ha iniziato a sviluppare in Svizzera fin dai primi anni Novanta. L’obiettivo è quello di promuovere lo sviluppo e la produzione di opere artistiche da parte di giovani talenti in Paesi con industrie culturali (e cinematografiche) con pochi mezzi.
Nei primi giorni del Festival del film di Locarno, un gruppo di dodici istituzioni culturali svizzere ha pubblicato una dichiarazione che denunciava il taglio dei fondi.
In numeri assoluti, e considerando il bilancio federale complessivo, sembra un’inezia: un modestissimo importo di 1,7 milioni di franchi svizzeri. Ma rappresenta un taglio del 45% al bilancio per la produzione culturale, e colpisce alcuni programmi che sono riusciti a dare risalto alla Svizzera, come il programma Open DoorsCollegamento esterno di Locarno e il Theater SpektakelCollegamento esterno di Zurigo. Per altre istituzioni, come le piattaforme artlinkCollegamento esterno e Visions Sud EstCollegamento esterno, i tagli rappresentano una minaccia esistenziale.
“Le cose sono decisamente cambiate”, afferma Müller, ricordando l’evoluzione di un’idea che aveva iniziato a sviluppare molto tempo fa.
“L’idea era effettivamente molto semplice”, dice Müller. “Se fossimo riusciti a raccogliere 300 franchi da investitori privati, la DSC ci avrebbe dato 300 franchi e così via. Mi ha aiutato ad essere molto attento nello spendere quei soldi”. Müller ha così istituito la Fondazione Monte Cinema Verità e ha creato un comitato di esperti ed esperte in produzione e finanziamento, tra cui una persona proveniente dalla televisione pubblica svizzera.
Uccidere la gallina dalle uova d’oro?
In seguito, produttori e produttrici svizzere hanno iniziato a coprodurre film provenienti dal Sud e dall’Est del mondo. “Il fatto che la DSC ci abbia obbligato ad avere partner privati è stato molto benefico, nel senso che ci ha spronato a continuare a prenderci la responsabilità di ogni singolo progetto”.
Il modello è poi stato copiato da altre istituzioni che si occupano non solo di cinema, ma anche di teatro, belle arti e letteratura. Visions Sud Est ha ereditato il modus operandi della fondazione di Müller quando questa ha cessato le sue attività nel 2004.
Anche le piccole somme (dell’ordine di 20’000-50’000 franchi) raccolte dalla fondazione vengono raddoppiate con il contributo della DSC, e questo significa un discreto capitale di partenza per sviluppare un film, soprattutto per quei progetti che, come descrive Müller, “nessun altro osa finanziare, o che non potrebbero essere finanziati nel Paese d’origine perché i registi vogliono dire certe verità scomode o censurate”.
Marco Müller può solo lamentarsi da lontano mentre assiste allo smantellamento del modello che ha creato. “Credo che il settore privato debba prendere posizione. Per oltre 20 anni, gli investitori privati hanno fatto parte del fondo e quindi anche loro dovrebbero esprimere disappunto per questi tagli”.
Müller guarda l’orologio: la prossima proiezione della Retrospettiva sta per iniziare. Prima di congedarsi cerca di riassumere i suoi pensieri. “La storia che ho raccontato è legata agli sforzi individuali e a quel periodo in cui la Svizzera poteva permettersi di offrire spazio per workshop internazionali. Ma anche se i tempi sono cambiati, non vedo perché dovremmo interrompere questo modello di successo”.
A cura di Mark Livingston/ts
Traduzione di Luigi Jorio
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