Mario Botta: «La città deve consolidare la sua immagine»
Ospite d'onore del programma ticinese degli «Swiss Days», Mario Botta giudica positivamente lo spirito di innovazione che aleggia su San Pietroburgo.
L’architetto ha alzato il dito monitore contro la trappola della modernità, nella speranza che la città mantenga il suo carattere.
Quale architetto, ma soprattutto quale promotore dell’Accademia di Mendrisio, sostiene la necessità di un intervento architettonico consapevole. San Pietroburgo è oggi un cantiere aperto, che lei conosce bene. Cosa pensa degli interventi nella città?
Innanzitutto va detto che per una città 300 anni sono pochissimi. Noi siamo abituati a misurare in millenni l’evoluzione degli insediamenti storici in Europa. San Pietroburgo è nata come una grande scenografia attorno alla Neva e adesso ha soprattutto la necessità di consolidare la sua immagine.
Questa sua eredità neoclassica fa parte del patrimonio dell’umanità. Proprio l’assenza di stratificazione storica impone agli architetti di oggi una particolare attenzione. Ogni intervento va fatto con la coscienza critica che abbiamo acquisito alla fine del Ventesimo secolo. Solo cinquant’anni fa avremmo distrutto tutto in funzione del nuovo.
Il ritardo con la quale San Pietroburgo affronta la modernità può essere dunque di grande vantaggio. Adesso non c’è più Pietro il Grande, ma c’è il capo architetto Kharchenko che deve vegliare sulla crescita, visto che la città è obbligata a rinnovarsi. Speriamo che sappia preservare i valori del passato.
Come professore dell’Accademia di Mendrisio, lei ha appena firmato un accordo di collaborazione con l’Accademia delle belle arti locale. Si attende degli stimoli positivi per l’architettura della città?
Quella di San Pietroburgo è una situazione in evoluzione. Ma all’Accademia di Mendrisio abbiamo già avuto assolventi provenienti e ora attivi a San Pietroburgo; esiste già ora una collaborazione attiva.
In generale incontro un grande interesse verso il nostro lavoro e quello dell’architettura internazionale. L’esperienza che portiamo è diversa, ci rifacciamo ad una tradizione di tipo mediterraneo e la offriamo come un’esperienza. Adesso tocca a loro correggere gli errori del passato.
I progetti lanciati recentemente, come quello per il teatro Marinskij, sembrano indicare una nuova attenzione positiva per lo sviluppo della città.
In questi sette giorni a San Pietroburgo gli appuntamenti fra economisti e politici, ma anche architetti e storici dell’arte, dei due paesi si cumulano. Ritiene che questi «Swiss Days» contribuiranno a rafforzare relazioni fra i due paesi?
È difficile misurare il successo di un’operazione di marketing e non credo che ci sarà un ritorno immediato. Ma ci sarà l’esposizione sugli architetti italiani e ticinesi; sarà in ottobre in Ticino e l’anno prossimo nei saloni d’onore dell’Eremitage.
Con generosità i musei e gli archivi russi hanno messo a disposizione 350 opere eccezionali. Credo che questo sarà un bel colpo e la prova che una collaborazione più intensa è possibile.
Il ticinese Mario Botta si sente legato emotivamente alla tradizione degli architetti ticinesi che hanno contribuito alla costruzione della città nel Settecento?
Trezzini e anche Carlo Rossi sono un po’ lontani. C’è un linguaggio diverso che l’architettura ha sviluppato, ma c’è pur sempre un legame affettivo che rimane.
Intervista: Daniele Papacella, San Pietroburgo
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