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Mercenari svizzeri, ritratti di destini diversi

La battaglia di Marignano (1515), in un’opera di Ferdinand Hodler , segna la fine della politica espansionistica della Confederazione. Gli svizzeri continuano tuttavia a combattere sui campi di battaglia europee.

Hanno vestito l’uniforme militare e si sono battuti al di fuori dei confini nazionali. Le gesta di una trentina di questi soldati di ventura sono ora raccolte in un libro pubblicato dalle Edizioni di Penthes. Sono le storie delle fortune alterne di uomini non ordinari.

La Svizzera è un paese di emigranti. Nel petto degli svizzeri, parafrasando Goethe, albergano due anime: l’una ama la sedentarietà, la tranquillità e la certezza, l’altra rifugge la monotonia e cerca l’avventura.

Di questi ultimi racconta la collana edita dal Museo degli svizzeri nel mondo, a Ginevra. Si tratta di una serie di libri divulgativi che vuole valorizzare i documenti dell’archivio del museo e far conoscere alcuni svizzeri, protagonisti nel mondo. Non presenta per tanto l’uomo ordinario o il destino classico dell’emigrante anonimo, ma piuttosto il personaggio che si è distinto nel suo tempo e fra la sua gente.

Pedine sullo scacchiere europeo

La pubblicazione dal titolo “Soldati, destini diversi di ieri e di oggi” (Soldats, diversité des destins d’hier e d’aujourd’hui) ripercorre con delle biografie lapidarie le gesta di alcuni mercenari svizzeri al soldo dei sovrani di mezza Europa.

«Non sono delle opere con pretese letterarie o storiche. Si tratta piuttosto di un tentativo di avvicinare il grande pubblico e i visitatori del museo ai destini di alcuni svizzeri all’estero con libri di facile lettura», spiega a swissinfo.ch Bénédict de Tscharner, autore del primo volume della collana.

«La scelta di dedicare il primo volume ai soldati di ventura è stata dettata da una questione pratica», continua de Tscharner. «Infatti, nell’archivio del museo del Castello di Penthes sono custoditi numerosi documenti sui mercenari svizzeri e ciò mi ha permesso di operare una selezione dei personaggi che sarebbero andati a comporre il libro, senza dover passare al setaccio gli archivi di altre biblioteche».

Il primo volume racconta la vita di una trentina di svizzeri, che nel corso di cinque secoli – dall’Era moderna ai giorni nostri – hanno messo la loro arte a disposizione delle corti europee, della Legione straniera, del papa o di altre nazioni in guerra. Sono stati dei guerrafondai, che servendo i sovrani si sono mossi abilmente fra i vari schieramenti e sullo scacchiere europeo condizionando – a volte – le sorti di una battaglia o di un guerra.

François Le Fort, ammiraglio imperiale e viceré

Fra questi, Bénédict de Tscharner ne ha scelti alcuni che si sono distinti dagli altri per una sorte particolare. François Le Fort, vissuto nella seconda metà del XVII secolo, è uno di questi. Figlio di una famiglia ginevrina di mercanti, abbraccia la carriera militare a 14 anni. Attraverso il servizio volontario a Marsiglia, il reggimento della guardia svizzera al sevizio del re Luigi XIV e quello al soldo dei Paesi Bassi, raggiunge la Russia degli zar Pietro il Grande e Caterina Seconda.

Il ginevrino compie una folgorante scalata sociale e fra lui e il giovane zar si instaura una forte amicizia, rinsaldata anche dalle tante battaglie che lo svizzero combatte per il sovrano. La sua fedeltà alla Russia viene premiata con la nomina ad ammiraglio imperiale e a viceré di Novgorod.

«Il contributo di Le Fort non si limita però al campo di battaglia. Infatti, il mercenario elvetico guida una delegazione ufficiale in Occidente – della quale fa parte anche Pietro sotto false spoglie – il cui scopo è permettere allo zar di scoprire il mondo moderno e di carpirne i segreti per fare della Russia un grande impero», sottolinea de Tscharner.

Nel 1699, a soli 43 anni, Le Fort viene stroncato dalla malattia e così gli viene negata la possibilità di veder realizzato il suo sogno maggiore: San Pietroburgo. La città situata sul delta della Neva sulle rive del Mar Baltico doveva infatti diventare la nuova capitale dell’impero. «Ironia della sorte, un altro svizzero, il ticinese Domenico Trezzini, contribuirà ad edificarla e a renderla eterna», ricorda de Tscharner.

Heinrich Hartmann Wirz, un “mostro“

«Ma non tutti i mercenari elvetici hanno avuto pari fortuna. Ci sono anche delle figure tragiche: una fra tutte è quella di Heinrich Hartmann Wirz, morto impiccato nella vecchia prigione Capitol a Washington nel 1865», sottolinea l’autore del libro.

Il giovane Wirz, nato a Zurigo nel 1823, si è imbarcato a 26 anni per l’America. Dopo essersi arrabattato lavorando come operario nell’industria tessile, traduttore e sorvegliante di uno stabilimento di cure termali, si stabilisce infine nel profondo Sud, a Milliken’s Bend in Louisiana.

Nel 1861 scoppia la guerra civile americana e lui si arruola volontario con i secessionisti, ovvero con i sudisti che si battono contro l’abolizione della schiavitù. Ferito gravemente, gli viene assegnata la sorveglianza dei prigionieri. Ed è proprio in questa funzione che la figura di Wirz assume tutta la sua tragicità. A capo di un campo prigionieri nei pressi di Andersonville, nello stato della Georgia, si trova confrontato con una situazione drammatica: l’infrastruttura, le condizioni igieniche, l’alimentazione e i servizi sanitari sono insufficienti per i 35’000 detenuti nordisti. Le malattie, la fame e i tentativi di fuga mietono 13’000 vittime.

Alla fine della guerra, sancita dalla vittoria degli unionisti, Heinrich Hartmann Wirz viene condotto davanti a un consiglio di guerra: la sentenza è morte per impiccagione. La vicenda fa scorrere fiumi d’inchiostro e scalda gli animi negli Stati uniti – il comandante del campo prigionieri viene descritto come un mostro – e anche in Svizzera suscita ampio interesse. Il 10 novembre 1865, alle 10 di mattina, il cappio mette fine a questo dramma umano.

A fare da filo conduttore a tutte queste vicende, a prescindere dal loro esito, è comunque la guerra, fonte di sofferenza e distruzione e capace di far emergere gli strati più profondi della natura umana.

I mercenari svizzeri sono conosciuti già nel XIII e XIV secolo quando sono al servizio degli imperatori e delle città italiane, come Milano.

A partire dal XV secolo il fenomeno assume dimensioni talmente grandi che diventa pressoché incontrollabile. Malgrado le leggi, che a partire del 1477 proibiscono ai singoli di arruolarsi, non è possibile sradicarlo.

Nello stesso periodo, i cantoni tentano di assumere il controllo sul mercenariato. A loro spetta il compito di autorizzare l’emigrazione militare che interessa specialmente la gente di montagna, ma anche la nobiltà locale.

I cantoni per questo servizio ricevono un compenso e, soprattutto, acquisiscono visibilità e importanza presso le corti europee. In quest’ottica si possono leggere gli accordi, oggi diremmo di assistenza militare, del 1474 con Luigi XI di Francia, quelli con altri potenti e, specialmente, quello con cui mantennero Massimiliano Sforza al potere sul ducato di Milano (1513).

I mercenari svizzeri caratterizzano con la propria presenza le guerre europee dei secoli XV e XVI e la loro tecnica di combattimento fu a lungo considerata esemplare. Tuttavia, con le innovazioni tecniche introdotte nell’arte della guerra il mercenariato elvetico si avvia verso il tramonto. Sui campi di battaglia, inoltre, gli svizzeri incontrano nuovi gruppi di mercenari che adottano tattiche e tecniche di guerra più efficaci.

Nel 1848 viene proibita la stipulazione di nuovi accordi militari e nel 1859 viene emanata la legge contro gli arruolamenti al servizio di straniere. Tuttavia, i reclutamenti individuali proseguono malgrado diventino sempre più severi i divieti.

Nato a Trub, nel canton Berna, nel 1937.

Studia diritto all’università di Basilea. Poi segue la carriera diplomatica: è ambasciatore – tra l’altro – a Bruxelles, Vienna e Parigi.

È presidente della Fondazione per la storia degli svizzeri nel mondo (Castello di Penthes, a Ginevra).

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