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Morat: un cubo banale e geniale

Il cubo arrugginito che sembra essere stato abbandonato in mezzo al lago di Morat. expo02.ch

Sparsa in tutta la cittadina medievale, l'esposizione di Morat è dominata dall'impressionante monolito dell'architetto francese Jean Nouvel.

“Istante e eternità”: il tema affidato ai responsabili dell’arteplages di Morat non era certo dei più facili. Piuttosto impegnativo infatti il tentativo di far vivere la percezione dell’istante e, leggermente, ancora più esigente la richiesta di ridare il senso dell’eternità.

Per realizzare simile opera era quindi necessario ricorrere ad un “creatore”: tra i migliori rappresentanti sulla Terra è stato trovato l’architetto francese Jean Nouvel, già realizzatore di alcune delle forme architettoniche più straordinarie, che potrebbero provenire da un altro mondo, come lo smisurato tetto del Centro di cultura e congressi di Lucerna, la cupola eterea dell’Opera di Lione o le vetrate riflettenti e luminose dell’Istituto del mondo arabo di Parigi. Un personaggio impressionante che in ogni sua apparizione – abiti neri, statura imponente, sguardo inquietante e gestualità magnetica – sembra svelare una genialità più diabolica che celestiale.

Giunto a Morat, la prima reazione di Nouvel è stata quella di voler subito ripartire: “L’esposizione esisteva già”. La città storica rimasta ferma al Medioevo, la serenità del lago, le colline ricamate di vigneti e il panorama alpino in sottofondo sembravano voler respingere e rendere assurdo ogni intervento architettonico.

Per indubbia fortuna dei visitatori dell’expo, l’architetto francese ci ha ripensato: le opere realizzate a Morat, a cominciare dal monolito, sono quanto di meglio l’esposizione nazionale abbia da offrire. Il risultato è una composizione di strutture, forme e materiali arrugginiti che ridanno l’impressione di uno spazio situato piuttosto tra l’istante e l’eternità.

L’assalto alla roccaforte medievale

La piccola Morat, con solo 5’000 anime, dovrebbe accogliere fino a 12’000 visitatori al giorno. Il loro primo compito sarà di scoprire dove si trovano gli 8 padiglioni. A differenza delle altre tre arteplages, quella di Morat è nascosta in diversi luoghi attorno alla muraglia medievale e si estende anche nei comuni vicini di Muntelier e Merlach.

A indicare la presenza dell’expo, già alle porte della cittadina, vi sono decine di vecchi container navali, che evidenziano subito alcune tracce di ruggine, la nota dominante di tutta l’esposizione. La loro numerosa e voluminosa presenza, così come il previsto assalto turistico della roccaforte storica, hanno costretto i responsabili dell’arteplage a intavolare non poche trattative con gli abitanti della cittadina.

Un relitto nelle acque del lago

Quasi ovunque a Morat, l’occhio è poi immediatamente catturato dal monolito adagiato pacificamente in mezzo alle acque del lago. Un enorme cubo arrugginito che sembra essere stato dimenticato, il relitto di altri tempi, di un’impresa industriale fallita, di un assurdo edificio abbandonato, alto quanto un palazzo di 12 piani. Più ancora del contrasto con il paesaggio circostante è forse la stessa semplicità perfetta della forma a infondere un certo senso di genialità a quest’opera.

La sua imponenza si rafforza quando si giunge, con il traghetto, ai suoi piedi o al suo interno, dove si scopre dapprima una panoramica affascinante della Svizzera, proiettata su uno schermo di 360 gradi. Panorama Svizzera versione 2.1 è un filmato che con grande fattura artistica propone una bellissima sfilata di immagini, volti e luoghi, del paese.

Dopo aver ammirato lo splendido paesaggio reale del lago di Morat al secondo piano, si culmina finalmente sotto il tetto del cubo, dove lo sguardo si perde nel drammatico panorama della battaglia di Morat. Il dipinto circolare realizzato nel 19esimo secolo e restaurato appositamente per l’expo, fa ritornare il visitatore nel 1476, richiamando alla mente tutta la componente storica della stessa cittadina.

L’esperienza della cecità

Oltre al cubo, il meglio dell’arteplage di Morat è costituito probabilmente dal padiglione Blindekuh. Al suo esterno una semplice capanna di legno, ma al suo interno un luogo capace di far perdere in pochi secondi il senso della vista e dell’orientamento.

Nell’oscurità totale, i visitatori sono guidati da collaboratori non vedenti dell’esposizione in due locali che permettono di vivere e capire, come in nessun’altra situazione, l’esperienza della cecità. Con poco o niente, questo padiglione offre una delle sensazioni più forti di tutta l’expo.

Particolarmente interessante anche perché il contrasto tra questa esperienza e gli stupendi paesaggi del monolito sottolinea ulteriormente il valore della vista, come pure per l’inversione di ruoli in cui è il cieco a dirigere e ad aiutare il visitatore.

Simboli e riflessioni

Poco distante si trova il padiglione della Confederazione intitolato Werft (cantiere navale) e dedicato al tema della sicurezza. Con i suoi immensi portali che scorrono su binari in direzione del lago, una costruzione architettonica sicuramente interessante. Il messaggio globale e i diversi simboli proposti al pubblico denotano tuttavia una semplicità, questa volta, piuttosto modesta.

Altrettanto modesta l’allegoria suggerita dal Giardino della violenza, un padiglione proposto dal CICR e dalla Croce rossa svizzera che vuole attirare l’attenzione e far riflettere su un problema di dimensioni mondiali, come la guerra. Un giardino a terrazze sicuramente attraente, ma dove il tema dell’aggressione sembra trasparire soprattutto dal rumore proveniente dalle due strade che lo delimitano.

Pure votato alla riflessione l’invito alla passeggiata nell’Expoagricole, che pone l’accento sulla problematica del mondo contadino e del rapporto tra produzione agricola, società e ambiente. Anche Heimatfabrik, sponsorizzato dai cantoni del Mitteland, si sofferma sui legami tra produzione, consumo e impatto ambientale. Un padiglione che solleva numerosi interrogativi interessanti, soprattutto grazie a numerose citazioni ben scelte, ma anche alcuni dubbi sul suo risultato globale.

Per finire, Un ange passe, situato in 7 casette o cappelle arrugginite in riva al lago, vuole offrire dei momenti di spiritualità e di contemplazione, riunendo messaggi, opere d’arte e oggetti religiosi di diverse fedi. Per i bambini, da non mancare invece i due coni ricoperti dalla ghiaia degli Universi sensibili dove li aspetta un mondo incantato di armadi, giochi e teatro.

Armando Mombelli

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