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Nell’intimità del politico svizzero più controverso

Il regista svizzero Jean-Stéphane Bron (a sinistra) a fianco dell'ex consigliere federale e leader dell'Unione democratica di centro Christoph Blocher, protagonista del suo ultimo documentario. pardolive.ch

Non si tratta di un film pro o contro Christoph Blocher. Il documentario di Jean-Stéphane Bron è uno spaccato di storia svizzera, un film che riesce a penetrare nella sfera intima del personaggio politico più mediatizzato e controverso, senza però svelarne i misteri e le zone d'ombra.Come fare il ritratto di un uomo di cui non si condividono le idee, i metodi e le convinzioni? Un uomo che ha spaccato il paese in due, considerato da taluni un "salvatore" e da altri un "pericolo per la democrazia", ma che ha segnato in modo indiscutibile gli ultimi vent'anni di storia svizzera?

Jean-Stéphane Bron ha scelto di raccontare questo apprendista contadino, figlio di un pastore protestante e diventato uno degli imprenditori e dei politici di maggior successo, attraverso uno sguardo intimista, che è al contempo una riflessione acuta sul nostro paese e su quel vento nazionalista che ha iniziato a soffiare dal 1992.

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«I film scomodi sono necessari a una democrazia»

Questo contenuto è stato pubblicato al Profondo conoscitore del cinema svizzero e della sua tradizione documentaristica, Ivo Kummer è stato per oltre vent’anni direttore artistico delle Giornate cinematografiche di Soletta prima di riprendere la direzione della sezione cinema dell’Ufficio federale della cultura, nell’agosto 2011. swissinfo.ch lo ha incontrato al Festival del film di Locarno, dove martedì 13 agosto è stato presentato…

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Solo contro tutti, Christoph Blocher si era allora schierato contro l’adesione allo Spazio economico europeo, convincendo la maggioranza del popolo a seguirlo. Il voto è stato la sua prima grande vittoria politica e l’inizio della sua ascesa. L’antieuropeismo resterà uno dei temi che caratterizzeranno la sua vita politica, assieme al freno all’immigrazione e alla sovranità del paese. Temi che permetteranno al suo partito, l’Unione democratica di centro (Udc), di diventare nello spazio di pochi anni il primo partito in Svizzera.

A caccia di ombre

Chi si aspettava rivelazioni sorprendenti resterà però probabilmente deluso. Il film – approvato da Blocher senza ritocchi – non è un documentario politico o d’inchiesta. «L’idea non era quella di raccontare il “sistema Blocher”, ma la mia “esperienza Blocher”, così come quella di un uomo con il suo paese, con la democrazia come filo conduttore», ha affermato in conferenza stampa il regista svizzero, autore tra l’altro di Mais im Bundeshuus (sulle dinamiche della politica federale) e Clevand contre Wall Street (sulla crisi finanziaria).

«Christoph Blocher è stato fotografato, intervistato, descritto migliaia di volte. Io ho cercato di affrontare le zone d’ombra che lo circondano e che sonnecchiano nel nostro inconscio collettivo. Mi sono così limitato a ripercorrere la sua storia, sulla base di fatti già noti. Non ho voluto rendere Christoph Blocher più umano, ma più complesso togliendogli l’immagine di eroe».

Girato in gran parte dall’interno dell’automobile di Blocher, il documentario segue la campagna per le elezioni federali del 2011. Quattro anni dopo la sua mancata rielezione al governo federale, il politico preparava allora la sua rivincita, conclusasi però con una sconfitta personale e per il suo partito.

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Attraverso immagini d’archivio, Bron dà voce ad alcuni degli oppositori politici di Blocher e ripercorre la sua carriera imprenditoriale e politica, senza nasconderne i lati oscuri, ma senza nemmeno dilungarsi troppo: dai legami controversi con il regime dell’Apartheid, al suo impero economico, passando per il ruolo svolto nel caso delle dimissioni del presidente della Banca nazionale svizzera, Philipp Hildebrand.

Jean-Stéphane Bron ha scelto tra l’altro di essere parte integrante di questo documentario. La voce narrante pone il pubblico di fronte ai dubbi che lo attanagliano (“mi sento complice, sul chi vive…”) e ai misteri che cerca di mostrare più che svelare (“lo invento, riempio i buchi”). Troppo preparato al gioco politico e al contatto coi media, il 72enne Christoph Blocher non si sbottona mai davvero e lascia affamati regista e spettatore.

Nato a Losanna nel 1969, Jean-Stéphane Bron si diploma alla Scuola cantonale di arte di Losanna (ECAL). Dopo “Connu de nos services” e “La bonne conduite”, nel 2003 realizza “Mais in Bundeshuus”, un lungometraggio che racconta in modo avvincente le dinamiche della politica federale svizzera. Eletto miglior documentario dell’anno, e insignito del prestigioso premio “Original Vision” del New York Times, “Mais in Bundeshuus”  figura tuttora tra i film svizzeri di maggior successo. Il suo quarto documentario, “Cleveland Contre Wall Street”, è stato presentato alla Quinzaine des réalisateurs, Cannes 2010. Nominato ai Césars, in Francia, il film ha vinto il premio per il miglior documentario svizzero. Jean-Stéphane Bron è membro fondatore della società di produzione Band à part Films, a fianco di Ursula Meier, Frédéric Mermoud e Lionel Baier.

Uno spaccato d’intimità

Prima ancora dell’anteprima mondiale al Festival di Locarno, L’Expérience Blocher ha sollevato malumori tra alcuni esponenti della sinistra, scandalizzati di fronte alla scelta di finanziare con fondi pubblici un film su un personaggio controverso e tuttora in attività. L’attesa era palpabile: prima di oggi non si erano probabilmente mai visti così tanti giornalisti politici accreditati al festival. I sentimenti sono contrastanti.

«Trovo che sia un documentario interessante sulla storia contemporanea svizzera, attraverso il prisma di uno dei personaggi politici più significativi degli ultimi vent’anni», ci spiega Markus Häfliger, corrispondente della Neue Zürcher Zeitung a Berna. «Mai prima d’ora un film si era avvicinato così tanto a un politico svizzero, penetrando nella sua sfera intima. La star politica diventa essere umano, con le sue forze e le sue debolezze, le risate, le frustrazioni, i momenti oscuri. E questa è una grande forza del film».

Bron entra come detto nei luoghi più intimi: nella casa d’infanzia di Blocher, per scoprire che il luogo che più lo consola è il cimitero. Lo ritroviamo poi nel suo castello mentre canta l’opera, in piscina, in camera da letto, a lottare contro l’insonnia. Al suo fianco la presenza silenziosa della moglie Silvia. Alcune scene sono state costruite come in un film di finzione e di colpo Blocher non è più solo un personaggio, ma un interprete.

Uno sguardo intimo che ha convinto anche Reto Ceschi, esperto di politica federale alla Radiotelevisione svizzera di lingua italiana. «Non mi aspettavo un pamphlet critico, ma volevo conoscere l’uomo. È inevitabile che se uno ti apre le porte di casa, entri in una dinamica che ti allontana un po’ da un approccio critico».

Troppo poco politico?

A livello politico, però, il film rimane in superficie e in qualche modo fallisce, sottolinea dal canto suo Markus Häfliger. «Uno degli obiettivi di Bron era scoprire le motivazioni profonde di Blocher e in questo senso non riesce ad andare oltre la facciata. Non può essere considerato un film politico. Resta da chiedersi se questa fosse davvero l’intenzione del regista oppure se in qualche modo ha dovuto piegarsi alla circostanze».

Bron ha sottolineato in conferenza stampa di non essersi autocensurato, ma di aver fatto una scelta consapevole. La sensazione però è che manchino dei tasselli a questa «fiaba sul potere», cinematograficamente eccellente, che sia lasciato troppo spazio all’immaginazione.

Troppo poco politico dunque? Per Stéphane Gobbo, giornalista del settimanale romando L’Hebdo, l’obiettivo del film non era quello di svelare segreti reconditi. «Si tratta di un ritratto personale di Jean-Stéphane Bron su Christoph Blocher. Si poteva pensare che un cineasta di sinistra come lui facesse un film critico, invece è riuscito ad essere neutro e sottile».

Una cosa è certa, L’Expérience Blocher non ha ancora finito di far parlare di sé, come d’altronde lo stesso protagonista. Anche se il documentario suona un po’ come un epilogo, forse per via della musica tragica che lo accompagna o per l’immagine di un uomo solitario, come in Citizen Kane, sulla quale si chiude il film. Anche qui, però, il segreto rimane tale.


Nato l’11 ottobre del 1940 nel canton Sciaffusa, è sposato e padre di quattro figli. Dopo aver seguito un apprendistato di agricoltore, si laurea in diritto alle università di Zurigo, Montpellier e Parigi.

Il suo impegno politico a livello federale inizia alla fine degli anni Settanta, quando viene eletto al Consiglio nazionale (Camera bassa, 1979-2003) e presidente della sezione zurighese dell’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice), carica che ricoprirà fino al 2003.

La sua carriera prende però slancio nel 1992, grazie al successo del voto contro l’adesione della Svizzera allo Spazio economico europeo, che segnerà anche l’ascesa dell’UDC. L’antieuropeismo resterà uno dei temi che caratterizzeranno la sua vita politica, assieme al freno all’immigrazione e alla sovranità del paese.

Nel 2003 Blocher viene eletto al Consiglio federale (governo svizzero). Quattro anni dopo, però il  Parlamento decide di non riconfermarlo, preferendogli un’esponente ritenuta più collegiale e dell’ala meno conservatrice dell’UDC, Eveline Widmer-Schlumpf.

Come imprenditore, Blocher è riuscito in poco tempo a diventare azionista principale e presidente del consiglio d’amministrazione del Gruppo chimico Ems. Oggi è membro di diversi Cda di importanti multinazionali e proprietario della Robinvest AG. È inoltre azionista del quotidiano Basler Zeitung e vicino al settimanale Weltwoche.

Dal 2011 siede nuovamente in Parlamento, alla Camera bassa.

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