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Omaggio a Man Ray, icona Dada

Man Ray, "Noire et blanche", fotografia del 1926 Fondazione Marconi, Milano

Figura di spicco del dadaismo, Man Ray è stato uno degli artisti più famosi e più influenti del suo tempo. Il Museo d'Arte di Lugano gli dedica una grande retrospettiva, che riunisce oltre 300 opere e oggetti.

Questa mostra-evento, resa possibile grazie ad un importante finanziamento da parte della Fondazione Marconi di Milano,  propone uno sguardo retrospettivo su quasi un secolo di creazione. Un percorso tra fotografie, ma anche dipinti e oggetti, divisi tra finzione e realtà, ad immagine e somiglianza  dell’ eterna ricerca artistica di Man Ray.

Anche coloro per i quali il nome di Man Ray non evoca nulla, conoscono almeno il Violon d’Ingres, diventato una delle immagini più famose e più importanti della fotografia del XX secolo. Un’allegoria musicale della schiena nuda della cantante Kiki de Montparnasse – della quale  Man Ray si era innamorato – decorata con la rose in rilievo.

Una fotografia che è pure un omaggio alla musica, alle composizioni di Erik Satie, alla lingua francese e in particolare alla pittura orientalista di Jean-Auguste-Dominique Ingres (la testa della modella avvolta dal turbante), che egli ammira.

La passione di creare

Violon d’Ingres, è un’opera che riflette soprattutto l’importanza delle passioni amorose, che  permeano l’opera dell’artista. “Un uomo serio e rigoroso e al tempo stesso preso dalla leggerezza; un uomo nella cui arte non manca mai la trasposizione delle – numerose – amicizie e  degli incontri, come un bisogno di proiettare i sentimenti del momento nelle sue creazioni”, spiega l’esperto e critico arte italiano, Janus, uno dei migliori conoscitori di Man Ray, che ha personalmente frequentato.

Nella mostra di Lugano, questa sequenza di incontri, come la sua amicizia con Marcel Duchamp, le sue relazioni con  Lee Miller, Nusch Eluard e, in particolare, Juliet Browner, vengono messi luce grazie ad alcuni alcuni passaggi audio dell’autobiografia dell’artista.

Insomma una serie di confidenze con i riflettori accesi sulle circostanze che hanno fatto da sfondo o da catalizzatore alla formazione dell’artista , rivelando l’affascinante ambivalenza di Man Ray, tra dubbi e certezze per oltre mezzo secolo di creazione .

Giochi di parole e e di senso

Giochi di parole e allusioni, il lavoro di Man Ray è una ricerca perpetua di senso, tra finzione e realtà, come in Noire et Blanche, una fotografia scattata nel 1926. Rappresenta un volto di donna (quella di Kiki de Montparnasse), gli occhi chiusi, disteso su un tavolo e accanto a lei, una maschera africana di ebano.

Un linguaggio artistico semplice e sofisticato al tempo stesso che l’artista aveva anche introdotto nel suo diminutivo “Man Ray”, per Emmanuel Radnitzky. Un desiderio non di oscurare le proprie origini ebraiche, ma di giocare con le parole e i significati. Man Ray “uomo della luce”, come l’americano amava descriversi.

Per Marco Franciolli, uno dei tre curatori della mostra, questo evento culturale è “un sogno che si avvera”, dice con emozione. “Per gli studenti di arte e di storia dell’arte degli anni Settanta, come me, Man Ray è stato una fonte inesauribile di riferimenti e riflessioni. E poter accogliere le sue opere nelle pareti del nostro museo è un grande privilegio”.

Capitoli di vita

Un percorso e soprattutto quattro aree della tumultuosa vita di Man Ray, che i curatori della mostra luganese hanno scelto di suddividere in capitoli, nello scrigno intimo di Villa Malpensata.

La prima parte, dedicata agli anni della formazione di Man Ray fino al 1921, a Ridgefield (nel New Jersey) – culla di un’importante di artisti, che frequenta pur rifiutando di aderire a qualsiasi movimento – e a New York.

Poi ecco il primo periodo parigino dal 1921 al 1940, vissuto a fianco dei più grandi artisti del XX secolo – divenuti suoi amici  – come Pablo Picasso, Marcel Duchamp, Meret Oppenheim, Jean Arp, Francis Picabia. Questo intreccio è evidenziato da alcuni ritratti inseriti nella mostra, così come da alcune opere che evidenziano le loro affinità e un certo linguaggio artistico in comune.

La terza parte copre il periodo che lo conduce dalla capitale francese alla sua America natale, a Los Angeles e a Hollywood, dove rimase per un decennio. Dal 1940 al 1951, gli anni cioè della guerra e del dopoguerra, i musei e le gallerie spalancano le porte a questo artista , “così poco americano”.

Ma alla fine è ancora una volta il fermento artistico e culturale della Ville Lumière che consacrerà veramente la carriera di Man Ray.

Philadelphia. Man Ray, all’anagrafe Emmanuel Radnitsky, nasce il  27 agosto 1890 a Philadelphia, USA.

New York. Pittore, fotografo, designer, scrittore, regista, è uno dei protagonisti del dadaismo a New York.

 

Parigi. Nel 1921 s’imbarca per Le Havre e si trasferisce a Parigi.

 

Foto. L’americano rivoluziona l’arte fotografica e i grandi artisti dell’epoca posano volentieri davanti al suo obiettivo, come James Joyce e Jean Cocteau.

 

Morte. Muore il 18 novembre 1976 a Parigi.

 

Epitaffio. È sepolto nel cimitero di Montparnasse. La sua tomba porta il suo epitaffio: Unconcerned but not indifferent (Distaccato ma non indifferente).

Dada. Il dadaismo è un movimento intellettuale, letterario e artistico caratterizzato da una messa in discussione di tutte le convenzioni e ideologiche, artistiche e politiche.

 

Zurigo. Il termine Dada nasce nel Maggio del 1916 a Zurigo, su iniziativa del poeta Hugo Ball e Tristan Tzara e  dei pittori Jean Arp, Marcel Janco e Sophie Taeuber-Arp.

 

Assurdità. Come reazione all’assurdità e alla tragedia della prima guerra mondiale, chiamano il movimento creato con quel nome;  è anche un “cipperimerlo” a tutti i movimenti che finiscono in –ismo.

 

Individualismo. Dada si è anche imposto come un movimento senza un vero leader.

 

Libertà. Cercavano la più grande libertà possibile per esprimere la loro creatività, facendo campo a diversi materiali e forme.

La mostra su Man Ray può essere visitata fino a domenica 19 giugno 2011 presso il Museo d’Arte di Lugano.

Il catalogo della mostra Man Ray è edito da Skira ed è pubblicato in italiano e inglese. I testi sono firmati Guido Comis, Marco Franciolli, e Janus.

Traduzione di Françoise Gehring

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