Opera a Avenches: un piccolo miracolo che si ripete da 20 anni
Dare vita ad “una piccola Verona” a Nord delle Alpi, senza sostegni pubblici e in una regione con un clima non molto propizio. È la sfida vinta dal Festival Avenches Opéra, che festeggia quest’anno la sua 20esima edizione mettendo in scena “Carmen” nel suo anfiteatro romano.
“L’amour est un oiseau rebelle que nul ne peut apprivoiser…”: il canto d’amore ribelle di Carmen si libra nel cielo di Avenches in una tiepida notte d’inizio estate. Nell’arena, dove un tempo si affrontavano gladiatori e animali, anche l’insolente gitana, che seduce e deride i suoi pretendenti, si avvia verso il suo tragico destino, dinnanzi a 5’000 persone.
La scena è sobria, con un palco grigio, che sembra fatto di cemento. Ma nella grande cornice dell’anfiteatro romano risaltano così ancora di più i colori dei costumi, i gesti dei solisti e i movimenti del coro. E Carmen, come sempre, è infuocata e passionale. A rivestire i suoi panni sono la mezzosoprana francese Béatrice Uria Monzon, considerata tra le migliori intrepreti mondiali di questo ruolo, e la grande soprana svizzera Noëmi Nadelmann, che ritorna per la terza volta ad Avenches.
“Mi sono esibita in diverse opere all’aperto, ma per me Avenches è un’esperienza unica, anche perché si canta senza microfoni. È fantastico sentire come la tua voce riempie quest’arena e ritorna fino a te. Qui puoi giocare con l’acustica, puoi cantare un brano sottovoce e si sente tutto. Poi, quando sale la luna e risuonano gli ultimi canti degli uccelli, diventa una cosa magica”.
Periodo d’oro
L’anfiteatro è la più imponente testimonianza dei fasti di Avenches, duemila anni fa. Capitale dell’Elvezia romana, Aventicum è allora un’importante piattaforma di scambio delle merci, che giungono fin qui dal Mediterraneo, attraverso il Rodano e il lago Lemano, e dal Mare del Nord, attraverso il Reno e i laghi dell’Altopiano. A quei tempi la città deve contare almeno 20’000 abitanti, contro appena 3’800 oggigiorno.
“L’anfiteatro era molto più alto di oggi. Aveva una decina di gradini in più e poteva contenere fino a 16’000 persone. Vi si praticavano giochi di caccia e combattimenti, accompagnati probabilmente dal suono della musica”, indica Marie-France Meylan Krause, direttrice della fondazione Pro AventicoCollegamento esterno.
L’invasione degli Alemanni nel terzo secolo d.C. pone fine al periodo d’oro di Aventicum. Nei secoli seguenti, i prestigiosi monumenti romani si trasformano in pratica in cave, da cui si asportano le pietre per la costruzione di muri e di case. Lo stesso anfiteatro rimane sepolto sotto la terra fin verso il 1940, quando iniziano grandi lavori di scavo e di restaurazione delle storiche vestigia. Fino all’inizio degli anni ‘90, Avenches attira però più che altro delle classi scolastiche.
Altri sviluppi
Carmen a cielo aperto
Resistenze degli abitanti
Poi, un giorno, all’Ufficio del turismo di Avenches giunge un fax inviato da un cantante d’opera, che propone di utilizzare l’anfiteatro per organizzare delle rappresentazioni liriche. “In un primo tempo, il progetto ha suscitato delle resistenze. Ad alcuni, sembrava troppo grande per il villaggio”, ricorda Léo Obertüfer, attuale presidente della fondazione Avenches OpéraCollegamento esterno.
“I vodesi sono diffidenti”, spiega l’autore della proposta, Sergio Fontana, cresciuto a Berna e di origini ticinesi. “Avevano paura delle cifre, un po’ grosse. Dicevano ‘les gens ne vont pas venir’ (la gente non verrà) e continuavano a menarla, se piove, se non piove …”.
Ma, per finire, l’iniziativa raccoglie i sostegni necessari. Sergio Fontana, che si è esibito come basso in diversi teatri europei, tra cui per una ventina d’anni alla Scala, trova un’orchestra, mette assieme un coro e sfrutta la sua rete di contatti internazionali per ingaggiare grandi solisti. In un anno tutto è pronto per la prima opera, l’Aida, nel 1995. Le sei rappresentazioni fanno il tutto esaurito.
Crescente concorrenza
“È stato un sogno, un sogno totale. La gente era entusiasta. Si diceva: abbiamo vinto la prima edizione, adesso l’opera lirica nell’arena deve diventare un evento annuale”, ricorda ancora Léo Obertüfer. Il successo si ripete: 36’000 spettatori il primo anno, 42’000 il secondo, 52’000 il terzo. Avenches diventa così l’appuntamento svizzero con l’opera sotto le stelle. Oltre l’80% delle spese sono coperte dal pubblico, il resto da sponsor.
Festival di Avenches
Giunto alla sua ventesima edizione, il Festival Avenches Opéra ha attirato finora quasi 750’000 spettatori nello storico villaggio del Canton Vaud.
Nell’anfiteatro romano, in cui trovano posto fino a 6’000 persone, sono andati in scena diversi grandi classici della lirica, tra cui Aida, Nabucco, La Traviata, Turandot, Il Barbiere di Siviglia, Rigoletto e il Flauto magico.
Il festival viene finanziato per oltre l’80% tramite gli incassi e per il resto da sponsor.
La critica non è stata sempre tenera di fronte agli alti e bassi delle opere rappresentate ad Avenches. Ma, con quasi 750’000 spettatori in 20 edizioni, di certo il festival ha riacceso un po’ l’interesse per la musica lirica in Svizzera, da tempo in declino. “L’opera è stata lasciata cadere, non solo in Svizzera, ma anche in Italia. Donizetti ha scritto più di 70 opere, Rossini una cinquantina, Verdi quasi 30. Oggi, la maggior parte della gente conosce forse due opere di un compositore”, osserva Sergio Fontana.
Il festival è riuscito finora a superare anche la difficile prova del clima, poco clemente proprio quest’anno, in cui si festeggia il 20esimo anniversario. Più del cattivo tempo, Avenches Opéra soffre però da qualche anno della crescente concorrenza. “Vi sono sempre più festival all’aperto, se non arte lirica, musical o altri spettacoli. È una fetta di torta che se ne va altrove”, rileva Léo Obertüfer.
Piccolo miracolo
Nonostante un certo calo di pubblico, la “piccola Verona” rimane una benedizione per il villaggio vodese. “Avenches ci ha guadagnato molto dal profilo turistico. Molti spettatori vengono già nel pomeriggio e scoprono le testimonianze romane e l’architettura medievale del villaggio”, aggiunge il presidente della fondazione. Centinaia di abitanti, la maggior parte volontari, collaborano al festival.
Per lottare contro la concorrenza, il festival punta soprattutto sulla qualità. Eric Vigié, direttore artistico dal 2010, ha professionalizzato quasi ogni attività, dal coro alla musica fino ai lavori dietro le quinte. Da Losanna, dove dirige durante l’anno l’Opera municipaleCollegamento esterno, porta con sé ogni estate ad Avenches musicisti, coristi e scenografi.
“L’Opera di Avenches rappresenta ogni anno una grande sfida. Bisogna far vivere un palco molto più grande e con pochi mezzi tecnici rispetto ad una sala di teatro. Ci vogliono voci molto potenti per raggiungere tutti gli spettatori. E poi ci sono molti imprevisti, come il vento, i pollini, gli sbalzi di umidità e di temperatura. Quando tutto funziona è ogni volta un piccolo miracolo”, spiega Vigié.
Suono naturale
Per festeggiare la 20esima edizione del festival, Eric Vigié mette in scena una Carmen ambientata negli anni ’60, verso la fine dell’era di Franco. Quasi un secolo dopo, quindi, i tempi in cui quest’opera è uscita dalla mente di Bizet.
“Ho voluto evitare di cadere del folclore spagnolo, con le sue nacchere e tutti gli altri cliché, per dare soprattutto risalto alla qualità delle voci e degli strumenti, che si possono apprezzare pienamente in questo anfiteatro. Nell’arena di Avenches l’acustica è molto pura, non abbiamo bisogno né di microfoni, né di alcun altro mezzo di sonorizzazione. Il suono è naturale, come deve esserlo nell’arte lirica”, sottolinea Vigié.
Carmen
Per questa edizione, che si conclude sabato 12 luglio, il festival propone una nuova rappresentazione di Carmen, cantata da Béatrice Uria Monzon e Noëmi Nadelmann. Il ruolo di Don José è interpretato da Jorge de Leon e Giancarlo Monsalve.
Ispirata dalla novella di Prosper Mérimée e ambientata a Siviglia, Carmen è un’opera in quattro atti composta dal musicista francese Georges Bizet e messa in scena per la prima volta nel 1875 a Parigi.
Le prime rappresentazioni non incontrano i favori del pubblico e della critica, che giudicano tra l’altro l’opera immorale. Questo insuccesso intacca la salute di Bizet, che muore pochi mesi dopo all’età di 36 anni.
Solo dopo alcune modifiche del libretto – operate da Ernest Guiraud, amico del compositore – e l’ottima accoglienza ottenuta negli anni seguenti in altri paesi, il capolavoro di Bizet diventa a tutt’oggi una delle opere più rappresentate a livello mondiale.
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