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«Packaging», ovvero l’arte dell’imballaggio

Una delle ultime tendenze è di associare il nero a dei prodotti alimentari, Marie Humair / Olivier Laffely

Cosa sarebbe un prodotto cosmetico o un altro bene di consumo senza la sua confezione? Il Museo di design e di arti applicate contemporanee (mudac) di Losanna propone un'interessante riflessione sulle strategie adottate dalle marche per i loro imballaggi.

All’inizio vi era l’imballaggio. Semplice involucro funzionale per proteggere, trasportare e conservare un prodotto. Poco contava la presentazione, un sapone era un sapone. Nulla di più, nulla di meno.

Poi, con lo sviluppo della produzione industriale, col passare degli anni il contenitore è diventato sempre più importante. In un’epoca contraddistinta dal consumo di massa, dall’avvento dei supermercati e dalla scomparsa dei piccoli negozietti di paese che sui loro scaffali avevano al massimo due marche diverse di deodorante, l’imballaggio è diventato uno strumento essenziale.

Solo distinguendo in modo chiaro il suo prodotto, una marca ha una chance di conservare i suoi clienti e di sedurne dei nuovi. Da semplice contenitore, la confezione si è trasformata in una sorta di media pubblicitario che fa parte del prodotto stesso. Un concetto che gli addetti del settore chiamano ‘packaging’.

«Un portavoce della marca»

«Il ‘packaging’ è ormai diventato un portavoce della marca», osserva Claire Favre Maxwell, curatrice dell’esposizione «Packaging: emballer à dessein» (che si potrebbe tradurre con «Packaging: imballare con un disegno, un obiettivo»). Un sapone non è più un semplice sapone, ma il sapone di lavanda biologico di Marsiglia liquido, naturalmente fabbricato con un metodo ancestrale e presentato in una scintillante bottiglia di colore argentato. Come non cadere in tentazione?

Negli ultimi decenni, le aziende hanno moltiplicato i loro sforzi, anche perché, come spiega Claire Favre Maxwell, «costa molto meno cambiare il ‘packaging’ che modificare la ricetta del prodotto». Il risultato lo si può vedere ogni volta che si va a fare la spesa, con degli imballaggi che a volte sono quasi delle opere d’arte, concepite da designer e artisti di fama mondiale.

La mostra al Museo di design e di arti applicate contemporanee di Losanna cerca di decifrare le strategie utilizzate dalle marche concentrandosi su quelle alimentari e cosmetiche. «Abbiamo scelto questi due settori perché si tratta di prodotti conosciuti da tutti e che sono particolarmente innovativi», sottolinea la curatrice dell’esposizione.

L’occhio vuole la sua parte

Per attirare lo sguardo del cliente, la prima strategia è naturalmente il colore. «Le tinte piuttosto scure sono spesso associate a prodotti per gli uomini», osserva Claire Favre Maxwell, mostrandoci delle bottiglie di whisky e dei prodotti di bellezza destinati ai maschi. Il colore oro, simbolo per eccellenza del lusso, si ritrova invece spesso sulle confezioni di cosmetici per «un’epidermide matura», mentre toni più vivaci come il rosso o l’arancione su profumi o creme più «giovanili».

La vodka, diventata negli ultimi anni uno dei superalcolici più consumati, soprattutto dai giovani, punta spesso su tinte scintillanti, glamour, al limite kitsch, che ricordano le luci della discoteca.

Tra le ultime tendenze, vi è quella di associare il nero a prodotti alimentari, «un colore elegante e sobrio finora utilizzato solo in cosmetica» – precisa Claire Favre Maxwell. Grazie a questo semplice espediente un banale pacchetto di patatine chips può trasformarsi nel non plus ultra gastronomico.

Confusione dei generi

L’esposizione si concentra anche sull’evoluzione del packaging. Il «colpo di genio» di alcune marche è stato di riuscire ad imprimersi nel subconscio collettivo attraverso un tratto caratteristico della confezione. Cosa sarebbe l’Ovomaltina (una bevanda a base di cacao) senza la sua tradizionale scatola arancione? O la Coca Cola senza la sua bottiglia? O la crema Nivea senza il suo barattolino di latta blu?

Eppure, osservando le trasformazioni successive degli imballaggi di molti prodotti cari ai consumatori svizzeri, ci si rende rapidamente conto che ciò che si credeva immobile, in realtà ha subito una profonda mutazione. L’immagine statica che figurava trent’anni fa sulla scatola arancione si è trasformata in una rappresentazione dinamica, fresca, traboccante d’energia. Il ‘packaging’ si adatta alle tendenze della sua epoca e ai gusti – veri o supposti – del pubblico alla velocità della luce.

Oggi le marche giocano molto anche su quella che Claire Favre Maxwell chiama «la confusione dei generi». Esposto in una bacheca, si può ammirare il classico flacone di profumo Chanel. O meglio, un flacone identico a quello del profumo Chanel, ma solo un po’ più grande e con al suo interno… dell’olio d’oliva! «Questo sistema di ‘packaging’ permette di sorprendere, di presentare il prodotto come qualcosa di esclusivo e spesso funziona», sottolinea Claire Favre Maxwell.

Travestire la banalità

Esclusivo. Il termine non poteva essere più azzeccato. Il prodotto più banale deve apparire come qualcosa di favoloso. E ciò salta all’occhio – è proprio il caso di dirlo – nella sala consacrata alle bottiglie di acque minerali. Come riuscire a vendere 75 centilitri di semplicissima acqua a quasi 30 euro? Semplice, basta utilizzare una bottiglia di un argento sgargiante, incastonarla di cristalli Swarowski e battezzarla con l’altisonante nome di Bling H20.

«Non volevamo che l’esposizione facesse pensare a un supermercato; lo scopo era di demistificare questi oggetti in commercio e non di farne la promozione», dice Claire Favre Maxwell. Obiettivo raggiunto: la scenografia, fatta con mobili recuperati e ricoperti di nastro adesivo bianco, ricorda a tratti una clinica. Ma soprattutto l’esposizione ci mostra come implacabilmente tutti, a volte, soccombiamo alla banalità. Basta che si presenti con vestiti favolosi.

swissinfo, Daniele Mariani

L’esposizione «Packaging: emballer à dessein» è stata inaugurata il 4 marzo e rimarrà aperta fino al primo giugno 2009.

Il Museo di design e di arti contemporanee applicate è aperto dal martedì alla domenica dalle 11 alle 18.

Oltre ai prodotti di numerose marche, l’esposizione al mudac presenta i lavori di diversi designer ed artisti che per le loro opere si ispirano dagli imballaggi.

Ad esempio, sono esposti una serie di mobili – «Pack Sweet Pack» – del collettivo di designer Big Game, tra cui un tappeto dalla forma di un cartone aperto.

Il grafico londinese Bark propone dal canto suo un’installazione fatta con le confezioni Tetrapack, mentre la fotografa francese Floriane de Lassée una serie di scatti intitolati «Supermarket».

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