Prospettive svizzere in 10 lingue

Per l’italiano a Neuchâtel il dado è tratto

Una delle manifestazioni che chiedevano il mantenimento della cattedra d'italiano a Neuchâtel Keystone

Il Parlamento cantonale neocastellano ha approvato il progetto di riforma dell'università, che prevede la soppressione delle cattedre d'italiano e di greco.

A nulla sono valse le manifestazioni, la mobilitazione degli studenti e di parte del corpo docenti.

La questione della lingua – o delle lingue – riemerge ad intervalli regolari nella storia di diversi paesi occidentali. In questi momenti, sosteneva Antonio Gramsci, ad affiorare sono in realtà altre questioni, non solo culturali, ma anche politiche, economiche e sociali.

Lo si è visto bene nel «caso» della cattedra d’italiano dell’Università di Neuchâtel, dove a scontrarsi sono stati principi sociopolitici (l’italiano è una lingua nazionale e come tale il suo insegnamento deve essere garantito anche fuori dai confini territoriali per permettere la reciproca conoscenza delle varie comunità linguistiche elvetiche) ed economici (pochi iscritti, meglio investire in altre materie, come l’etnologia, che suscitano un grande interesse).

Svolta decisa

A Neuchâtel l’italiano ha perso la sua battaglia. Il verdetto è senza appello: con 90 voti contro 13, il parlamento cantonale neocastellano ha approvato martedì sera il piano di riforma dell’Università, che prevede la soppressione delle cattedre di italiano e greco antico, in cambio di una ristrutturazione a favore di altre discipline.

L’unica concessione riguarda il mantenimento temporaneo dell’insegnamento «fuori cattedra» dell’italiano da parte di un lettore. Questo espediente rimarrà in vigore fino all’elaborazione di una soluzione coordinata a livello della Svizzera francese.

Il fatto che all’origine della decisione non ci siano problemi finanziari – l’italiano non è stato soppresso per risparmiare, ma per avere più fondi per altre materie – ha suscitato l’indignazione dei professori d’italianistica dell’università di Zurigo che in un comunicato diramato a metà febbraio scrivevano: «Non sembrano essere tanto i dati numerici a decidere della sopravvivenza delle singole cattedre, quanto piuttosto la precisa intenzione di riscrivere la politica culturale del paese».

«In questa logica aziendale l’italiano viene posto in competizione diretta con lingue a grande diffusione, come l’inglese, e s’instaura così un confronto impari e insensato fra lingue veicolari e lingue di cultura, lingue straniere e lingue nazionali.»

Le manifestazioni non sono valse a nulla

Dopo che senza molto rumore era stata soppressa la cattedra d’italiano del Politecnico federale di Zurigo e ridotta a metà quella di linguistica dell’Università di Basilea, le intenzioni dell’Università di Neuchâtel hanno acceso le discussioni. Mai come in questi ultimi mesi si è parlato – anche grazie ad una serie di mostre sulla lingua di Dante – della situazione dell’italiano in Svizzera al di fuori dei territori italofoni.

I deputati neocastellani non si sono però lasciati convincere dagli argomenti di chi chiedeva loro di mantenere l’insegnamento dell’italiano alla loro università. Le richieste degli studenti e di parte del corpo docenti, che a fine gennaio-inizio febbraio avevano organizzato tre manifestazioni contro la riforma non sono state accolte.

Nella sua risposta ai granconsiglieri, il consigliere di Stato Thierry Béguin ha rammentato la necessità ineluttabile per l’università di adattarsi al contesto europeo ed ha chiesto agli ambienti universitari di restaurare il clima di serenità indispensabile alla messa in atto della Riforma di Bologna. Riguardo alla soppressione della cattedra d’italiano, Béguin ha espresso il suo sostegno ad un approccio coordinato a livello svizzero per preservare l’insegnamento accademico di questa lingua.

Uscire dai confini

La legittimità dei poli di competenza auspicati dalla Riforma di Bologna – di per sé una buona cosa – si scontra con l’idea di paese plurilingue che i professori d’italianistica di Zurigo hanno della Svizzera. «È necessario che il plurilinguismo viva non solo in pochi angoli del paese scelti a tavolino, ma continui ad agire su tutto il territorio».

Non basta quindi il progetto – per ora poco concreto – di creare un Istituto d’italianistica presso l’Università della Svizzera italiana. «La storia che ci ha portati fin qui», continuano i professori, «ci insegna che chiudere la difesa della lingua italiana entro i confini di una politica territoriale è una scelta perdente, che invece di aumentare il prestigio della lingua e della cultura italiana sul territorio nazionale le riduce a un fenomeno localistico e isolato».

La decisione di Neuchâtel non segna certo la morte dell’italiano, ma è accolta con dispiacere anche al di là dei confini svizzeri. «In Italia seguiamo questa evoluzione con ansia», afferma il noto linguista Luca Serianni, professore all’Università La Sapienza di Roma, facendo riferimento alla grande tradizione svizzera nello studio delle lingue romanze. «La perdita di cattedre e di una tradizione di studio dell’italiano non è una perdita solo per la Svizzera o per l’Italia, ma per il mondo scientifico in generale».

swissinfo, Doris Lucini

Il Politecnico di Zurigo e l’Università di Neuchâtel hanno soppresso le rispettive cattedre d’italiano.
L’ateneo di Basilea ha dimezzato la cattedra di linguistica.
L’Università di Friburgo potrebbe rinunciare all’assunzione di un professore di filologia romanza.
In Svizzera sono circa 1280 gli studenti iscritti a italiano (come materia principale o secondaria)

Il parlamento neocastellano ha deciso a grande maggioranza la soppressione delle cattedre universitarie di italiano, greco antico, microbiologia e fisica teorica.

S’intende così favorire lo sviluppo delle discipline più frequentate, in particolare i poli di competenza della microtecnica e della biologia vegetale.

Gli studenti e la maggioranza dei professori e degli assistenti dell’ateneo di Neuchâtel si erano detti contrari al programma del rettorato.

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