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Sabine Weiss: “La fotografia non è arte, ma artigianato”

Lo sguardo di Sabine Weiss è rivolto alla magia dell'istante. Thomas Kern/swissinfo.ch

Sabine Weiss ha utilizzato la luce per trasmettere emozioni attraverso la fotografia, non per mettersi in mostra. L’importante, per lei, è il lavoro in sé. Di esporlo non le importa un granché. A 92 anni, l’ultima rappresentante della scuola umanista si è però arresa e ha accettato di mostrare la sua storia in una retrospettiva che fa tappa in Svizzera, suo paese d’origine.

Artista, femminista, fotografa umanista, Sabine Weiss non vede di buon occhio le etichette: “Non mi piace essere classificata, perché ho fatto talmente tante cose”. Una fotografia riuscita? “Deve essere semplice e commuovere”.

Ed è così che Sabine Weiss ha sempre vissuto; una vita fuori dal comune ma semplice. Grazie alla sua sensibilità ha trasformato scene ordinarie in immagini senza tempo. Ha fotografato i bambini della strada e i grandi della sua epoca con la stessa semplicità, catturando sempre la nobiltà dell’istante.

A 92 anni, è arrivato il momento di raccontare.

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Incastrato in una corte parigina, nel cuore di un quartiere chic della capitale francese, l’appartamento di Sabine Weiss, anche suo atelier da 46 anni, testimonia di quasi sei decenni di fotografia. “All’inizio avevo improvvisato una camera oscura, ma potevo lavorare solo di notte, altrimenti c’era troppa luce”, ricorda.
 

La fotografa svizzera naturalizzata francese vive attorniata dai suoi archivi. Li si trova in tutte le stanze, dal soggiorno all’ufficio, e sono tutti minuziosamente classificati. “Una cosa bella del lavoro di Sabine, è che si può ritrovare tutto”, fa notare Laure Augustins, la sua assistente. Conservare è diventato un modo di vivere per Sabine Weiss, che ha trasformato i suoi ricordi in altrettante collezioni che decorano la sua casa; scatole di sardine, ex voto in metallo, pennelli antichi o piccoli cestelli in vimini. “Proteggo dalla distruzione”, spiega.

“Non sono un’artista”

Tra i numerosi oggetti, quadri e maschere africane che decorano i muri della casa, non c’è nessuna fotografia firmata Sabine Weiss. “Anche questa foto dei miei nipoti non l’ho scattata io, è stato un fotografo da spiaggia”, spiega indicando uno scatto che mostra una ragazzina e un ragazzino.

“Sono due dei tre figli di mia figlia Marion”. Quest’ultima, di passaggio da sua madre, le propone di aiutarla a truccarsi per il servizio fotografico. “Sono ancora capace di mettermi un po’ di trucco”, la rimprovera maliziosamente Sabine Weiss. Malgrado l’età e un’operazione al ginocchio in vista, ci tiene a gestire in prima persona le sue cose, e lo fa con dinamismo, aiutata dalla sua assistente.   

“Ero molto indipendente, ma non ero una ribelle. Mio padre mi ha sempre lasciato fare. Non ho dovuto battermi per questa libertà, ce l’avevo e basta”
Sabine Weiss

A Sabine Weiss non piace essere sotto i riflettori. Le esposizioni, sue o di altri fotografi, non sono la sua passione. “Ne ho avute alcune molto belle negli Stati Uniti, ma non sono andata a vederle”. “L’artista” non è lei, ma suo marito, il pittore americano Hugh Weiss, deceduto nel 2007. “Era lui che doveva esporre”. Lei si considera invece “l’artigiana fotografa”, che non ha vissuto la fotografia come arte ma piuttosto come artigianato, con le sue difficoltà tecniche, oggi semplificate dal digitale.

Sabine Weiss ha atteso il 92esimo compleanno prima di prendere in considerazione un’esposizione retrospettiva sulla sua opera, che ha fatto tappa in Svizzera al museo Bellpark di Kriens, nel canton Lucerna.

Una donna in un mondo di uomini

Sabine Weiss è nata nel 1924 nel canton Vallese, a Saint-Gingolph, villaggio di frontiera tra la Svizzera e la Francia, ed è cresciuta nella campagna ginevrina. Suo padre era un ingegnere chimico. “In questo modo, ho conosciuto i prodotti e i materiali. Anche la parte di laboratorio della fotografia mi interessava”, ricorda.

A 16 anni ha lasciato la famiglia per diventare ragazza alla pari, e ha poi iniziato un apprendistato in un rinomato studio di fotografia a Ginevra. Incoraggiata dal padre, Sabine Weiss ha potuto scegliere la propria strada in un’epoca dove le donne erano raramente padrone del proprio destino. “Ero molto indipendente, ma non ero una ribelle. Mio padre mi ha sempre lasciato fare. Non ho dovuto battermi per questa libertà, ce l’avevo e basta”. 

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Questo contenuto è stato pubblicato al Vi si trovano esposte alcune pietre miliari del lungo percorso della fotografa, ultima rappresentante della scuola umanista incarnata da Robert Doisneau, Willy Ronis o Edouard Boubat. L’esposizione comprende quasi 130 fotografie, dei film, ma anche numerosi documenti d’epoca. È stata concepita dalla Galleria nazionale Jeu de Paume in collaborazione con la città di Tour, in…

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Nessuna lotta, nessuna battaglia femminista. Sabine Weiss ha tratto anche benefici dalla sua femminilità. “Non mi ha mai dato fastidio essere una donna. Negli uffici erano tutti uomini, ed erano contenti di vedere una donna”, dice ridendo. Non si faceva comunque calpestare quando, in una folla di colleghi, qualcuno le diceva: “Si sposti, signora, lasci lavorare i fotografi!”. Sabine Weiss sapeva difendersi. “Non sono mai stata civettuola. E neanche combattiva. Ero normale”, dice.

Partire per fuggire da un amore impossibile

“Rigore e semplicità”, valori calvinisti che Sabine Weiss non ha mai perso dai tempi della sua gioventù ginevrina. Ed è proprio dalla complessità che è fuggita quando ha lasciato la città sul Lemano, dove aveva già aperto il suo atelier. “A 18 anni, ho avuto dei problemi d’amore irrisolvibili. L’unica soluzione possibile è stata partire”, racconta.

Nel 1946, la Parigi del dopoguerra l’ha accolta a braccia aperte. “Le persone erano felici. I negozi riaprivano, e anche i deliziosi bistrot. Non c’erano soldi, ma si mangiava sempre fuori casa. Ce ne si fregava di molte cose”.

A Parigi, è diventata l’assistente del fotografo Willy Maywald. Parallelamente, percorreva i mercati e fotografava le vetrine delle piccole boutique. “Ogni tanto si facevano degli scambi. Davo una foto al macellaio e lui mi offriva una bistecca”, ricorda.  

“A 18 anni, ho avuto dei problemi d’amore irrisolvibili. L’unica soluzione possibile è stata partire”
Sabine Weiss

Poi, una serie di fortunati incontri, tra i quali quello con il celebre fotografo Robert Doisneau, immediatamente conquistato dal lavoro di lei. Grazie al suo supporto, ottiene un contratto di collaborazione con la rivista Vogue, e poi con l’agenzia Rapho. In questo modo Sabine Weiss è diventata una dei rappresentanti della fotografia umanista francese, un’etichetta che ha accettato malgrado la considerasse riduttiva.

“Lui per tutta la vita”

Nella città dell’amore, la fotografa si è anche riappacificata con i sentimenti. “Ho conosciuto un uomo e mi sono detta: ‘Sarà lui per il resto della mia vita’!”. Nel 1950 sposa dunque Hugh Weiss, per ragioni di praticità piuttosto che per i sacramenti del matrimonio: “Dovevo partire per un reportage in Egitto e lui mi ha detto: ‘Ci sposiamo, così posso venire a recuperarti se succede qualcosa’.” Durante la cerimonia, indossava un completino nero. “Quando l’ho raccontato a mia nipote, è rimasta scioccata, ma per me il matrimonio non era importante. La nostra storia è stata semplicemente un grande amore, 58 anni di gioia!”.

In Egitto, ci sono stati in effetti dei problemi. “Sono stata espulsa per spionaggio”, racconta con malizia. Dai suoi viaggi ai quattro angoli del mondo, ha riportato enormi bagagli di aneddoti. Sono pochi i soggetti sfuggiti al suo obiettivo: pubblicità, moda, personaggi famosi, gente di strada. “Ho fotografato anche i cadaveri all’obitorio. All’epoca era spesso l’unica fotografia che si poteva utilizzare per ricordarsi di qualcuno. Ogni tanto era divertente, ogni tanto molto triste.”

Oggi, ha messo da parte i suoi strumenti. “Non posso più tenere una macchina fotografica con due mani perché ho una spalla che mi fa male e con un braccio solo mi muovo troppo”. 

Traduzione dal francese, Zeno Zoccatelli

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