Robert Frank, tra foto e cinema
Foto in bianco e nero, polaroid a colori e cinema. Winterthur si conferma polo elvetico della fotografia, esponendo le opere del celebre artista svizzero.
Sulle pareti del Fotomuseum, le immagini catturate dall’obiettivo di Robert Frank coinvolgono il visitatore nella sua eterna ricerca della realtà.
«Siamo molto orgogliosi di questa esposizione. Si tratta di un avvenimento davvero grandioso», confida raggiante a swissinfo Urs Stahel.
L’entusiasmo del direttore del Fotomuseum di Winterthur (canton Zurigo) è giustificato: il più grande museo di fotografia d’Europa accoglie infatti le opere del più famoso fotografo svizzero.
Robert Frank – secondo Stahel uno dei nomi più celebri dell’intera storia della fotografia – è sicuramente uno degli artisti più influenti della nostra epoca, che mai ha cessato di esplorare e reinventare l’immagine fotografica.
Maestro del quotidiano, Frank ha rotto decisamente con gli schemi classici del reportage: l’obiettivo della sua Rolleiflex e della Leica è sempre stato attratto dalla realtà più che dalla bellezza, andando a scovare particolari di cui solo l’artista sembra in grado di notare l’esistenza.
Lontano dagli schemi
La visita al Fotomuseum inizia, paradossalmente, all’esterno dell’edificio. Negli adiacenti locali della Fondazione svizzera per la fotografia, che ha affiancato il museo nel 2003, sono infatti esposte le foto dei primi anni della lunga carriera di Frank.
Già dai primi scatti effettuati durante un viaggio in Perù e Bolivia (1948), si intuisce che l’artista cerca immagini dirette, spontanee. Come i visi dei lavoratori Inca, scalpellati dalla fatica e dalla rudezza del clima.
Che Frank volesse staccarsi dal servizio fotografico classico, lo si nota dalle immagini raccolte l’anno seguente durante la Landsgemeinde di Hundwil, nel canton Appenzello esterno: gli esponenti del governo, elegantemente vestiti, sono sacrificati a scapito dei cittadini comuni accorsi per l’alzata di mano.
Nebbia per attenuare i contrasti
Attirato dal sistema estremamente polarizzato delle classi sociali inglesi, Frank effettua, nei primi anni ’50, viaggi a Londra e nel Galles.
Sulle bianche pareti all’interno della Fondazione, gli impiegati di banca della City inglese immortalati dal suo obiettivo si muovono con passo deciso, incuranti, come se non esistessero, degli operai che accanto al marciapiede scaricano pesanti sacchi di carbone.
Con abilità, Frank fa tuttavia uso del velo di nebbia calato sulla città per attenuare tutti i contrasti, creando una sorta di matrice unica che accomuna i personaggi delle sue foto, di qualsiasi ceto essi appartengano.
La sua ricerca del reale e del quotidiano risulta evidente nella serie di immagini dedicate al minatore Ben James, che Frank segue dalle profondità della terra all’intimità della sua abitazione.
Uno sguardo soggettivo e casuale
Le foto che descrivono l’America come nessun altro prima aveva immaginato fare, sono invece esposte nelle sale del museo.
Tra il 1955 e il 1956, Robert Frank percorre le strade del continente a stelle e strisce, mosso dal desiderio di fotografare i diversi strati della società statunitense, con l’occhio dello straniero.
Un periplo che lo porta dapprima a Detroit, nelle sue enormi fabbriche di automobili. Come testimoniano numerose istantanee, l’obiettivo della sua Leica si intrufola tra i macchinari per catturare il lavoro di quegli operai che, come afferma lui stesso, sono costretti in «un luogo opprimente, sporco e rumoroso».
Nella serie dedicata al Congresso democratico di Chicago, spiccano invece immagini dai tratti surrealisti: come il suonatore di tuba senza testa di fronte alla bandiera americana o il cartellone con il ritratto di John F. Kennedy gettato tra le sedie.
Dei 28’000 scatti effettuati durante il viaggio, Frank ne seleziona soltanto poco più di un’ottantina e li riunisce nella sua raccolta più famosa, «The Americans» (1958). Dapprima respinto dagli editori per l’immagine troppo disincantata che dà dell’America, il libro è considerato oggi come uno degli elementi più significativi e influenti della fotografia degli ultimi 50 anni.
L’opera marca inoltre l’apogeo di quello che Urs Stahel definisce «il primo Robert Frank», ossia il fotografo dal «soggettivo e casuale sguardo sul mondo».
Dalla foto al cinema, dal cinema alla foto
Nella sala successiva, le fotografie di «New York Bus» (1958) segnano infatti una rottura con il passato. «Si tratta di una tappa intermedia tra fotografia e cinema», ci dice la curatrice dell’esposizione Therese Seeholzer, spiegando come la serie – un susseguirsi di situazioni e personaggi catturati dal finestrino di un bus – ricordi fortemente i fotogrammi di un film.
Frank si stacca così dal mondo statico della fotografia per lanciarsi nel cinema. Una quindicina le pellicole della sua produzione cinematografica, presente al museo di Winterthur con «Conversations in Vermont» (1969), il suo primo vero film autobiografico, e con altri video più o meno recenti.
Segnato dalla tragica scomparsa della figlia e dalla schizofrenia del figlio, Frank entra poi in una nuova fase: il terzo «Robert Frank», osserva Stahel, è di nuovo un fotografo.
Un fotografo che si prende però la libertà di distruggere l’immagine perfetta, aggiungendo alle sue polaroid (il suo nuovo supporto fotografico) parole e testi.
Nell’ultimo spazio dell’esposizione, le immagini di «Memory of the Children» (2001-03) evidenziano come il fotografo svizzero, ora ritirato nella sua casetta in Nuova Scozia (Canada), continui con le più azzardate sperimentazioni.
Un visitatore atteso
Come sottolineato, l’avvenimento al Fotomuseum è di spessore. Tra i 15’000 visitatori che dovrebbero giungere a Winterthur, uno è atteso con particolare interesse.
«Mi aspetto di vedere anche Robert Frank: me lo ha promesso», confida fiducioso Urs Stahel.
swissinfo, Luigi Jorio, Winterthur
Roger Frank nasce a Zurigo nel 1924.
Accanto ai reportage realizzati durante i primi decenni della sua carriera, il lavoro di Frank comprende film, video, polaroid, montaggi fotografici e, più recentemente, immagini numeriche.
Tra le sue serie fotografiche più famose ci sono «London» (1951-52), «The Americans» (1958), «New York bus» (1958) e «Polaroid» (1971-2000).
Frank ha ricevuto il prestigioso premio per la fotografia Hasselblad nel 1996.
In campo cinematografico, sono da segnalare il suo primo film «Pull My Daisy» (1959) e «Cocksucker Blues» (1972), un film scandalo girato durante una tourné dei Rolling Stones.
Robert Frank trascorre attualmente una vita reclusa in Nuova Scozia, in Canada.
L’esposizione «Robert Frank – Storylines» è al Fotomuseum di Winterthur fino al 20 novembre.
Oltre 250 le opere esposte.
15’000 i visitatori attesi.
In conformità con gli standard di JTI
Altri sviluppi: SWI swissinfo.ch certificato dalla Journalism Trust Initiative
Potete trovare una panoramica delle discussioni in corso con i nostri giornalisti qui.
Se volete iniziare una discussione su un argomento sollevato in questo articolo o volete segnalare errori fattuali, inviateci un'e-mail all'indirizzo italian@swissinfo.ch.