“She, a chinese” si aggiudica il Pardo d’oro
La breve stagione del direttore artistico Frédéric Maire si è conclusa con l'assegnazione del Pardo d'oro: atto finale di un'edizione, secondo gli esperti, piuttosto sotto tono. Bilancio a due voci.
Il film She, a chinese della realizzatrice cinese Xiaolu Guo (coprodotto da Regno Unito, Francia e Germania) ha messo d’accordo la giuria del Concorso internazionale, che non ha comunque precisato le motivazioni che hanno portato all’attribuzione del Pardo d’oro.
Il presidente Jonathan Nossiter, regista americano, si è limitato a dire che la giuria ha sempre mostrato un grande senso di rispetto e che tutti i giurati hanno lavorato per giungere ad un accordo su ogni film.
Il film vincitore propone il ritratto di una giovane donna che decide di lasciare il piccolo e noioso villaggio dove vive, per andare nella vicina città di Chongqing.
Licenziata da una fabbrica di vestiti, Mei non esita ad affrontare una serie di dure prove nella speranza di un futuro più generoso e sereno. Attraverso le peripezie e gli incontri della protagonista, She, a Chinese parla anche della mescolanza delle culture e del modo in cui gli esseri umani, gli stili di vita, gli oggetti di consumo o la musica valicano le frontiere.
Il rituale della notte dei Pardi si è così consumato sabato per la 62esima volta, secondo un copione ormai consolidato. Calato il sipario sull’ultima edizione firmata dal direttore artistico Frédéric Maire – che si appresta a dirigere a Losanna la Cineteca svizzera – è tempo di bilanci.
Stonature leopardate
Unanimemente criticato dagli addetti ai lavori nazionali e internazionali, l’assegnazione del Pardo d’onore al consigliere federale Pascal Couchepin. Un precedente e uno strappo nella tradizione di Locarno, che ha aperto un premio pensato e destinato al cinema, alla politica. Il coro delle critiche ha intonato compatto un’unica partitura: “Un ministro della cultura è chiamato a sostenere la cultura, quindi ha soltanto fatto il suo lavoro”.
L’invasione smaccatamente commerciale di Pokémon e Pikachù sul palco di Piazza Grande è stata poi vista come una caduta di stile fuori luogo per un Festival che si professa come l’ambasciatore del cinema emergente, d’autore e di scoperta. Non piace neppure la presenza di due mondi paralleli: quello delle feste dei cosiddetti VIP, chiuse e blindate secondo criteri discutibili, e il resto del mondo. Un atteggiamento considerato provinciale per un Festival che dichiara di essere dalla parte del pubblico.
Insomma tra i giornalisti e i critici che seguono la rassegna cinematografica da molti anni, l’identità del Festival di Locarno mostra alcune segni di fragilità. Un parere condiviso anche da due giornalisti italiani di aree opposte: Antonello Catacchio, giornalista de Il Manifesto e della rivista specializzata Ciak, e Mariarosa Mancuso, giornalista de Il Foglio e collaboratrice del settimanale Panorama e di Rete Due (Radio televisione svizzera).
Una scelta complessiva debole
“Globalmente mi è parsa un’edizione un po’ più seduta rispetto agli altri anni”. Antonello Catacchio, che segue il Festival da trent’anni, non nasconde la sua delusione per certe scelte. “Uno degli elementi di forza di Locarno – commenta a swissinfo – è sempre stata la retrospettiva. Sarà perché non mi interessano i Manga, ma questa scelta non mi ha convinto e ha sicuramente sottratto al Festival un elemento di forza”.
Se è vero che il mercato non può sempre offrire perle rare e pepite d’oro, la scelta complessiva è parsa al critico cinematografico italiano più debole rispetto al passato, sia per Piazza Grande che per il Concorso internazionale. “Mai come quest’anno ho seguito il festival a macchia di leopardo, frequentando cioè diverse sezioni, proprio perché non trovavo una certa continuità nel concorso. Sono dunque andato a cercare altrove”. Nelle proposte del Concorso internazionale ha particolarmente apprezzato She, a Chinese, una coproduzione di tre paesi (Gran Bretagna, Germania e Francia), vincitrice del Pardo d’oro.
A pochi giorni dall’addio a Locarno di Frédéric Maire, Antonello Catacchio non nasconde di rimpiangere un po’ Irene Bignardi. “Irene aveva allargato il Festival non solo al cinema, ma anche ad altri elementi di interesse – come la letteratura – che non sono strettamente legati al cinema, ma che servono a comporre un quadro complessivo della nostra realtà e della nostra cultura. I contributi delle altre arti sono un modo intelligente per arricchire un festival”.
Buoni voti per la sezione Ici et Ailleurs. “Questa quasi spropositata offerta di materiali, alla fine nasconde numerosi elementi preziosi. Ho seguito soprattutto gli italiani, molto presenti in questa sezione, e ho trovato lavori interessanti e curiosi”. Lo sguardo critico di Antonello Catacchio non spegne però l’amore per Locarno. “È un festival che continuo ad amare, soprattutto per la partecipazione del pubblico. Che, secondo me, è il vero valore di Locarno”.
L’ “esprit de Locarno” e la lezione di Aristotele
Lo sguardo di Mariarosa Mancuso non risparmia osservazioni taglienti. “Dopo quattro anni di direzione Maire, ho avuto l’impressione che certi film stanno in concorso perché piacciono, non perché ce n’erano di meglio. Abbiamo visto film di cui si faceva veramente fatica a raccontare una trama. E sono proprio questi i film che piacciono molto a Locarno”.
Secondo Mariarosa Mancuso questa non è una scelta pagante. “Bisognerebbe avere il coraggio di andare a cercare in territori un po’ meno artistici, un po’ meno nobili, laddove si mescola il cinema pensato, il cinema che racconta storie e il cinema che piace al pubblico”. Severo il giudizio sui film in concorso: su diciotto per la giornalista se ne salvano tre, tra cui quello svizzero Complices di Frédéric Mermoud. “Una bellissima storia di genere raccontata molto bene e che, sul filo del giallo, apre anche ad un mondo adolescenziale credibile”.
Tre su diciotto, bottino piuttosto magro per la sezione più importante del Festival. “Direi di sì. Molti film sono, nel loro genere, forse anche riusciti. Ma è un genere che forma un circuito chiuso: è un’idea del regista che vuole parlare direttamente a un critico per poi possibilmente entrare nella sfera del cinema, che non presuppone un pubblico”.
Ma allora che cosa è rimasto dell’esprit de Locarno, teso alla scoperta del cinema emergente? “Io credo che non ci sia più niente da scoprire perché è già stato scoperto tutto. Aristotele – sottolinea la giornalista – aveva già spiegato come si tengono gli spettatori incollati alle loro poltrone, come li si fa ridere e come li si fa piangere. Non è cambiato niente. Le strutture narrative sono sempre quelle”. E poi c’è una contraddizione: invocare da una parte il cinema di ricerca e, dall’altra parte, proporre i Manga, che sono assolutamente popolari e commerciali.
A Locarno, secondo Mancuso, c’è letteralmente in gioco un’idea di cinema che spesso nei giovani – come Frédéric Maire – è più vecchia di quella che troviamo nelle persone della generazione precedente. “C’è secondo me un’idea di purezza del cinema che è ormai sorpassata”.
Françoise Gehring, Locarno, swissinfo.ch
La 62esima edizione del Festival internazionale del film di Locarno ha assegnato i tradizionali premi.
CONCORSO INTERNAZIONALE
Pardo d’oro: She, a chinese, della regista cinese Xiaolu Guo
Premio speciale della giuria: Buben.Baraban, del russo Alexei Mizgirev
Premio per la migliore regia: Buben.Baraban, del russo Alexei Mizgirev
Pardo per la migliore attrice: Lotte Verbeek per il film Nothing personal, di Ursula Antoniak (Paesi Bassi/Irlanda)
Pardo per il migliore attore: Antonis Kafetzopoulos per il film Akadimia Platonos, di Filippos Tsitos (Grecia/Germania)
CINEASTI DEL PRESENTE
Pardo d’oro: The Ancorage, di C.W. Winter e Anders Edström, Stati Uniti/Svezia
Premio speciale della giuria: Piombo Fuso, di Stefano Savona, Italia
MIGLIORE OPERA PRIMA
Nothing personal di Ursula Antoniak (Paesi Bassi/Irlanda
PRIX DU PUBLIC
Il premio del pubblico è stato vinto dal film svizzero di Christop Staub, Giulias Verschwinden
Xiaolu Guo è nata nel 1973 in un villaggio del sud della Cina. Oggi residente in Inghilterra. Romanziera, poetessa e regista, ha frequentato la Beijing Film Academy, poi, grazie a una borsa di studio, si è trasferita a Londra, dove ha studiato alla National Film and Television School.
Il suo primo romanzo, Village of Stone, è candidato al Premio di letteratura internazionale di Dublino. Nel 2003 firma Far and Near, cortometraggio insignito del Premio Beck’s Future dell’Institute of Contemporary Arts di Londra.
I suoi documentari e lungometraggi di finzione riscuotono grande successo in numerosi festival internazionali. Jin tian de yu zen me yang? (How is your Fish Today, 2006) è stato premiato al Festival del film di Rotterdam.
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