Star a passeggio lungo la Limmat
Giovane, e con un passato molto fumo e poco arrosto, il Festival del film di Zurigo cerca il suo posto nel panorama europeo di lingua tedesca. Per la 7a edizione, il direttore artistico Karl Spoerri presenta un centinaio di film, qualche prima mondiale e un po' di glamour.
«Fin dai suoi esordi, il festival ha cercato di dare spazio alla nuova generazione di cineasti che a Zurigo presentano le loro opere prime, seconde o terze», spiega a swissinfo.ch Karl Spoerri. «L’accento è chiaramente posto su una produzione di qualità, soprattutto in lingua tedesca, e su quel pizzico di mondanità che negli anni è diventato il nostro tratto distintivo».
Al di là delle singole trame, le opere di questa 7a edizione ruotano attorno al tema dell’identità e della libertà. «Spesso i registi provengono da regioni instabili o in aperto conflitto. Sono assetati di cambiamenti e si interrogano sulle vie da seguire per dare una nuova svolta al loro destino e a quello del loro paese. Le questioni politiche, religiose e identitarie sono dunque il fil rouge del cartellone di quest’anno».
Un cartellone che presenta 96 pellicole, una ventina in più rispetto allo scorso anno, ma soltanto una decina sono presentate in prima mondiale. «Un po’ pochine per un festival che si dice internazionale», commenta Antoine Duplan, critico cinematografico per il quotidiano Le Temps.
I 41 film in concorso sono suddivisi in quattro sezioni: due consacrate a film e documentari provenienti da tutto il mondo e due a quelli di lingua tedesca. A contendersi il “Goldene Auge” ci sono diverse pellicole europee, tra cui “Corpo celeste”, una coproduzione della RSI, realizzato dalla giovane italiana Alice Rohrwacher.
Praticamente assenti, invece, i registi svizzeri. «La produzione elvetica è molto scostante e troppo ridotta. Francamente quest’anno non c’era un grande offerta», ci spiega Karl Spoerri. «Ciò nonostante, nei concorsi in lingua tedesca troviamo quattro opere di registi svizzeri. I lungometraggi Alles eis ding di Anita Blumer e Mary & Johnny di Samuel Schwarz e Julian Grünthal, e i documentari Unter Wasser atmen – Das zweiten Leben des Dr. Nils Jent di Stefan Muggli e Andri Hinnen, e Darwin di Nick Brandestini.
La 7a edizione del Festival del film di Zurigo si tiene dal 22 settembre al 2 ottobre. In cartellone ci sono 96 film, 25 in più rispetto al 2010. 13 lungometraggi sono in gara per il Golden Auge, tra cui la coproduzione RSI Corpo celeste, dell’italiana Alice Rohrwacher. Sul tappeto rosso quest’anno sfileranno l’attore e regista Sean Penn, a Zurigo per ritirare il Golden Icon Award, il messicano Alejandro Gonzalez (Career Achievement Award), il britannico Paul Haggis e il franco-polacco Roman Polanski. Il budget, finanziato per l’85% da enti privati, è passato da 4,1 a 4,9 milioni di franchi.
Un festival vittima del proprio successo
Sarà per la sua matrice tedesca, per la sua rivalità con Locarno, per il suo modo di imporsi in un panorama festivaliero già ricco di proposte o per la sua appartenenza alla capitale economica elvetica, ma fuori dai confini germanofoni il Festival di Zurigo sembra proprio non attecchire. Dalle parole di Antoine Duplan traspare perfino una certa antipatia, figlia di una passione per il cinema d’autore che difficilmente si sposa con i tappeti rossi e le gradi manovre finanziarie.
«Se Locarno è un appuntamento irrinunciabile, a Zurigo è difficile trovare un giornalista romando», ci spiega il giornalista di Le Temps. «Sinceramente non ho ancora guardato il programma in dettaglio, ma non mi sembra che ci siano delle grandi perle cinematografiche. Molti film sono già usciti altrove a Venezia o perfino in Svizzera».
Resta da chiedersi quale sia il senso di un nuovo festival in un paese piccolo come la Svizzera, che con Locarno ha già trovato un angolino tra i grandi del cinema. «I molti festival presenti in Svizzera sono un simbolo della nostra diversità culturale», ci dice Spoerri «Nyon punta al documentario, Soletta alla produzione elvetica, e anche Zurigo mette l’accento su un cinema di nicchia, con film di giovani registi internazionali e produzioni di lingua tedesca».
E l’ombra di Locarno quanto pesa sul futuro di Zurigo? «Non soffriamo della fama di Locarno, anche perché non siamo in concorrenza. Si tratta di due festival diversi e ognuno di noi ha il diritto di ritagliarsi i propri spazi».
L’obiettivo dichiarato da Spoerri è quello di conquistare un posticino in prima fila nel panorama festivaliero europeo, soprattutto in lingua tedesca. «Ma per farlo non basta l’entusiasmo, ci vogliono anche i nomi e i film giusti, e le risorse finanziarie necessarie».
Sean Penn ospite d’onore
Malgrado gli sforzi fatti negli ultimi anni, non è certo un segreto che a Zurigo la priorità è posta più sul glamour che sull’offerta cinematografica. D’altronde le grandi star non attirano soltanto il pubblico, ma anche gli sponsor, che a Zurigo coprono l’85% di un budget da 4,9 milioni di franchi.
Quest’anno a Zurigo saranno presenti il regista messicano Alejandro Gonzales Iñárittu, autore tra l’altro del pluripremiato “Babel” (2006), e il britannico Paul Haggis, conosciuto soprattutto per la regia di “Crash” (2004).
All’attore, regista e produttore americano Sean Penn sarà invece attribuito il Golden Icon Award. Karl Spoerri ci spiega le ragioni di questa scelta: «Credo non ci siano molti altri attori che negli ultimi decenni hanno partecipato alla realizzazione di così tanti film di qualità. Sean Penn è un poeta, con una capacità espressiva degna di nota».
Polansky, la fine di una brutta storia
Nel 2009 la rassegna zurighese aveva fatto parlare di sé per l’arresto di Roman Polanski da parte delle autorità svizzere. Invitato al festival, il regista franco-polacco era stato fermato all’aeroporto di Zurigo in base a un mandato americano. Polanski era infatti accusato di aver stuprato una ragazza di 13 anni, nel lontano 1978. Messo agli arresti domiciliari a Gstaad nel dicembre del 2009, è rilasciato nel luglio dell’anno seguente, dopo la decisione di non estradizione pronunciata dal Dipartimento svizzero di giustizia e polizia.
A due anni di distanza, Polanski torna a Zurigo a ritirare il premio alla carriera che il festival gli aveva conferito. «È una bella conclusione a una triste vicenda che Roman Polanski ha dovuto convivere con noi», commenta Karl Spoerri. «Siamo felici che abbia deciso di venire a ritirare il suo premio e a presentare in prima mondiale il suo nuovo film».
Il festival di Zurigo non rischia ancora una volta di restare nell’ombra delle sue star? Per Spoerri non c’è nulla da temere: «È chiaro che si parlerà di lui, ma è anche chiaro che la gente viene al festival per vedere i film. Polanski è una parte importante del festival, si può dire che ci ha accompagnato negli ultimi due anni. Ma il festival offre al pubblico molto più della loro presenza».
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