Storia della fotografia del subcontinente indiano
Il Fotomuseum di Winterthur dedica un'ampia esposizione ai 150 anni della fotografia in India, Pakistan e Bangladesh. Oltre 400 immagini raccontano lo sviluppo della fotografia nel subcontinente indiano e riflettono sulle moltitudini di mondi che compongono i 3 stati.
Raramente il Fotomuseum delude il suo pubblico e con l’attuale esposizione alza ancora la mira offrendo un’occasione rara e da non perdere, perché per una volta la storia della fotografia esce dai confini europei e americani e si arricchisce di una voce nuova.
Proponendo un punto di vista tutto locale, la mostra “Dove tre sogni si incrociano – 150 anni di fotografia da India, Pakistan e Bangladesh” permette di seguire passo a passo l’evoluzione della fotografia nel subcontinente indiano: dalle prime foto-ritratto ritoccate a mano della seconda metà dell’800, ai reportage giornalistici del secolo scorso, fino alle ricerche e alle sperimentazioni della fotografia contemporanea.
Il ritratto, il genere degli esordi
Suddivisa in 5 sezioni tematiche – il ritratto, la performance, la famiglia, la strada e il corpo politico – l’esposizione prende le mosse dal momento cruciale in cui l’uso della macchina fotografica non è più prerogativa dei soli fotografi coloniali.
Quando nel 1850 appaiono le prime foto in India la popolazione rimane affascinata dal nuovo metodo di riproduzione della realtà. Ma se i colonizzatori europei preferivano realizzare vedute da mandare in patria, i nativi erano più interessati a riprodurre immagini di se stessi.
Non è perciò un caso che l’esposizione si apra proprio con la sezione dedicata al ritratto, un genere che ha avuto e ha tutt’ora un ruolo centrale nella fotografia di tutti e tre i paesi e che, come dimostrano molte delle immagini presenti in mostra, rimanda all’antica tradizione della miniatura indiana.
Ritoccate a mano con colori sgargianti e dall’effetto per noi un po’ kitsch, le prime fotografie risentono ancora tantissimo dell’influenza di questo genere pittorico. Ciò non risponde soltanto al gusto ma anche al fatto che – come svela la mostra – è proprio negli atelier di pittura che la fotografia indiana trova i suoi primi adepti.
La sfida mossa dalla fotografia alla tradizione pittorica del ritratto costrinse infatti molti artisti ad imparare ad usare la macchina fotografica per non essere costretti a perdere del tutto la loro clientela.
Tre stati, una moltitudine di anime
Al di là di questa particolarità tutta indiana e di alcune rivelazioni più tecniche – come ad esempio una certa predilezione per il reportage – l’apporto più consistente e interessante che emerge dalle immagini raccolte in questa esposizione è l’autoriflessione sulla storia culturale e politica, sui rituali familiari, sociali e tradizionali e più in generale sui molteplici mondi che compongono India, Pakistan e Bangladesh.
La rassegna non punta a fornire una lettura peculiare della storia dei singoli stati ma ne mescola gli eventi e le atmosfere di vivacità e drammaticità, di entusiasmo e rassegnazione, di povertà e ricchezza, di pace e conflitto, immortalando le funzioni teatrali della vita quotidiana dentro e fuori la famiglia, ma puntando il fuoco anche sulle gerarchie che strutturano la società, oltre che sul groviglio di gente, traffico e colori che attraversano il continente sud asiatico.
Il punto di vista locale
Ricchissime di soggetti e di forme espressive, le immagini presentate non mostrano nuovi modi di fotografare. “Non credo ci sia una differenza tra la fotografia occidentale e quella del subcontinente indiano” dice a swissinfo.ch Sunil Gupta, uno dei curatori indiani. “La differenza è nei fotografi, nelle persone che scattano le immagini, non nelle immagini. Perché credo che la storia dell’arte abbia un carattere globale e il confronto per tutti sia con essa.”
Quindi è lo sguardo dei fotografi locali a rendere speciale questa rassegna. Uno sguardo che documenta, denuncia, si sorprende ma che rimanda una calma, una pacatezza, un affetto e anche uno humor che solo un occhio che ha familiarità con i suoi soggetti è in grado di trasmettere. I veri protagonisti sono dunque loro, i fotografi che hanno vissuto e lavorato in loco, spesso sconosciuti ai più e che, in mancanza di una storia della fotografia consolidata, in molti casi sono stati contattati personalmente dai curatori.
“La storia della fotografia nell’Asia del sud deve ancora essere scritta”, sottolinea Gupta. “ La fotografia come disciplina accademica nel subcontinente si trova ancora in una fase infantile e chi ha studiato fotografia ha dovuto farlo all’estero.”
I reportage
Molte delle foto storiche sono anonime, mentre è noto il nome dei fotografi indiani che hanno documentato i fatti di cronaca legati all’indipendenza dell’India. Tra i tanti Kulwant Roy (1914-1984) che ha aperto la strada al fotogiornalismo ed è divenuto famoso per i suoi reportage a fianco di Gandhi sui vagoni di terza classe; o Homai Vyarawalla (1913) che fu non solo la prima, ma anche la sola fotogiornalista dell’intero periodo in cui questo mestiere era considerato un lavoro esclusivamente maschile.
Altrettanto significative e cariche di umanità sono le foto di Sunil Janah (1918) che mostrano non solo il durissimo periodo di transizione che porta alla nascita del Pakistan ma anche i diversi volti delle tradizioni classiche indiane, o ancora quelle di Raghu Ray (1942) testimone di alcuni degli eventi più significativi della storia recente dell’India.
Influenze e nuove voci
Gli influssi dei fotografi stranieri su questi lavori sono evidenti, a cominciare da coloro che durante la colonizzazione inglese hanno introdotto e diffuso la fotografia fino a quelli successivi, arrivati in india nel XX secolo.
“Margaret Bourke-White della rivista Life viaggiò in tutto il paese insieme a un fotografo indiano e più tardi venne anche Henri Cartier-Bresson”, ricorda Gupta. “I loro lavori hanno influenzato fortemente il fotogiornalismo locale, ma ora sta emergendo una nuova generazione e si avverte il ritorno a una fotografia più riflessiva e meditata.”
Anche se i media locali riservano ancora ampio spazio al fotogiornalismo, comincia ad affiorare un genere meno documentario come ad esempio quello dell’indiana Dayanita Singh (1961) che a partire dagli anni ’90 ha sviluppato una fotografia estetica e contemplativa che cerca di creare un ponte tra il mondo del sentimento, del sogno, della fantasia e quello della realtà.
Paola Beltrame, swissinfo.ch, Winterthur
Where Three Dreams Cross: 150 Years of Photography from India, Pakistan and Bangladesh rimarrà aperta al Fotomuseum di Winterthur fino al 22 agosto 2010.
La mostra è stata organizzata dalla Whitechapel Gallery di Londra in collaborazione con il Fotomuseum.
Circa 400 le foto esposte provenienti da importanti collezioni storiche -tra cui la Collezione Alkazi Collection di Delhi e l’Archivio Drik di Dhaka-, archivi familiari privati, gallerie.
Oltre 80 i fotografi presentati. Tra essi si ricordano: Shahidul Alam, Ravi Agarwal, Pablo Bartholomew, Lala Deen Dayal, Sunil Janah, Pushpamala N., T.S. Nagarajan, Raghu Rai, Kulwant Roy, T.S. Satyan, Ketaki Sheth, Dayanita Singh, Raghubir Singh, Umrao Singh Sher-Gil e Vivan Sundaram.
A partire dal XVI secolo numerosi paesi europei – tra cui Portogallo, Paesi Bassi, Francia e Regno Unito – riescono ad imporsi in India.
Nel 1856 la maggior parte del paese è sotto il controllo della Compagnia Inglese delle Indie Orientali.
In seguito alla prima insurrezione nazionale – chiamata prima guerra di indipendenza indiana, avvenuta nel 1857 – l’India passa sotto il controllo del governo britannico diventando sua colonia.
Nella prima metà del XX secolo inizia la lotta per l’indipendenza. Il movimento guidato da Mahatma Gandhi negli anni ’20 e ’30 si impegna in una campagna di disobbedienza civile di massa.
Il 15 agosto del 1947 il paese ottiene l’indipendenza dalla Gran Bretagna, ma viene diviso in due governi indipendenti: l’India a maggioranza indu e il Pakistan (occidentale e orientale, separati dal Bengala indiano) a maggioranza musulmana.
Nel 1971 il Pakistan orientale si ribella e con l’aiuto delle truppe indiane diventa lo stato indipendente del Bangladesh ,ma l’India non concede al suo stato del Bengala di riunificarsi al Bangladesh.
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