«Toumast», un film per celebrare l’identità touareg
In competizione al Festival internazionale del film e forum sui diritti umani (FIFDH) di Ginevra, «Toumast - fra chitarra e kalashnikov» racconta la lotta dei Touareg per l’autodeterminazione. La regista svizzera Dominique Margot segue il percorso atipico di Moussa, un ex combattente diventato cantautore di successo.
«Certe dittature non permettono ai nomadi di essere liberi. Ma noi vogliamo spostarci liberamente e avere il deserto tutto per noi. La terra non ci appartiene, siamo noi che apparteniamo alla terra.» Moussa Ag Keyna è un Touareg che viveva in Niger, «nel deserto più bello del mondo». Ma dopo aver imbracciato il fucile per difendere i diritti del suo popolo, decide di deporre le armi e battersi con uno strumento nuovo: la chitarra. E scopre che il suono della musica è molto più forte del rumore del kalashnikov: «La musica è diventata un messaggio, è come un giornale, spiega il cantautore delle sabbie, mostrando vecchie fotografie sbiadite nel suo appartamento di Parigi. Oggi gli occidentali sono molto più sensibili alla causa del mio popolo di quando combattevo.»
È la storia di Moussa che Dominique Margot narra in «Toumast – fra chitarra e kalashnikov» -, in competizione al FIFDH di Ginevra. «Toumast», il nome del gruppo, significa «identità» in tamashek, l’idioma locale. Un’identità negata che si esprime nella lingua e cultura touareg e nella relazione con il deserto. Con filmini d’archivio, splendide immagini delle dune e la musica della band in sottofondo, il filmato parla di un popolo in lotta da più di vent’anni per l’autodeterminazione e il rispetto dei diritti politici, economici e culturali.
Girato nel 2010, non fa allusione alle rivoluzioni democratiche in corso in Nordafrica, ma chissà che prima o poi la primavera araba non arrivi anche a questi nomadi dimenticati.
La Libia e le prime canzoni
Campi di rifugiati, volti chiusi e bui. Siamo negli anni ’80, quando i Touareg, decimati dalla siccità, si riversano su Bamako e le altre città del Sahel. Poi la ribellione, la povertà, la malattia e i massacri li spingono ancora piu’ in là. Dal solo Mali, 40’000 profughi partono alla volta della Mauritania.
«Sono andato via dal Niger per sfuggire alla discriminazione, racconta Moussa. I nostri genitori erano in prigione e quando i fratelli più grandi andavano al mercato, temevamo sempre che venissero arrestati».
Direzione la Libia, dove Gheddafi ha aperto le caserme ai disoccupati touareg, gli «ishumars», promettendo di formarli militarmente per aiutarli a ritrovare l’autonomia. «Nessun paese voleva i Touareg, continua l’ex combattente. In Mali ci massacravano, l’Algeria ci metteva in prigione e gli altri paesi non ci capivano. In Libia ho scoperto la modernità – i jeans, le scarpe da ginnastica e i film di Rambo».
Durante la formazione militare, Moussa compra una chitarra e comincia a scrivere canzoni. Ma quando capisce che Gheddafi vuole mandare i soldati in Libano a combattere contro Israele, decide di disertare. Torna in Niger, dove gli insorti lanciano azioni militari che gli permettono di armarsi gradualmente, derubando i fucili all’esercito regolare.
Ma il ritorno degli «ishumars» dalla Libia segna una svolta: i ribelli sono impregnati di una cultura e un pensiero nuovo e la loro musica diventa il portabandiera della rivolta.
Uranio e Al Qaida
In Niger, l’estrazione dell’uranio riaccende la fiamma della ribellione, placatasi temporaneamente, nel 1995, con gli accordi di pace di Ouagadougou. I Touareg accusano il governo di rilasciare le concessioni miniere alle aziende straniere senza consultarli, di essere cacciati dal loro territorio e costretti a fuggire nel Teneré, «dove non c’è niente».
Seduto su un promontorio roccioso che domina maestosamente il deserto, Boutali Tchiweren, infermiere in una filiale nigerina di Areva, ha lasciato un lavoro ben pagato per prendere le armi. «Siamo 6’000 combattenti, assicura. Copriamo tutto l’Aïr e continuiamo a ricevere volontari».
Racconta che si era ritrovato a curare malattie mai viste – problemi respiratori, malformazioni genitali, cancri – causate dalla radioattività dell’acqua.
Nel 2007 il presidente del Niger dichiara lo stato di emergenza nel Nord del paese. Rifiuta la mediazione con i ribelli, vieta la zona ai giornalisti e manda l’esercito. Fra belati, muggiti e versi di cammelli abbandonati, i rivoltosi mostrano villaggi bruciati, pozzi avvelenati, bidoni per l’acqua bucati per assetare la popolazione e scarpe insanguinate appartenute a chissà quale nomade trucidato dai militari.
Da qualche anno, un nuovo flagello si è abbattuto sugli uomini del deserto: l’estensione di Al Qaida nel Maghreb islamico (AQMI) e la lotta contro il terrorismo.
«Vogliamo essere consultati sulla ripartizione delle risorse e lo sviluppo della nostra regione, dichiara solennemente Ibrahim Ag Bahanga, capo della ribellione maliana. I trafficanti di droga e sigarette che attraversano il nostro territorio ci importunano e AQMI potrebbe collaborare con loro. Ma lo Stato lascia la porta aperta ai trafficanti perchè è nel suo interesse che la nostra regione sia poco sicura. Se succede qualcosa in Mali, dirà che siamo dei terroristi».
I Touareg sono discendenti delle popolazioni del Maghreb cacciate dagli Arabi all’inizio del VII secolo e riversatesi nel Sahara. All’inizio degli anni ’60 si ritrovano dispersi fra cinque Stati di nuova indipendenza : il Mali, l’Algeria, la Libia, il Niger e il Burkina Faso. I regimi, spesso autocratici, che riproducono il sistema del colonizzatore francese, li marginalizzano nuovamente.
Il Niger è il terzo produttore mondiale di uranio. La multinazionale francese Areva lo estrae da 40 anni sul sito di Arlit e Akokan, in piena zona touareg. Il film racconta che il governo ha rilasciato più di una trentina di concessioni alle compagnie miniere straniere – americane, cinesi, canadesi, ecc. 100’000 tonnellate di uranio sono state estratte dal sito di Arlit, diventata oggi una città di 80’000 abitanti. L’uranio finanzia l’80% del bilancio del Niger, uno dei cinque paesi piu’ poveri del mondo. 40% delle falde acquifere sono utilizzate per estrarre l’uranio e dopo l’utilizzazione, l’acqua radioattiva torna nel suolo.
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