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Un film svizzero ai confini del sogno hollywoodiano

Un film "on the road" che narra la storia di un perdente. promisedland.ch

Ispirato ad una persona esistente, “Promised Land”, del ticinese Michael Beltrami, è l’unico film svizzero in concorso al Festival internazionale del cinema di Locarno.

In quest’intervista con swissinfo, il regista ci parla del film, in bilico tra sogno e realtà, e della responsabilità di avere gli occhi puntati addosso.

Perché un ticinese d’adozione gira un film su Hollywood, non ci sono già abbastanza film americani in giro?

Personalmente non faccio molta distinzione tra girare un film in Svizzera, in Ungheria, in Giappone o negli Stati Uniti. È capitato che per esperienze della vita ho trascorso cinque anni a Los Angeles per studiare cinema e poi per altri progetti. Questo è il mio primo progetto di finzione e mi sembrava quasi naturale svilupparlo negli Stati Uniti, anche perché nel frattempo avevo instaurato tutta una serie di contatti, il mio background era legato a Los Angeles, e quindi mi è sembrata una scelta naturale, non forzata. Non era perché volevo assolutamente fare un film a Hollywood, non è questo. L’idea del film è nata negli Stati Uniti, si è sviluppata lì e quindi era anche giusto realizzarlo lì.

Il cast del film è veramente interessante: oltre ad alcuni attori caratteristi americani di varia estrazione, anche Giuseppe Cederna.

Durante il periodo di preproduzione, che è durato circa tre mesi, abbiamo fatto davvero un casting approfondito. È stata una fase interessantissima per me incontrare centinaia di attori e poter scegliere quelli giusti per interpretare i vari ruoli. Giuseppe Cederna invece è stato scelto proprio per le sue caratteristiche, è un attore già conosciuto.

Molti giovani sono convinti che sull’onda dei reality shows, tipo Music Star, diventare famosi sia ormai a portata di mano di tutti. Il film parla anche di questa sindrome?

Indirettamente. Si occupa della difficoltà di qualcuno che per un periodo della propria vita ha potuto toccare con mano la fama, e poi per una ventina d’anni è rimasto nell’oblio, e in tutti questi anni ha tentato in tutti i modi la scalata del ritorno al successo. Non ha niente a che vedere con i reality shows. È la storia di un attore, o aspirante attore che ha avuto la fortuna di interpretare un unico film quando era bambino, con straordinario successo, e poi una volta cresciuto il pubblico, i produttori si sono dimenticati di lui. Mentre lui è rimasto ancorato a questo desiderio straordinario di tornare alla ribalta.

Dici di aver fatto un film sui sogni e sull’infanzia perduta, in che senso?

Il protagonista è ancorato al suo passato di attore bambino, e torna ossessivamente alla sua infanzia. Inconsciamente io stesso ho messo all’interno della storia delle situazioni che un po’ avevano a che fare con la mia infanzia, con la mia voglia di sognare. Perché io ho sempre sognato di fare cinema già da bambino, quindi un po’ mi sono ritrovato.

Al cinema e anche qui a Locarno si vedono sempre più documentari. Tu stesso sei un documentarista. Il film di finzione è un modo per sognare ad occhi aperti, per contrapporsi alla realtà dei fatti?

Il confine molto labile tra finzione e realtà mi ha sempre molto affascinato. Anche nella documentaristica spesso mi trovo ad avere a che fare con questa linea molto sottile. Fin dal mio primo progetto “Bella”. A me interessa raccontare delle storie, e quando si raccontano delle storie, è abbastanza inevitabile che in qualche modo si vada a pescare nella realtà un po’ a piacimento, creando delle situazioni che non sono reali, che però in qualche modo si rifanno alla realtà. Realtà e immaginazione si mescolano.

Quali sono i registi che ti hanno ispirato?

Avendo avuto questa passione per il cinema fin da ragazzino, agli inizi era un po’ il cinema dei paesi dell’Est. Sono stato anche assistente di Krzyzstof Zanussi per due anni, ho conosciuto Krzyzstof Kieslowski. Poi più avanti mi sono appassionato al cinema indipendente americano, tipo “Midnight Cowboy”. Poi ho sempre avuto una grande passione per Woody Allen, forse ultimamente è un po’ scemata. Era una specie di terapia per me, durante delle depressioni giovanili mi bastava andare a vedere un film al cinema, e spesso appunto di Woody Allen, e mi risollevava. Il cinema ha sempre avuto per me questo aspetto anche un po’ terapeutico. Questo rinchiudersi in una sala cinematografica per un paio d’ore e risorgere, riuscire ad alimentare la propria energia grazie a queste immagini a e a questi suoni in una sala oscura. Sono proprio innamorato del cinema e continuo ad esserlo.

Sei l’unico elvetico in concorso al festival del cinema più importante in Svizzera. Senti il peso della responsabilità?

I pesi si assumono. Chiaro è una responsabilità. Essendo l’unico film svizzero in concorso gli occhi sono rivolti sul mio film e sulla mia persona. C’è un’aspettativa, soprattutto di fronte al pubblico di Locarno, che è un pubblico particolare, appassionato di cinema e quindi essendo il mio un film che tratta proprio di cinema, è interessante presentarlo proprio qui.

swissinfo, Raffaella Rossello, Locarno

Michael Beltrami, ticinese d’adozione, nato a Colonia nel 1962 è stato anche responsabile della sezione “Pardi di domani” al festival del cinema di Locarno.

Ha studiato cinema a Los Angeles, dove ha conosciuto l’eterno aspirante attore che ha ispirato “Promised Land”, l’unico film svizzero in concorso quest’anno al festival di Locarno.

Festival del cinema di Locarno: 4-14 agosto
Prima mondiale di “Promised Land”: 10 agosto

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