Un ponte su due fiumi
“Il Ticino non è un fiume reale”, scriveva anni fa Giovanni Orelli in un volume dedicato al corso d’acqua che dalla Val Bedretto scorre fino a Pavia, attraverso il Lago Maggiore.
“Non si spegne cioè nel mare, ma deversa le sue acque nel Po”, aggiungeva, a spiegazione del paradosso.
Ché di un paradosso si tratta: quando si fonde con il Po a circa sette km e mezzo a sud-est di Pavia, dopo un percorso di 248 km, il Ticino è un fiume di tutto rispetto, ampio, maestoso.
La confluenza tra Po e Ticino, sotto il Ponte della Becca, è la prima tappa del mio viaggio. Lì comincerà il percorso a ritroso fino alle sorgenti.
Ma per chi, come me, viaggia senza automobile, muoversi fuori delle città è un’impresa ardua, che richiede pazienza e un pizzico di fortuna.
A Pavia il concierge dell’albergo mi consiglia di noleggiare una bicicletta. “È un bel percorso, senza particolari difficoltà”. In vari punti della città le bici si possono affittare gratis, per 3 ore.
Chiedo ulteriori informazioni all’ufficio del turismo. “Guardi che bisogna essere allenati”, mi fa notare, con tono gentile ma vagamente ironico, la ragazza al bancone. “Ci saranno 10 km di strada da qui al ponte. E poi con questo caldo…”
Sto già per rinunciare, la giornata è veramente torrida. Mi assiste la fortuna. Una signora, entrata con me nell’ufficio, si offre di accompagnarmi in macchina. “Sono una fotografa, ho un appuntamento alle tre, prima non ho nulla da fare”.
Non esito e poco dopo siamo sui viali che escono dalla città. Manuela è una free-lance, è specializzata nella fotografia di giardini. A Pavia deve fotografare un giardino botanico, in riva al Ticino.
Non ci vuole molto per arrivare alla confluenza dei due fiumi. Forse la strada si poteva fare anche pedalando, ma stando bene attenti al traffico.
Eccolo, il Ponte della Becca. Una lunga costruzione di metallo che taglia in due Po e Ticino, proprio nel punto in cui s’incontrano.
Pochi minuti dopo Manuela è in mezzo alla strada, con apparecchio fotografico e cavalletto, tra automobili che sfrecciano e guidatori che urlano: “Ma si vuole ammazzare?”
Forse, penso, Orelli aveva in qualche modo ragione. La via d’acqua del Ticino finisce qui, smentita da una strada che la taglia e da automobili che seguono percorsi del tutto diversi dai suoi, lenti e – fin che l’uomo glielo permette – naturali.
swissinfo, Andrea Tognina, Pavia
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