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Un vertice antirazzismo indebolito dalle polemiche

Il Palazzo delle Nazioni Unite a Ginevra

La conferenza sul razzismo delle Nazioni Unite che si svolge dal 20 al 24 aprile a Ginevra è stata preceduta da un nutrito coro di polemiche e da un appello al boicottaggio.

«I discorsi di odio e gli insulti di carattere razzista saranno vietati alla conferenza delle Nazioni Unite contro il razzismo e l’intolleranza». A emanare una settimana fa questa direttiva un po’ surrealista è stata Marie Heuzé.

«Non vogliamo che si ripeta quanto successo nel 2001 a Durban», spiega la direttrice del servizio dell’informazione dell’ONU a Ginevra.

All’epoca, il vertice delle Nazioni Unite sul razzismo (le cui ricadute saranno valutate nei prossimi giorni a Ginevra) era infatti stato teatro di manifestazioni e di dichiarazioni ostili ad Israele, in particolare nel quadro del Forum delle ONG (organizzazioni non governative) organizzato a margine alla conferenza sudafricana.

L’avvertimento lanciato da Marie Heuzé vale però senza dubbio anche per i partecipanti alla conferenza vera e propria, a partire dal presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad, conosciuto per le sue prese di posizione antisemite.

Un passato difficile

Ma perché un simile soggetto, che dovrebbe unire piuttosto che dividere, suscita così tante passioni?

Yves Lador, consulente specializzato nei diritti umani, sottolinea in particolare i postumi di un passato che i paesi occidentali fanno fatica ad accettare. «Il problema dell’eredità coloniale è sempre presente e suscita frustrazione e collera nei paesi che sono stati colonizzati. Finora le ex potenze coloniali non hanno dato nessun peso a questo sentimento».

È successo a Durban, quando le domande di compensazione finanziaria per gli anni di colonizzazione sono state seccamente respinte. E la frustrazione per il poco spazio che l’Africa trova sulla scena internazionale è costantemente alimentata, come ha evidenziato il recente vertice del G20 a Londra.

Un conflitto emblematico

Secondo Yves Lador, le critiche nei confronti di Israele si iscrivono in questo contesto: «Il conflitto israelo-palestinese è percepito nei paesi che hanno conosciuto la colonizzazione come il proseguimento della volontà di egemonia dell’Occidente. Per questa ragione vi è un’identificazione coi palestinesi, il cui territorio è in parte colonizzato da Israele».

«Questo tipo di conferenza ha un solo obiettivo: attaccare i paesi occidentali, Israele e la libertà di espressione», afferma dal canto suo Hillel Neuer, direttore di UN Watch, una ONG filoisraeliana molto attiva nella campagna contro la conferenza organizzata a Ginevra.

«Certi governi continueranno a strumentalizzare queste problematiche nel quadro delle istanze delle Nazioni Unite fino quando non saranno affrontate di petto», osserva Yves Lador.

Un’occasione mancata

Da qui nasce il paradosso sottolineato da Adrien-Claude Zoller, direttore dell’ONG Ginevra per i diritti dell’uomo.

«Questa conferenza non avrà nessun impatto sui temi più polemici. Il vertice non ha per vocazione di risolvere il conflitto israelo-palestinese. E la questione della diffamazione delle religioni – l’altro grande soggetto fonte di numerose polemiche durante i preparativi della conferenza di Ginevra – continuerà ad essere uno dei cavalli di battaglia dei paesi dell’Organizzazione della conferenza islamica, che dalla fine degli anni ’90 ha fatto suo questo tema».

Il risultato? «Queste polemiche hanno fatto passare in secondo piano il dibattito sui diritti dell’uomo, il cui elemento principale è proprio la non-discriminazione».

«La conferenza di Ginevra dovrebbe occuparsi di esaminare quanto successo dopo il vertice di Durban nel 2001. Ma questo tema è a malapena abbordato. Si può quindi parlare di un’occasione mancata per valutare in profondità quanto è stato fatto o meno dopo Durban».

Ricadute positive

La conferenza di Ginevra potrebbe però anche avere delle ricadute positive. Adrien-Claude Zoller menziona ad esempio l’idea lanciata dall’Alto Commissariato dell’ONU per i diritti umani di creare un Osservatorio del razzismo.

«Si può sperare anche in un rafforzamento del Comitato per l’eliminazione della discriminazione razziale, un meccanismo molto efficace, e di altre procedure, come i relatori speciali del Consiglio dei diritti umani».

Per Adrien-Claude Zoller, l’impatto di una simile conferenza potrà però essere misurato solo a livello nazionale. In altre parole, bisognerà vedere come i governi e la società in generale integreranno le proposte della dichiarazione che adotteranno gli Stati al termine della conferenza.

ONG divise

L’attuazione di queste proposte dipenderà molto dall’impegno delle ONG. A Ginevra si presentano però in ordine disperso.

«Nessuno aveva voglia di rivivere l’episodio di Durban. Le provocazioni più gravi sono state fatte nel quadro del Forum ufficiale delle ONG», ricorda Yves Lador.

Secondo Adrien-Claude Zoller vi è anche un’altra ragione a questa dispersione delle ONG e al loro debole impatto sulla conferenza: «Il comitato preparatorio della conferenza è un organo del Consiglio dei diritti dell’uomo, un’istanza che lascia ancora meno spazio alle ONG della vecchia Commissione dei diritti dell’uomo».

swissinfo, Frédéric Burnand, Ginevra
(traduzione dal francese di Daniele Mariani)

La ministra degli esteri svizzera Micheline Calmy-Rey ha annunciato lunedì che non parteciperà alla Conferenza dell’ONU sul razzismo. La Confederazione è così rappresentata unicamente dal suo ambasciatore.

Negli ultimi giorni diversi Stati hanno comunicato la loro volontà di boicottare la conferenza, in particolare per la presenza del presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad. Tra le assenze importante, gli Stati Uniti, la Germania, Israele, il Canada, l’Australia, i Paesi Bassi e l’Italia.

L’obiettivo della conferenza che si è aperta lunedì e che si chiuderà il 24 aprile è di discutere quanto è stato fatto e quanto non è stato realizzato dal primo vertice sul razzismo organizzato nel settembre 2001 nella città sudafricana di Durban.

In Svizzera non è stato allestito alcun piano d’azione per lottare contro il razzismo, come chiedeva la Dichiarazione di Durban del 2001. È la constatazione della Commissione federale contro il razzismo (CFR), secondo cui la lotta al razzismo “non è sufficientemente consolidata nelle strutture federali”.

Alcune delle richieste della Conferenza del 2001 sono tuttavia state attuate anche da Berna, rileva la CFR.

Tra queste vi sono l’istituzione del Servizio per la lotta al razzismo in seno al Dipartimento federale dell’interno, le nuove Costituzioni cantonali che contemplano il divieto di discriminazione, gli sforzi intrapresi per monitorare gli episodi di razzismo a livello svizzero, le misure di sensibilizzazione promosse nei corpi di polizia cantonali o ancora le formazioni specifiche di lotta al razzismo nel settore sanitario.

Le note negative riguardano invece la mancanza di un divieto di discriminazione generale nel diritto civile svizzero, l’insufficienza dell’offerta di consulenza alle vittime, la riluttanza a sanzionare espressioni di razzismo in politica da parte degli organi giudicanti.

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