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Una fotografia periferica portata al centro

Una delle fotografie anonime della serie "What you see".

La Fondazione Svizzera per la Fotografia di Winterthur dedica una mostra al fotografo e cineasta ticinese Luciano Rigolini. In primo piano l'installazione "What you see", fotografie anonime assemblate secondo un percorso narrativo simile al montaggio di un film.

“Il faut regarder pour voir” dice la citazione di Maurice Merleau-Ponty che apre l’esposizione. Un avviso e insieme un invito a tenere gli occhi aperti quindi, quello preso a prestito dal padre dell’esistenzialismo francese, che in effetti è necessario se si vuol cogliere la finezza del lavoro di Luciano Rigolini.

Realizzata nel 2008, “What You see” è un’installazione composta da 107 fotografie anonime amatoriali selezionate da Rigolini tra migliaia di immagini trovate nei mercatini delle pulci e nei negozi dei rigattieri.

“Si tratta di materiale storico, di immagini veramente anonime della storia della fotografia che qui però vengono rilette in modo completamente nuovo, introducendo un elemento molto contemporaneo. Il collegamento tra il puro documento dei tempi passati e la nuova lettura, che ci propone Luciano Rigolini, creano un’opera autonoma”, ci spiega Peter Pfrunder direttore della Fondazione Svizzera per la Fotografia.

Cambiare punto di vista


Per Rigolini “What you see è un percorso narrativo sulla grammatica del vedere” e in questo senso è la prosecuzione di una ricerca già avviata in opere precedenti nelle quali, scettico verso la presunta oggettività della fotografia, aveva proposto di spostare lo sguardo dalle cose alla loro percezione.

Tra le foto che compongono questa nuova serie c’è davvero di tutto. Frammenti di vita quotidiana, immagini di oggetti, pezzi di auto, scale, ponti, vedute da treni e aerei, elementi di costruzioni, balaustre e cavi che oscillano tra terra e cielo.

Si tratta a volte di immagini sfuocate, inquadrature sbagliate, foto scattate affettivamente che non hanno nessuna rivendicazione artistica e che nell’accorpamento proposto da Rigolini perdono completamente il legame con il loro contesto originario.

“Il loro intento era diverso ma io cerco altre chiavi di lettura”, precisa l’artista. “Spostando lo sguardo e scegliendo un’altra lettura, le porto in un contesto che ha a che fare con la storia della fotografia e la storia estetica della pittura. Inoltre inserendole in un museo, do loro uno statuto diverso. Esse acquisiscono veramente un valore importante. Praticamente è la periferia della fotografia che porto al centro”.

Costruita come un film

Rigolini mostra i suoi oggetti trovati secondo una logica precisa e rigorosa che ne mette in risalto le qualità più nascoste. La scelta di una lettura estetica offusca i contenuti di ogni singola foto, portando in primo piano le forme e le strutture marcanti in esse presenti.

Il loro assemblaggio, mai casuale o nostalgico, permette inoltre di trovare dei richiami alle avanguardie storiche, al costruttivismo, al Bauhaus, ad Alexander Rodtschenko, a László Moholy-Nagy.

“What you see è una sintesi costruita come un viaggio, come una narrazione e in questo senso è simile al montaggio di un film”, ci dice Rigolini. “Ogni immagine è relazionata all’altra, non vive da sola. Ci sono dei capitoli, c’è un inizio c’è una fine e c’è un inizio anche datato. C’è un viaggio nel tempo, che è la freccia direzionale narrativa, poi c’è una narrazione interna, propria alle immagini.”

Lo sguardo come atto fotografico

Anche se Rigolini non usa più la macchina fotografica, “What you see” mostra lo sguardo soggettivo dell’artista che si appropria di un pezzo di realtà divenuta immagine e lo trasforma nel proprio linguaggio.

“Cerco lo stesso tipo di problematica estetica come quando lavoravo con l’apparecchio fotografico”, precisa Rigolini. “Lo cerco sulle immagini trovate e le riporto in un contesto diverso attraverso questa chiave di lettura che è una chiave di lettura strutturale, formale e mai contenutistica.”

Spazio ai giovani talenti

Un’operazione insolita e originale quella proposta in “What you see”, così particolare da meritare anche di essere acquistata dall’Associazione degli Amici della Fondazione Svizzera per la Fotografia che l’ha affidata con un prestito permanente alla Fondazione stessa.

Se fino ad oggi per l’implementazione della collezione si era orientati all’acquisto di opere classiche internazionali, ragioni contingenti – come ad esempio l’aumento dei prezzi- e nuovi interessi, hanno spinto la Fondazione a cambiare politica.

“Vorremmo diventare più attivi nell’ambito della fotografia contemporanea, prendere maggiormente in considerazione artisti che hanno realizzato lavori significativi per la fotografia svizzera e tra questi Luciano Rigolini è sicuramente una figura di spicco”, ci dice Peter Pfrunder. “Vorremmo inoltre collezionare lavori provenienti dalle diverse regioni del paese e Luciano Rigolini da noi non è così conosciuto come ad esempio nell’area di lingua italiana o francese, per questo era importante mettere qui un accento.”

swissinfo, Paola Beltrame, Winterthur

La mostra dedicata agli ultimi lavori di Luciano Rigolini in corso alla Fondazione Svizzera per la Fotografia di Winterthur rimarrà aperta fino al 16 novembre.

Oltre all’opera “What you see” l’esposizione presenta anche le più recenti opere in grande formato, in cui l’artista trasforma attraverso una propria lettura estetica le fotografie di macchine industriali, la cui unica funzione era di costituire dei documenti, in immagini museali.

Nato nella Svizzera italiana, a Tesserete, nel 1950 Luciano Rigolini si è formato al Dipartimento di Cinema dell’università di Paris VIII. A renderlo noto internazionalmente sono soprattutto alcuni lavori fotografici dei primi anni ’90, i suoi “Landescapes”, in cui analizza la relazione tra forma e contenuto dell’immagine fotografica.

Dal 1995 lavora come produttore televisivo per il canale culturale ARTE a Parigi, dove ha uno spazio di creazione nell’ambito del film documentario. Suo interesse maggiore sia in campo fotografico che cinematografico è lo sviluppo di nuove forme espressive e narrative di rappresentazione del reale.

Attualmente dedica la sua attenzione alle forme dello sguardo e alle percezioni delle immagini e su questo tema ha già presentato un’esposizione esaustiva al Museo Cantonale d’Arte di Lugano nel 2007. Pur affrontando gli stessi argomenti, la mostra di Winterthur, radicalizza alcuni concetti concentrandosi soprattutto sul recupero del documento attraverso una lettura estetica.

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