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Uno scorcio di vita rurale del XIX secolo

La casa di Cugnasco al Ballenberg: tutto è stato conservato nei minimi dettagli, catenaccio e chiave inclusi swissinfo.ch

È l'alba. Nella cucina di un'angusta casa bilocale, il fuoco comincia a lambire il paiolo dove tra qualche ora sbufferà pigra la polenta. L'ambiente è fumoso, l'aria pressoché irrespirabile.

Attorno al camino, uno sparuto gruppo di persone: un’anziana donna, seduta su una panca di legno, un uomo e un paio di bimbi scalzi. La porta è socchiusa per far uscire il fumo soffocante.

Nel XIX secolo, è questa la scena che ogni mattino di buon’ora si ripete nei villaggi dell’Alto Ticino, il Sopraceneri.

La casa di cui stiamo dicendo sorge nel nucleo di Cugnasco, un paese situato a est di Locarno, ai piedi della Valle Verzasca. O perlomeno, è lì che sorgeva originariamente.

La casa di Cugnasco, infatti, è uno dei tre edifici rurali ticinesi che sono stati smontati pietra dopo pietra o asse dopo asse e trasportati al nord delle Alpi nel museo svizzero all’aperto del Ballenberg, dove mani sapienti li hanno perfettamente ricostruiti.

Le pentole sono state nuovamente appese al basso soffitto; la posateria – un coltello da pane e poco più – appoggiata sul tavolo di legno ripiegabile.

Giovanni Buzzi, un esperto di storia del Ticino rurale, racconta come viveva la gente attorno al 1850, agli albori della prima ondata migratoria oltreoceano.

«La dieta era estremamente povera e monotona. Si mangiava polenta e pane di segale. Per superare l’inverno, c’erano le castagne e le patate. Una volta essiccate, le prime venivano macinate per produrre farina oppure cotte nell’acqua o nel latte».

«Tempo fa – prosegue Buzzi – conobbi un signore molto anziano e quando gli confessai che adoravo le castagne lui replicò, ‘Per carità, non me ne parli. Quand’ero giovane, non avevamo nient’altro da mettere sotto i denti all’infuori delle castagne, tutti gli anni la stessa storia per tre mesi di fila. Non le posso proprio più vedere’».

Una vita “nomade”

La tipica famiglia ticinese del XIX secolo era composta da cinque-dieci persone: due coniugi, i loro figli, una o due zie nubili, uno zio e a volte un nonno o una nonna che aveva raggiunto la veneranda età di 40 anni.

Ma raramente l’intera famiglia trascorreva tutto l’anno sotto un unico tetto.
A partire dai cinque anni, i bambini, insieme ad altri giovani – spiega Buzzi – si spostavano continuamente tra vari edifici raffazzonati alla bell’e meglio, per accudire il bestiame che consisteva in un paio di mucche, qualche pecora e qualche capra, e rientravano all’abitazione principale situata nel villaggio solo poche volte all’anno.

«Secondo i miei calcoli, ogni famiglia di Malvaglia, un paese della Valle di Blenio, possedeva tra i cinque e i dieci edifici e tra i 20 e i 30 microappezzamenti di terreno sparsi tra la pianura, le pendici delle montagne e gli alti pascoli alpini».

Nonostante le condizioni primitive, la vita quotidiana era regolata da un complesso codice di norme. Ad esempio, vi erano regolamenti che stabilivano a quale uso era adibita la maggior parte dei terreni (di proprietà comune degli abitanti del villaggio), chi poteva farne uso e quando, ossia il giorno esatto di tarda primavera o di inizio estate in cui una famiglia era autorizzata a portare il proprio bestiame in montagna a pascolare.

Lotta all’ultima castagna

Di norma, i castagneti erano proprietà comune, ma non i singoli alberi che appartenevano a uno o più privati. «Una sola pianta era in grado di sfamare fino a cinque famiglie e spesso scoppiavano liti per ogni singola castagna», racconta Buzzi.

Anche i boschi lungo i pendii delle montagne appartenevano a tutti gli abitanti, ma nel XIX secolo la gente doveva fare i conti con la deforestazione, in quanto i villaggi esportavano la maggior parte del legname verso il Nord Italia dove veniva utilizzato come combustibile per alimentare le fabbriche di città industrializzate come Milano.

Per raggranellare qualche spicciolo, le famiglie vendevano all’estero il formaggio prodotto con il latte del loro bestiame e la carne dei capi macellati.

Il latte per i bambini e gli anziani era assicurato da una mucca che rimaneva sempre presso l’abitazione principale.

«Con i pochi soldi che guadagnavano, acquistavano il materiale necessario per realizzare vestiti oppure il sale indispensabile per la loro dieta. Quella di allora, era tutt’altro che un’economia monetaria», sottolinea l’esperto.

Una società analfabeta

La mortalità infantile si aggirava attorno al 50 percento e poiché la maggior parte dei bambini che sopravviveva non aveva il privilegio di frequentare la scuola, spesso rimaneva analfabeta. Le poche scuole esistenti erano gestite dal parroco del paese, ma tra questi uomini di Chiesa, pochi erano in grado di insegnare.

I possedimenti privati venivano suddivisi tra tutti i figli. Per evitare un eccessivo frazionamento delle parcelle già esigue appartenenti a una famiglia, esistevano diverse scappatoie. Ad esempio, si cercava di accasare un figlio con una ragazza di un altro villaggio oppure si chiedeva un prestito per consentire a un altro figlio di emigrare.

Intanto, nella casa di Cugnasco la giornata sta volgendo al termine e tutti i membri della famiglia salgono al piano superiore dove trascorreranno la notte nell’unica stanza situata sopra la cucina. E per concludere, Giovanni Buzzi ci riserva un’ennesima curiosità:

«La gente di allora si coricava con indosso i vestiti da giorno, perché non aveva né maglie né camicie da notte. Due o tre bambini condividevano lo stesso letto e in questo modo si tenevano caldo l’un l’altro a mò di scaldiglia».

swissinfo, Dale Bechtel
(traduzione e adattamento di Sandra Verzasconi Catalano)

Il museo etnografico all’aperto è situato a Brienz, nell’Oberland bernese, a qualche chilometro da Interlaken.

Sui 660mila metri quadrati di area espositiva si possono ammirare un centinaio di case originali e plurisecolari provenienti da tutte le regioni della Svizzera.

I visitatori possono inoltre seguire dimostrazioni di artigianato tradizionale e osservare come venivano coltivati gli orti e i campi di un tempo.

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