Yoko e l’arte, una questione di Ono-re
L'artista giapponese Yoko Ono, accusata da molti di aver sciolto i Beatles, viene lentamente riconosciuta come una delle artiste d'avanguardia più influenti del suo tempo. Una mostra presso la Kunsthaus di Zurigo offre un'ampia testimonianza della sua evoluzione artistica.
Nella narrativa mainstream della cultura pop, Yoko Ono è probabilmente una delle figure più demonizzate e di cui si è sparlato di più: una “strega” capace di scagliare un incantesimo su John Lennon e ritenuta colpevole della rottura dei Beatles.
Nell’ideale collettivo, alimentato dai tabloid britannici, l’immagine di quell’enigmatica donna asiatica che gridava sullo sfondo dei concerti rock più famosi – e non solo dei Beatles – ne ha offuscato la carriera artistica. Al di fuori dei circoli avanguardisti, di arte concettuale e della pop art di allora, le opere di Yoko Ono erano a mala pena considerate, così come veniva snobbata l’influenza dei suoi lavori sul movimento dei FluxusCollegamento esterno (v. più in basso).
L’esposizione allestita attualmente presso la Kunsthaus di Zurigo si iscrive nel solco di quella che è una sorta di “riabilitazione” obbligata della figura pubblica di Yoko Ono, grazie anche alla recente uscita di Get BackCollegamento esterno, documentario di otto ore firmato da Peter Jackson.
Visto con occhi abituati ai media odierni, il lungometraggio assume le sembianze di un reality show. È la versione rivisitata delle lunghe riprese girate durante le prove dei Beatles in preparazione di quello che sarebbe passato alla storia come il mitico concerto sul tettoCollegamento esterno, l’ultima apparizione pubblica della band.
Yoko Ono vi è ritratta mentre assiste al lavoro quotidiano della band, silenziosa e paziente. Si limita ad accompagnare John Lennon, senza intromettersi nello slancio creativo dei quattro ragazzi prodigio. Persino Paul McCartney, di certo non un grande ammiratore di Yoko Ono, a un certo punto chiosa scherzando: “Fra 50 anni diventerà qualcosa di comico e incredibile: ‘[I Beatles] si sono sciolti perché Yoko si è seduta su un amplificatore.’”
Il breve periodo trascorso seguendo i Beatles però è stata solo una parentesi nella lunga carriera di Yoko Ono, capace di dare vita a varie forme d’arte che riunivano la figura di artista, poetessa, interprete, paroliera, cantante e attivista politica.
Il movimento Fluxus
“Yoko non prediligeva una forma precisa: ha sempre utilizzato i canali che le servivano in quel particolare momento”, dice Jon Hendricks a swissinfo.ch. Hendricks ha lavorato a un archivio globale del movimento Fluxus – conosciuto anche come la collezione Gilbert & Lila SilvermanCollegamento esterno – poi donato nel 2008 al Museo d’arte moderna di New York (MoMa). Per l’esposizione di Yoko Ono ha anche collaborato con Mirjam Varadinis, curatrice della Kunsthaus.
Fluxus rappresenta un primo passo fondamentale per collocare Yoko Ono sulla confusa cartina dell’arte contemporanea dagli anni Sessanta ad oggi. Creato attorno all’artista lituano-statunitense George Maciunas, Fluxus era più di un movimento. Era una comunità internazionale di creatori di forme multiple: artisti, architetti, compositori, designer ecc.
Ben prima dell’avvento di Internet, Fluxus mise in collegamento persone da Corea e Giappone con la Germania, il Regno Unito e gli Stati Uniti e, grazie alla mail art, creò reti nelle parti “periferiche” del circuito artistico internazionale, come in America del Sud.
Essendo un movimento dalle molteplici sfaccettature, risulta praticamente impossibile descriverlo in poche parole. La pagina Wikipedia però lo riassume abbastanza bene, dipingendolo come un movimento degli anni Sessanta e Settanta che si proponeva di abolire il linguaggio artistico canonico di allora.
Questa breve definizione può essere sviluppata ulteriormente. Nel caso specifico, Yoko Ono colpisce per la sua voglia particolare non solo di “raggiungere” il pubblico, ma di toccarlo e di essere toccata.
L’atto di toccare (touch) è un concetto fondamentale delle sue opere – molte delle quali riprendono questo gesto nei titoli (Touch Piece, Touch Poem) – o delle sue canzoni, da Touch Me (Plastic Ono Band, 1970) al pezzo Kiss Kiss Kiss e il ritornello “touch touch touch touch me love” (1980). Anche l’esibizione allestita presso la Kunsthaus permette di toccare Yoko Ono grazie all’opera Touch Me III (2008). Quest’ultima, infatti, riproduce in marmo alcune sue parti del corpo (bocca, seni, pancia, basso ventre, gambe e piedi), con l’invito a immergere le mani in una ciotola d’acqua e a toccarle.
Un’aristocratica radicale
Lo scorso mese Yoko Ono ha compiuto 89 anni. Cresciuta nel Giappone degli anni Trenta e Quaranta, riceve un’educazione aristocratica, ma nel secondo dopoguerra soffre fame e miseria. Nei primi anni Cinquanta la famiglia si trasferisce negli USA, dove Yoko conclude la formazione artistica e sviluppa le prime opere e performance.
A influenzare per primi gli artisti del movimento Fluxus sono compositori avanguardisti del calibro di John Cage, come anche il dadaismo, tendenza nata a ZurigoCollegamento esterno nel 1916 e poi diffusasiCollegamento esterno a Berlino, Parigi e New York dopo la fine del primo conflitto mondiale. Inizialmente, gli artisti di Fluxus si definiscono “neo dadaisti”; su consiglio di alcuni veterani del dadaismo, però, Maciunas conia un nuovo termine capace di incarnare lo stato d’animo di quel dato momento e di evitare le insidie di una corrente già istituzionalizzata.
Nel frattempo, Yoko Ono e il compositore La Monte YoungCollegamento esterno organizzano eventi di musica sperimentale nell’appartamento newyorkese dell’artista giapponese, che si esibisce per la prima volta in pubblico presso la Carnegie Recital Hall nel 1961. Dal 1964 il suo lavoro comincia a fare scalpore oltre il ristretto circolo degli avanguardisti di New York.
La performance concettuale Cut Piece, il cui filmato accoglie i visitatori della Kunsthaus, ritrae Yoko Ono e un paio di forbici. L’artista, seduta immobile, invita il pubblico a tagliare i vestiti che indossa. L’esibizione affronta questioni di classe, identità e genere ed è stata riproposta in molti altri contesti da diversi artisti, tra cui Jon Hendriks e il suo Guerrilla Art Action Group nel 1969.
Lo stesso anno Yoko Ono pubblica il libro di stampo concettuale Grapefruit, una serie di “istruzioni” sui comportamenti da assumere nei confronti dell’arte. In quegli anni, più che il talento artistico nel disegno o nella pittura, sono proprio i comportamenti il fulcro dell’arte concettuale; questa idea ispira il titolo dell’esposizione When Attitudes become formCollegamento esterno, organizzata dal curatore elvetico Harald Szeemann a Berna nel 1969 e diventata una pietra miliare.
Andare oltre
Si sostiene che, essendo il frutto di un’immigrata asiatica donna, il lavoro di Yoko Ono inizia a essere rispettato solo dopo che altri artisti uomini bianchi come Lawrence WeinerCollegamento esterno e Sol LeWittCollegamento esterno cominciano a fare cose simili. Ma verso la fine degli anni Sessanta Yoko Ono si prende una pausa.
Come dice Hendricks a SWI swissinfo.ch, “Yoko non ha smesso di fare arte dopo aver conosciuto John Lennon. Ha trovato semplicemente altri mezzi, e altri canali, per continuare a sfidare la cultura dominante”.
Proprio quando l’arte concettuale e minimalista cominciano a prendere piede in tutto il mondo, Yoko Ono passa ad altro: tramite la collaborazione con John Lennon, conosciuto in una galleria londinese nel 1967, la sua vena artistica diventa una combinazione tra musica e attivismo politico. Gli anni Settanta la vedono alla guida della Plastic Ono BandCollegamento esterno, cavalcando la popolarità di John Lennon e la macchina dell’industria musicale per rendere mainstream messaggi di stampo femminista e pacifista.
All’epoca Yoko Ono è già diventata un’icona (o un’anti-icona) della cultura pop. Il mix tra il suo radicalismo artistico e la mente creativa di John Lennon finisce per imporsi sul mainstream. Ma sempre con una sfida, una provocazione impudente o un messaggio: a volte sui diritti delle donne, altre volte contro la guerra in generale, specialmente quella del Vietnam. Il loro primo happening artistico-politico, ingegnoso dal punto di vista mediatico, è il Bed-in per promuovere la pace inscenato in hotel di Amsterdam e Montreal, un assaggio di quelle che sarebbero state le successive apparizioni pubbliche della coppia.
Una serie di donne illustri
La sua longevità le ha permesso di avere l’ultima parola a coronamento di una carriera creativa non priva di controversie, segnata dalla sfida allo sguardo maschile occidentale. Fino a poco tempo fa, Yoko Ono era ancora impegnata su più fronti: mantenere viva l’eredità di John Lennon, incidere nuove versioni di canzoni da lei scritte in passato, partecipare a iniziative caritatevoli e campagne, e persino dare vita all’ennesimo lavoro artistico – un cielo azzurro, due nuvole e la semplice scritta “dream” (sogna) – sulle pareti della fermata della metro nella 72a strada a New York, non lontano da casa sua.
A novembre 2021, però, il periodico The New Yorker ha annunciato che Yoko Ono “si è ritirata dalla vita pubblica”. Per le questioni legate ai Beatles, i Lennon sono ora rappresentati dal figlio Sean.
Yoko Ono vanta già un posto di spicco nel canone artistico dell’arte contemporanea, assieme a molte altre donne, moderne eccellenze a pieno titolo, alle quali è stato finalmente attribuito il riconoscimento che avrebbero meritato molto tempo prima.
La mostra a Zurigo
La mostra “Yoko Ono. This Room Moves at the Same Speed as the Clouds” (Yoko Ono. Questa stanza si muove alla stessa velocità delle nuvole) si tiene alla Kunsthaus di Zurigo fino al 29 maggio. L’esposizione è accompagnata da un ampio programma di performance, in cui vengono messe in scena opere chiave di Yoko Ono.
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