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A piedi sulle tracce di un massiccio mitico

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swissinfo.ch si mette in viaggio. Da Erstfeld a Bodio a piedi attraverso una regione che è entrata a pieno titolo nella storia e nella mitologia svizzera.

Manca meno di un anno all’inaugurazione di quello che è stato soprannominato il cantiere del secolo: la nuova galleria di base del San Gottardo, che coi suoi 57 chilometri di lunghezza sarà il tunnel ferroviario più lungo del mondo. Una distanza che sarà coperta in una ventina di minuti.

Venti minuti in una galleria immersa nell’oscurità, sotto un massiccio – quello del San Gottardo appunto – entrato a pieno titolo nella storia e nella mitologia svizzera, tanto da essere considerato per anni il punto più alto della Svizzera. Un mito dalle diverse sfaccettature. Molti vedono in questa regione la culla della democrazia svizzera. Poi, vi è naturalmente l’epopea ingegneristica. Come l’uomo è venuto a capo di una natura ostile, riuscendo a costruire uno dei più importanti passaggi tra nord e sud dell’Europa. Il San Gottardo è anche stato il bastione dove durante la Seconda guerra mondiale l’esercito svizzero avrebbe dovuto resistere fino all’ultimo in caso di invasione. Negli ultimi anni, dopo l’apertura della galleria autostradale, il San Gottardo è infine assurto a simbolo della lotta contro il problema del traffico nelle regioni alpine. Una lotta a cui tra qualche mese andrà ad aggiungersi un altro capitolo, quando il popolo svizzero sarà chiamato a votare sulla costruzione di una seconda galleria autostradale.

swissinfo.ch ha deciso di mettersi sulle tracce di questo mito, percorrendo in gran parte a piedi la strada che separa Erstfeld da Bodio, dove si trovano i due portali della nuova galleria ferroviaria. Un viaggio che documentiamo in questo blog e che sarà oggetto di un reportage più completo nelle prossime settimane.

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Venerdì 3 luglio: Airolo – Biasca

Siamo quasi alla fine. Oggi ci aspetta l’ultima tappa del nostro viaggio lungo la strada del San Gottardo. Per questioni di tempo, dobbiamo però barare. Da Airolo al portale sud della galleria di base è ancora lunga. Troppo per compiere il tragitto in una sola giornata. Come previsto, optiamo perciò per la bicicletta. Si tratta pur sempre di un mezzo mosso dalla forza muscolare, anche se i mulattieri di un tempo non lo conoscevano.

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Dopo qualche chilometro e numerose bandiere dell’Ambrì Piotta, squadra di hockey su ghiaccio emblema della regione, giungiamo al Dazio Grande di Rodi. La casa si trova in una posizione altamente ‘strategica’: le gole del Piottino, un centinaio di metri più a valle, trasformano la Val Leventina in un budello. Dopo la costruzione della strada attraverso queste gole nel 1561, il canton Uri – da cui dipendeva la Leventina – ha costruito un edificio, la cui funzione principale era di fungere da dogana. Tutti coloro che transitavano lungo il San Gottardo dovevano insomma passare da qui. Una funzione che è perdurata fino al 1848, quando la nascita dello Stato federale ha abolito le dogane interne. Da un tariffario del 1818, appeso su una delle pareti delle sale restaurate, apprendiamo che per gli “orsi da pubblico” che transitavano dal Dazio Grande i proprietari dovevano sborsare 37,5 lire, la stessa somma che doveva pagare chi arrivava in carrozza.

Il Dazio aveva però anche un’altra funzione: era un luogo di sosta e locanda per viaggiatori. Praticamente all’abbandono, l’edificio è stato acquistato dall’omonima fondazione nel 1989, che lo ha ristrutturato e lo ha aperto al pubblico nel 1998. Oggi ospita un museo e una locanda con 6 camere. 

La discesa dall’antica strada attraverso le gole è grandiosa. Praticamente invisibile a chi sale o scende in automobile o in treno. In un punto, uno scoscendimento ha distrutto quasi completamente la carreggiata. Quando la natura si scatena e l’acqua scorre a fiumi lungo queste pareti a picco, lo spettacolo deve essere impressionante.

Superato Faido, villaggio che tra la fine del XIX secolo e la Prima guerra mondiale si era trasformato in un’ambita meta di villeggiatura, arriviamo al secondo grande ostacolo naturale per chi scende da Airolo: le gole della Biaschina. Anche qui il paesaggio è impressionante, soprattutto per l’enorme viadotto autostradale che le sovrasta. L’afa si fa più opprimente, ciò che ci fa ricordare che siamo ormai ritornati in pianura. Ci fermiamo a Giornico, piccola perla medievale, con le sue sette chiese, i suoi due ponti romanici e l’unica isola in Ticino – un minuscolo fazzoletto di terra sul fiume Ticino – abitata tutto l’anno, vanto dei suoi abitanti. Qui si trova anche il Museo della Leventina, recentemente ristrutturato, sulle cui pareti spiccano gli stemmi di nobili casate transitate da qui.

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Dopo questo ultimo tuffo nel passato e un’ottantina di chilometri percorsi, il nostro viaggio giunge praticamente alla fine. Ancora qualche pedalata e sulla nostra destra, poco dopo Bodio, vediamo sbucare la nuova galleria di base. Tra meno di un anno, ci vorranno una ventina di minuti per percorrere lo stesso tragitto. “La magnificenza del mondo s’è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità”, affermava Marinetti un secolo fa. Sarà… In questi cinque giorni ho però soprattutto riscoperto la bellezza della lentezza.

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Giovedì 2 luglio: Passo del San Gottardo – Airolo

La canicola giunge al momento giusto, visto il nostro programma. Oggi abbiamo infatti intenzione di passare la maggior parte del nostro tempo sotto terra. Nei chilometrici cunicoli scavati nelle viscere del massiccio del San Gottardo. Dalla fine del XIX secolo, l’esercito ha infatti deciso di trasformare la regione – altamente strategica dopo l’apertura della linea ferroviaria del San Gottardo nel 1882 – in un baluardo imprendibile per l’ipotetico nemico.

A poche decine di metri dal pacifico ospizio che per secoli ha dato rifugio a pellegrini e viandanti, si staglia un forte costruito durante la Prima guerra mondiale. Poco più in là, dietro una porta blindata, si nasconde uno dei segreti meglio custoditi dell’esercito svizzero: il forte Sasso Da Pigna, costruito tra il 1941 e il 1943. Meglio custoditi si fa per dire. “Fino al 2001 questo forte era coperto da segreto militare”, ci dice Damian Zingg, capo operatore della Fondazione Sasso San Gottardo. A poche decine di metri dall’entrata transitano però ogni anno migliaia di autovetture e con un occhio attento si possono scorgere un centinaio di metri più in alto i cannoni orientati verso sud e verso ovest. Da qualche anno, il forte non è più in esercizio e la fondazione Sasso San Gottardo ne ha ripreso la gestione, aprendolo al pubblico. Qui dentro 500 uomini potevano vivere in autarchia per sei mesi.

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All’interno rimpiangiamo quasi la canicola. Nelle gallerie, la temperatura si abbassa fin verso sette gradi. Sopra di noi ci sono 300 metri di granito. Dalle feritoie la vista è però splendida.

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Dopo la salita del giorno prima, oggi è tutta discesa fino ad Airolo. Una discesa lungo una strada che con il suo acciottolato e i suoi tornanti è ormai entrata nella storia: la Tremola. Nel suo tratto più spettacolare la strada supera su una lunghezza di quattro chilometri un dislivello di 300 metri in 24 curve. Un ‘must’ per ciclisti, motociclisti e automobilisti, che spesso incrociamo a bordo di auto d’epoca. 

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Arrivati qualche centinaia di metri sopra Airolo, ci troviamo davanti a quella che sembra essere una cascina. Nulla di più sbagliato. La ‘cascina’ è l’entrata di un altro forte costruito poco prima della Seconda Guerra mondiale, il Foppa Grande.

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Edoardo Reinhart, dell’Associazione degli amici del Forte Airolo, ci fa da guida all’interno della fortificazione, oggi dismessa. Anche qui un concentrato di soluzioni ingegnose per far fronte ad ogni eventualità.

Poco più a valle del Forte Foppa Grande, un’altra opera avrebbe dovuto scoraggiare eventuali invasori: il Forte Airolo, uno dei primi forti completamente chiusi, costruito alla fine dell’Ottocento. 

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Il forte era stato pensato prima di tutto per proteggere la galleria ferroviaria del San Gottardo. Oggi è in parte ancora utilizzato come accantonamento per le truppe e in parte adibito a museo. Da qui parte un cunicolo di un chilometro che arriva all’entrata del tunnel ferroviario. Passiamo da qui per arrivare ad Airolo, nostra prossima meta. All’interno, improvvisi spostamenti d’aria ci annunciano il passaggio del treno. Avete già provato a camminare per un chilometro sotto terra in un cunicolo di due metri per due? Impressionante ed interminabile. Decisamente lo spirito da minatori ci ha abbandonato. Per oggi penso che ne abbiamo abbastanza di questa Svizzera sotterranea. Viva la canicola!

Mercoledì 1 luglio: Andermatt – Passo del San Gottardo

Oggi ci aspetta la vera salita. Da Andermatt al Passo del San Gottardo. Circa 700 metri di dislivello. Niente di stratosferico, ma farli coi bagagli sulle spalle è un’altra storia. Come i giorni precedenti possiamo però contare su un pratico servizio – proposto da Swisstrails – che si occupa di trasportare i bagagli da un albergo all’altro. Parto quindi leggero leggero, con giusto un taccuino e poco più nel sacco. Sin dall’inizio del viaggio il mio collega videogiornalista Carlo si è invece immedesimato in un mulattiere di un’altra epoca, con un sacco da far paura a uno sherpa sulle spalle. Tutto il necessario per immortalare ogni dettaglio del percorso. A nulla valgono le mie suppliche per aiutarlo a trasportare anche una piccola parte del suo arsenale tecnico. Dopo appena 500 metri è però già fermo per una prima foto panoramica.

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Proseguiamo per Hospental, antico crocevia, come ci ricorda l’iscrizione sulla cappella San Carlo: “Qui i cammini si separano. Amico, dove ti conducono i tuoi passi? Scenderai verso la Roma eterna? Verso il Reno tedesco e Colonia la santa? Oppure verso ovest in terra di Francia?”

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Dopo Hospental la strada inizia ad inerpicarsi veramente. Camminiamo lungo la vecchia strada costruita verso il 1830, dove transitavano le diligenze. “Tutto l’anno”, ci precisa il direttore del Museo nazionale del San Gottardo Carlo Peterposten, che ci accompagna per parte del tragitto. In caso di neve, si utilizzavano delle slitte. Transitavano? Arrivati in località Mätteli, ci rendiamo conto che dobbiamo utilizzare un altro tempo. Da qualche anno, si può infatti di nuovo percorrere il tragitto da Andermatt ad Airolo in diligenza. Un’esperienza non alla portata di tutti: costa infatti circa 600 franchi.

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Dopo circa quattro ore di cammino, siamo finalmente in cima. Dappertutto laghetti, torrenti, rigagnoli… Nella regione del Gottardo si trovano le sorgenti di quattro fiumi che scorrono lungo i quattro punti cardinali: il Reno verso est, il Rodano verso ovest, il Ticino verso sud e la Reuss verso nord. 

Prendendo possesso delle nostre stanze nell’antico e recentemente rinnovato Ospizio del San Gottardo, facciamo un piccolo tuffo nel passato. Ogni camera è dedicata a un personaggio transitato da qui: Goethe, Rossini, Balzac, Bakunin, Suvorov… La lista è lunga. La storia è decisamente passata da qui. 

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Martedì 30 giugno: Wassen – Andermatt

Giove si annuncia clemente questa settimana. Anche troppo. La nostra camminata ricomincia come era finita: con un gran sole e un gran caldo già di primo mattino.

Ciò che ci colpisce durante questi chilometri spesso percorsi a pochi metri dalla linea ferroviaria o dall’autostrada è il lavoro da titani che è stato fatto per rendere sicuro il percorso. Un aspetto che non salta facilmente all’occhio a chi transita velocemente lungo l’asse del San Gottardo in auto o in treno.

Dappertutto corridoi e ripari valangari, reti d’acciaio contro le cadute di massi, sistemi d’allerta… Scavare le gallerie è stato un lavoro sicuramente incredibile. Costruire il resto lo è stato altrettanto.

Sulla destra la casa di un casellante, sopra il treno una protezione antivalanghe. swissinfo.ch

Il tributo per riuscire a portare a termine questa formidabile opera ingegneristica è però stato alto: ufficialmente 177 operai, soprattutto italiani, hanno perso la vita sul lavoro durante la costruzione della linea ferroviaria del San Gottardo (1872-1882).

In realtà le cifre sono verosimilmente molto più elevate: fino a 500 morti, secondo altre fonti. Ad esempio, gli operai feriti che rientravano a casa e poi morivano qualche settimana dopo non venivano conteggiati. Così come tutti coloro ammalatisi in galleria.

“Sono loro i veri eroi del San Gottardo”, ci ha detto Karl Waldis, il nostro accompagnatore del giorno prima. Come dargli torto, arrivando davanti al portale nord della galleria ferroviaria e ripensando alle terribili condizioni di vita delle migliaia di operai lombardi e piemontesi grazie ai quali è stata possibile un’impresa simile.

Portale nord della galleria ferroviaria del San Gottardo swissinfo.ch

Arrivati a Göschenen, dobbiamo purtroppo salire in treno. A causa di una frana le gole della Schöllenen sono chiuse agli escursionisti.

Dieci minuti ed eccoci arrivati ad Andermatt, nostra seconda tappa. Entriamo nel villaggio accolti dal rombo di vecchie – e costose – auto sportive con targhe inglesi. Scarrozzare lungo i passi alpini a bordo di bolidi d’altri tempi ha sicuramente ancora il suo fascino per alcuni.

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Il rombo delle auto e delle numerose moto che transitano lungo queste strade non fa però tanto al caso nostro. Ci rifugiamo alla ricerca di un attimo di pace in una chiesa all’entrata del villaggio. Una chiesa che ha una storia molto antica. Qui, infatti, già nel 1100 sorgeva un luogo di culto dedicato al monaco irlandese San Colombano.

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Il San Gottardo ha però iniziato a diventare la via delle genti – le genti che da nord si recavano in pellegrinaggio a Roma – solo qualche decennio più tardi. Verso il 1230, la costruzione del Ponte del Diavolo ha finalmente permesso di venire a capo delle gole della Schöllenen, praticamente insuperabili fino ad allora. Anche questo un capolavoro d’ingegneria medievale.

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Ed è anche a Schöllenen che iniziamo a intravvedere i primi segni di un’architettura molto più contemporanea: i vari bunker costruiti tra la fine del XIX secolo e la Seconda guerra mondiale. Qui, nella regione del San Gottardo, l’esercito svizzero ha edificato la sua ultima linea di difesa in caso d’invasione.

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Ma questa è un’altra storia, che avremo ancora modo di raccontare arrivando in cima al San Gottardo e poi scendendo verso sud, dove la montagna è stata trasformata in un vero e proprio emmental. Gli svizzeri hanno decisamente la passione delle gallerie!


Lunedì 29 giugno: Erstfeld – Wassen

Il nostro viaggio inizia da qui. Portale nord della galleria di base del San Gottardo. 

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Intschi, frazione di Gurtnellen. Probabilmente la più piccola stazione svizzera, in servizio dal 1948 fino al 1995. Per diversi anni, la stazione è stata una delle poche a non appartenere alle Ferrovie federali svizzere. È stata infatti finanziata interamente dalle autorità di Gurtnellen.

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I minatori impiegati nello scavo della ferrovia del San Gottardo negli anni 1870 erano pagati poco più di 100 franchi al mese in media. Dal salario andava ancora dedotto il noleggio della lampada ad olio, senza contare le altre numerose spese di sostentamento. Uno stipendio migliore rispetto a quelli in vigore nell’edilizia, ci dice la nostra guida del giorno, Karl Waldis, ex maestro di scuola elementare e soprattutto grande appassionato della storia della linea del San Gottardo. 

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Per la prima volta in 46 anni vedo la famosa chiesa di Wassen da un’altra prospettiva. Chi tra coloro che percorrono con una certa regolarità la tratta ferroviaria del San Gottardo non l’ha mai maledetta? I treni impiegano infatti diversi minuti per superare Wassen. Per superare un dislivello di quasi 100 metri sono state costruite ben tre gallerie elicoidali. Una prodezza ingegneristica. Chi si trova sul treno ha però un po’ l’impressione di viaggiare sul posto.

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Ed è anche qui a Wassen che si conclude la prima tappa del nostro viaggio. Martedì il nostro cammino ci porterà fino ad Andermatt. A due passi da Hospental, dove in passato i viaggiatori facevano sosta per un ultimo ristoro prima di iniziare ad inerpicarsi sulle pendici del San Gottardo.

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