Ai Weiwei, un giudice virtuale che sfida il regime
L'artista contestatario cinese Ai Weiwei, famosissimo in Occidente ma ripudiato nel suo paese, presiede a distanza la giuria del festival del film sui diritti umani di Ginevra. In un'intervista a swissinfo.ch, il dissidente assicura che soltanto la sua scomparsa potrà costringerlo al silenzio.
Considerato un personaggio scomodo, Ai Weiwei ha subito a più riprese le ire del regime cinese. La sua notorietà internazionale è però cresciuta di pari passo con la repressione.
Nel 2004 la città di Berna ha accolto la sua prima mostra personale a livello mondiale. Quest’anno Ai Weiwei è ospite virtuale dell’11esima edizione del festival del film e forum internazionale sui diritti umani (FIFDH) di Ginevra, che «punta i riflettori sugli artisti che si trovano in prima linea nella lotta contro i regimi autocrati, le forze oscurantiste e le ingiustizie».
swissinfo.ch: Le autorità cinesi le hanno vietato espressamente di lasciare il paese. È a conoscenza delle ragioni di questa decisione?
Ai Weiwei: Il FIFDH mi ha fatto l’onore di invitarmi a presiedere il comitato della giuria. I diritti fondamentali di tutti i cittadini includono la libertà di viaggiare e comunicare. Oggi i miei diritti sono limitati. Né la polizia, né il governo non mi hanno mai spiegato perché sono stato imprigionato e stigmatizzato e perché oggi mi impediscono di muovermi. Ma tutti questi ostacoli hanno avuto un grande impatto sulla mia vita personale e sulla mia creatività. Mi hanno forzato a trovare un nuova via d’uscita.
Ai Weiwei
Oggi i giovani sono senza passione e immaginazione proprio perché sono privati della libertà di esprimersi e di informarsi
swissinfo.ch: Come percepisce questo divieto?
A. W.: Se avessi potuto recarmi a Ginevra, l’incontro con gli altri membri della giuria e gli organizzatori di tutte le attività legate ai diritti umani sarebbero stati per me una fonte d’ispirazione.
Limitando così la libertà di un’artista mirano ad annullare la sua influenza e a rendere impossibile la comunicazione con la società. Ma allo stesso tempo, se guardo a questo divieto da un punto di vista positivo, posso dire che in un certo senso mi incoraggia a trovare nuove vie e nuovi linguaggi per superarlo.
swissinfo.ch: Il primo ministro cinese Wen Jiabao ha recentemente dichiarato davanti al parlamento che la Cina deve intensificare i suoi sforzi per promuovere la cultura. La convincono queste dichiarazioni?
A. W.: Non ho seguito il discorso del premier, perché le belle parole prive di contenuto mi stancano tantissimo. Credo che ci raccontino le stesse menzogne da ormai sessant’anni, si ripetano senza tregua, senza la minima vergogna. Tutta la politica culturale del partito è una negazione della cultura stessa, si contrappone al genere umano. Fondamentalmente si tratta di un limite alla libertà d’espressione dei cittadini.
Oggi i giovani sono senza passione e immaginazione proprio perché sono privati della libertà di esprimersi e di informarsi. In una società di questo tipo, come potrebbero gestire una potenza creatrice? Sono pure menzogne e ne sono consapevoli.
O allora forgiano una creatività infame. Oggi la Cina produce ciò che chiama “creazioni notevoli”, che sacrificano la creatività e l’immaginazione della nazione. Viviamo in una società di schiavitù moderna, che sogna potenza e ricchezza, negando allo stesso tempo l’idea di una civiltà spirituale.
Figlio di un grande poeta ripudiato all’epoca di Mao, Ai Weiwei – 55 anni – è sicuramente l’artista cinese contemporaneo più celebre e più provocatorio.
Le sue creazioni sono esposte ai quattro angoli del pianeta, segnatamente in Svizzera, dove intrattiene strette relazioni con l’ex ambasciatore a Pechino e collezionista Uli Sigg.
Dal 2005 al 2008, Ai Weiwei ha lavorato assieme agli architetti svizzeri Herzog & de Meuron al progetto dello stadio nazionale di Pechino, il famoso Nido d’uccello utilizzato per i Giochi olimpici di Pechino, per i quali lancerà in seguito un appello al boicottaggio.
Nel 2008, l’artista ha promosso una campagna su internet per denunciare il silenzio delle autorità in seguito al terremoto nella provincia del Sichuan, costato la vita a decine di migliaia di persone. Ai Weiwei lancia un grido d’indignazione per tutte quelle «scuole in tofu» crollate come castelli di carte perché il denaro necessario per costruirle è finito nelle tasche di funzionari corrotti.
Diventato un personaggio scomodo, l’attivista ha dovuto subire le ire del regime: pestaggi, imprigionamenti, condanne, arresti domiciliari… Più la repressione nei suoi confronti si è accentuata, più è cresciuta la sua notorietà internazionale. Artista tra i più in voga del momento, Ai Weiwei è diventato il simbolo della resistenza del popolo cinese nei confronti di un potere sempre più criticato.
swissinfo.ch: Tuttavia il nuovo uomo forte della Cina, Xi Jinping, ostenta una volontà di cambiamento. Reale o fasulla?
A. W.: Chi guarda alla Cina di oggi con sguardo razionale dovrà concludere prima o poi che sotto questo regime, in assenza di una reale volontà di cambiamento, ogni presunta riforma resta impossibile. Poco importa che assume il potere. Sarà sempre così, perché i dirigenti sono sempre prodotti del sistema e non vogliono intraprendere nulla che si opponga ai principi o all’etica del sistema. Ogni speranza finirà dunque per dissolversi come una bolla di sapone.
swissinfo.ch: Alcuni affermano che senza riforme politiche sostanziali, il partito comunista cinese potrebbe crollare tra cinque anni. Cosa ne pensa?
A. W.: Nessun partito, nessun regime che viola i valori fondamentali degli esseri umani dovrebbe esistere. Dovrebbe sparire non tra, ma entro cinque anni. La situazione cinese riesce però a sorprendere regolarmente il mondo. Come può un paese rinnovarsi, quando un regime non gode di un potere legittimo e resta al comando alle spese dei suoi cittadini e del suo territorio? È una questione spinosa. È vero che non vediamo alcuna scadenza. Ma sentiamo che il crollo del partito potrebbe giungere in qualsiasi momento. Questo è lo stato attuale delle cose.
swissinfo.ch: Quando era stato incaricato di disegnare lo stadio olimpico di Pechino, era ammirato e acclamato in Cina. Poi è diventato sempre più critico nei confronti del regime, provocatore, e così si è procurato le prime noie. Non teme per la sua vita?
A. W.: In quanto architetto, non ho mai goduto di alcuna protezione. Sono gli architetti svizzeri Herzog e De Meuron che mi hanno invitato a partecipare alla progettazione del Nido d’uccello. La Cina non invita mai nessun privato a partecipare ai progetti di Stato. D’altronde, le mie provocazioni non sono mai deliberate. Mi accontento di porre domande semplici. Ad esempio, se perdo il mio gatto, chiedo dove è andato. Idem quando così tante persone sono morte dopo il terremoto (di Sichuan nel 2008, ndr). Ho chiesto dove erano finiti tutti quei bambini morti, perché le loro scuole sono crollate, perché erano costruite così male. Credo che tutti debbano porsi queste domande. Non farlo, è rischiare un collasso.
Quanto alla domanda se rischio di avere ulteriori problemi, posso tranquillizzare tutti: la risposta è no! I problemi attuali sono già sufficientemente difficili da gestire. Penso che il peggio che potrebbe arrivarmi sarebbe sparire. Ma sarebbe un male minore, perché in fondo non sono mai esistito davvero in questa vita terrena. È soltanto una coincidenza se mi trovo qui in questo momento.
Un documentario di Alison Klayman sulla vita dell’artista cinese
(traduzione di Stefania Summermatter)
In conformità con gli standard di JTI
Altri sviluppi: SWI swissinfo.ch certificato dalla Journalism Trust Initiative
Potete trovare una panoramica delle discussioni in corso con i nostri giornalisti qui.
Se volete iniziare una discussione su un argomento sollevato in questo articolo o volete segnalare errori fattuali, inviateci un'e-mail all'indirizzo italian@swissinfo.ch.