Il cacciatore di parole
Negli anni venti, Paul Scheuermeier percorse la Svizzera italiana e l'Italia centro-settentrionale sulle orme dei dialetti. Le sue fotografie e i suoi diari sono gli eccezionali testimoni di un mondo ormai scomparso.
Trent’anni, un dottorato in tasca e un’opportunità di lavoro: andare a caccia di parole nella Svizzera meridionale e in Italia. Paul Scheuermeier non se la lascia sfuggire. Comincia così un’avventura che durerà una quindicina d’anni e che porterà lo zurighese di città fino nei villaggi più sperduti.
Siamo negli anni venti del Novecento e Scheuermeier si butta in una delle imprese più significative della linguistica romanza dell’epoca: la raccolta di materiali per l’Atlante linguistico ed etnografico dell’Italia e della Svizzera meridionale, quell’AIS che è ancora oggi uno strumento di lavoro indispensabile per tutti quanti si occupano di dialettologia.
Ma l’avventura non è solo scientifica. Nel corso dei suoi lunghi viaggi, fatti spesso a piedi, il «professore» incontra persone che lo toccano nel profondo. I contadini con i quali s’intrattiene per delle ore, alla ricerca di parole ed espressioni, non sono per lui dei semplici informanti. È il ritratto di un’umanità quello che riversa nei suoi diari, un ritratto fatto di aneddoti, di povere cene condivise, di rispetto.
Il linguista avrebbe potuto anche rivolgersi a persone istruite, ma – come scrive in un articolo pubblicato nel 1932 in un quotidiano di Winterthur – non è lì che si trova «l’antico patrimonio linguistico non ancora intaccato e contaminato dall’effetto livellatore della lingua scritta». Gli intellettuali riflettono troppo, mentre «ho trovato tra gli umili contadini e gli zappaterra italiani dei soggetti formidabili di cui ho potuto ammirare l’intelligenza e la prontezza delle risposte […] Persino dei vecchi analfabeti mi hanno saputo insegnare quanto l’umorismo innato e l’esperienza di vita vissuta valgano più di una superficiale educazione alla moda e di un’apparente conoscenza obbligatoria».
Un’opera da scoprire
Per le sue indagini, Scheuermeier portava con sé lo stretto necessario: una cartelletta con gli effetti personali, il questionario con gli oggetti e le forme grammaticali che gli informanti avrebbero dovuto indicare nel loro dialetto, i quaderni per gli appunti e l’apparecchio fotografico.
Anche se all’epoca la fotografia era già piuttosto diffusa, il «fotografista straniero» – come si definisce lo stesso Scheuermeier – non passava certo inosservato. «I furtivi “chi è? chi è? [degli abitanti] si infrangevano come onde dietro di me al mio ingresso nel villaggio».
Insieme agli appunti linguistici e ai diari, le fotografie di Scheuermeier costituiscono un fondo prezioso di materiali, affidato alle cure dell’Archivio AIS dell’Università di Berna. Per lo più inediti, i materiali che riguardano la Svizzera italiana sono stati raccolti recentemente nel volume Parole in immagine.
Frutto di un programma Interreg realizzato in collaborazione con la Lombardia, Parole in immagine presenta accanto ai testi di Scheuermeier (tradotti dal tedesco all’italiano) anche alcuni saggi introduttivi: Antonio Mariotti si occupa degli aspetti fotografici, Linda Grassi di quelli linguistici e Jon Mathieu del significato storico delle testimonianze raccolte dal ricercatore zurighese.
Il volume è un esempio riuscito di opera di divulgazione. Per apprezzarlo non sono necessarie conoscenze specifiche, ma solo una buona dose di curiosità – la stessa che probabilmente animava Scheuermeier – nei confronti di una cultura sul punto di scomparire o già scomparsa. «Il documentare ciò che è in via di estinzione è un atto sensato che non necessita di una giustificazione particolare», scrive nel suo saggio lo storico Jon Mathieu. «Ma forse questa non è l’espressione adatta, perché, come recita il detto proverbiale di William Faulkner: il passato non è mai morto: non è neppure passato».
Mettere in scena la storia
L’opera di “salvataggio” di Scheuermeier interviene in un momento storico in cui l’agricoltura tradizionale – uguale a sé stessa per secoli – sta subendo dei cambiamenti importanti. A volte, le fotografie del ricercatore mettono in scena oggetti che nessuno usa più, come quella scattata a Breno con gli attrezzi per la coltivazione della canapa, cessata da almeno dieci anni.
Del resto, fa notare Antonio Mariotti nel suo contributo, anche quando si trattava di pratiche ancora in uso, Scheuermeier doveva ricorrere alla messa in scena: «L’epoca dell’istantanea, almeno per lui, non era ancora arrivata». Il linguista era così costretto a trasformarsi in regista, a mettere ordine nelle inquadrature. Per lui, sottolinea Mariotti, «una migliore resa estetica corrisponderà sempre ad una maggiore capacità documentaristica dell’immagine».
Dotato di un orecchio sensibile – indispensabile a cogliere le sfumature nelle pronunce dialettali – Scheuermeier ha dimostrato di avere anche un buon occhio. C’è da sperare che così come è successo per la Svizzera italiana, e in parte per altre zone, sempre più iniziative portino alla pubblicazione dei materiali presenti nell’archivio AIS, che rappresentano l’eredità scientifica, estetica ed umana di Paul Scheuermeier.
swissinfo, Doris Lucini
Il volume, edito dal Centro di dialettologia e etnografia di Bellinzona, è dedicato alle ricerche di Paul Scheuermeier in 19 località della Svizzera italiana tra il 1920 e il 1927.
Parole in immagine raccoglie 200 fotografie, le annotazioni linguistiche e i diari del ricercatore. L’opera non ha soltanto un valore linguistico ed etnografico; lascia spazio anche all’estetica delle immagini e del racconto.
In concomitanza con la pubblicazione del libro, al Museo Vela di Ligornetto è stata inaugurata una mostra fotografica con le immagini di Scheuermeier, documenti audiovisivi e oggetti personali del ricercatore (21 settembre – 23 novembre 2008).
Nasce a Zurigo nel 1888, città dove studia e ottiene il dottorato nel 1919, anno in cui comincia la sua collaborazione con l’AIS, (Atlante linguistico ed etnografico dell’Italia e della Svizzera meridionale) diretto dai suoi maestri Karl Jaberg e Jakob Jud.
Per 15 anni percorre l’Italia e la Svizzera italiana alla ricerca di informazioni sui termini dialettali più arcaici, sulla loro pronuncia e sugli oggetti a cui questi facevano riferimento. Per documentare la realtà rurale di quegli anni scatta centinaia di fotografie.
Le sue indagini etnografiche confluiscono, oltre che nell’AIS, in Bauernwerk in Italien, una monumentale opera in due volumi (1943 e 1956), tradotta in italiano nel 1980 col titolo Il lavoro dei contadini: Cultura materiale e artigianato rurale in Italia, nella Svizzera italiana e retoromanza.
In conformità con gli standard di JTI
Altri sviluppi: SWI swissinfo.ch certificato dalla Journalism Trust Initiative
Potete trovare una panoramica delle discussioni in corso con i nostri giornalisti qui.
Se volete iniziare una discussione su un argomento sollevato in questo articolo o volete segnalare errori fattuali, inviateci un'e-mail all'indirizzo italian@swissinfo.ch.