Ken Loach e Paul Laverty, uomini del popolo: “La speranza è politica”
Il regista britannico Ken Loach e lo sceneggiatore Paul Laverty hanno ricevuto una standing ovation da una folla di 8'000 spettatrici e spettatori presenti in Piazza Grande al Festival di Locarno per il loro ultimo film, “The Old Oak”. Loach e Laverty hanno raccontato a SWI swissinfo.ch i loro timori se non ci sarà presto una rivoluzione.
Una scena di “The Old Oak” mostra un gruppo di persone che guardano le proprie foto nel retrobottega fatiscente di un vecchio pub. Una rifugiata siriana ha scattato tutte queste foto; dice che fotografare le dà speranza. Momenti di ozio per strada, scene dal parrucchiere: realtà semplici e ordinarie che non si direbbe abbiano un significato tale da finire sullo schermo.
Eppure, tutte queste persone sembrano essere sopraffatte da una felicità collettiva e profonda. Quelle sullo schermo del retrobottega sono le loro piccole vite, i loro quartieri; è il loro villaggio grintoso e pieno di difficoltà.
Questo sarebbe un modo per descrivere la filmografia di Ken Loach. Il suo è un cinema di rappresentazione. Porta sullo schermo le storie di persone a cui la macchina da presa raramente rivolge lo sguardo: comunità emarginate, persone a cui la società ha voltato le spalle, individui sfruttati e caduti nelle crepe del sistema. Più notoriamente, Loach è stato il più grande regista britannico partigiano della classe operaia ad aver realizzato film che sfoggiano un forte accento locale e sentimenti socialmente proattivi.
A 87 anni, ci si aspetterebbe che Loach sia diventato una presenza più tranquilla e riservata. Eppure, mentre parla, non si può fare a meno di notare il suo tono urgente. Non è solo consapevole dello stato attuale del mondo. È coinvolto.
“La speranza è politica”, dice, in un contesto in cui i movimenti di destra fanno leva sulle ansie della classe operaia in tutto il mondo. “Se ce l’hai, se sei fiducioso, puoi cambiare le cose. Se questa viene meno, si pensa che il mondo sia troppo difficile, che i nemici siano troppo forti. È allora che la gente diventa disperata”, afferma.
“È allora che interviene la destra. È allora che entrano in scena le persone razziste. E allora la gente cerca risposte facili. Quindi, la speranza è necessaria per cambiare. Se non hai fiducia, non lo farai, non ti organizzerai. Dal punto di vista politico, c’è bisogno di speranza.”
La voce dello scrittore
Dietro le parole e le immagini di Loach c’è anche il suo sceneggiatore, Paul Laverty, con cui il regista collabora dal 1996. Ascoltando Laverty parlare sembra di sentire uno dei personaggi che ha costruito. Anche in lui c’è una vertigine militante. I due si vantano di parlare quotidianamente da 30 anni di tutto, dalla vita alla politica al calcio.
“Siamo come un grande doppio spettacolo”, scherza Laverty. “Io mi invento le battute e Ken racconta le barzellette”. Loach risponde, con umiltà, ma con umorismo: “Io do suggerimenti e di solito non sono buoni”. Ma entrambi sottolineano l’importanza dei loro valori comuni.
Loach ha lo stesso approccio con il suo cast, sempre alla ricerca di un senso di parentela. Chiunque può interpretare un ruolo nei suoi film, indipendentemente dalla provenienza o dalla formazione attoriale. Infatti, a Loach piace fare scouting nei pub locali durante gli spettacoli serali, ed è molto propenso a coinvolgere persone del mestiere. “Ciò che importa è che siano autentici”, dice Loach.
Ma soprattutto, sia Loach che Laverty sono molto attenti alle turbolenze politiche che scuotono molte parti del mondo. Evidentemente, sostengono gli scioperi degli scrittori e delle attrici attualmente in corso negli Stati Uniti.
“Si torna sempre a chi ha il potere, a chi ha il controllo. I grandi investitori privati avranno sempre il potere e faranno sempre i film che vogliono. Dovremmo essere preoccupati dai film che stiamo realizzando. Gli sceneggiatori sono trattati come in un contesto industriale. E in un’industria, abbiamo bisogno di un salario equo e di condizioni migliori”, dice Loach.
“Perché scrivere seguendo i comandi di chi vi dà il lavoro? Tutto deriva dal fatto che si tratta di un’impresa capitalistica. C’è sempre questa contraddizione tra i film: da un lato è una comunicazione tra regista e pubblico, dall’altro è una merce tra la clientela e chi investe. Noi vediamo il pubblico, loro la clientela. Noi vediamo l’attenzione, loro il denaro.”
La situazione è peggiorata con le piattaforme di streaming, aggiunge, perché sono alla costante ricerca di una formula magica. “I film dovrebbero essere accompagnati dalla diversità di una buona biblioteca. Ma il più delle volte abbiamo uno scaffale di romanzi da aeroporto. Limitato dalle persone che scelgono di investire.”
Non sorprende che Laverty sia d’accordo. “Le aziende troveranno sempre modi più veloci per fare soldi”, afferma. “La grande domanda ora è l’intelligenza artificiale (IA) e come verrà utilizzata. È uno strumento affascinante, si può vedere quanto sia brillante. Ma vale la pena di chiedersi come viene utilizzata tutta la conoscenza rielaborata, o da dove viene presa. [Le aziende] troveranno anche un modo per privatizzare e monetizzare l’IA, proprio come fanno con i dati che vengono raccolti e venduti ora”
La gloria della televisione è finita
La forma attuale della televisione è un’altra preoccupazione di Loach, che ha iniziato la sua carriera realizzando film per la televisione negli anni ’60. Ma quando gli viene chiesto come si rapporta oggi a questo mezzo, il suo sguardo è piuttosto cupo, in particolare per quanto riguarda i cambiamenti avvenuti nella BBC, la British Broadcasting Corporation, nel suo ruolo di istituzione di supporto al cinema britannico.
“La BBC è un braccio dello Stato. Offre un certo livello di indipendenza, a patto che non venga sfruttato. La BBC è un emblema della classe dirigente britannica, che è molto sofisticata, è molto gentile, è pronta a ridere di sé stessa, ma è molto spietata”, afferma.
“Negli anni ’60 c’era un’economia piuttosto stabile, una società più socialdemocratica. I servizi erano di proprietà pubblica, quindi c’era più tolleranza. E io sono stato molto fortunato. Si tollerava una sorta di dissenso giovanile. C’era questa convinzione da parte della classe dirigente che non potevamo fare alcun male, come dire: ‘potete fare quello che volete, e tutto rimarrà uguale'”
Loach ha poi ampliato lo scenario. “Andando avanti fino all’epoca della Thatcher, sono state vietate altre cose per allontanare il potere dalla classe operaia e dai sindacati. Per esempio, durante lo sciopero dei minatori è stata vietata qualsiasi menzione, tranne quella delle violenze compiute dai minatori. Quindi, c’è una dinamica per cui quando queste istituzioni pubbliche sono minacciate, impongono delle limitazioni. E quando sono sicure di sé, sono tolleranti”, afferma.
“Ora non sono affatto tolleranti, perché la società si sta frammentando. È un periodo molto limitante per le persone [che lavorano nel cinema]. Quando lavoravamo a vent’anni, riuscivamo a farla franca su molte cose su cui oggi non riusciremmo. E la gioventù che lavora adesso non se la cava in molte cose.”
Lo spazio sociale
Per quanto riguarda il futuro del cinema, Laverty sottolinea anche quanto sia stato emozionante vedere 8’000 persone guardare “The Old Oak” nella Piazza Grande di Locarno e levarsi in una standing ovation.
Così come il pub del film fornisce un senso di comunità essenziale a chi abita il villaggio, anche il cinema è uno spazio di esperienza collettiva. Ma le sale di proiezione come spazi fisici sono in grave pericolo, così come il cinema indipendente, avverte Laverty, sottolineando come Edimburgo, ad esempio, abbia recentemente perso la sua famosa FilmhouseCollegamento esterno.
“Molte generazioni di studenti non avranno l’esperienza del vero cinema indipendente. Molte cose sono minacciate e dovremo lottare per proteggerle. Anche questa è una scelta politica”, afferma.
Tuttavia, non solo il cinema, ma lo stato del mondo nel suo complesso è in pericolo. Alla domanda se crede ancora nella rivoluzione, Laverty si chiede piuttosto cosa succederà se non ci sarà una rivoluzione.
“Riuscite a immaginare cosa accadrà tra 50 anni se continuiamo così? Se non facciamo qualcosa, siamo in guai seri. E non è quello che diciamo noi registi, ma quello che dicono gli scienziati e le scienziate, che ce lo dicono da 40 anni. In realtà sono stati quelli della BP e della Shell ad avvertirci per primi di quello che sarebbe successo – loro lo sapevano e non hanno fatto nulla. È un crimine.”
Ogni tanto si ha l’impressione che invecchiando ci si stanchi e si abbandoni la lotta. Ma Ken Loach e Paul Laverty sono ancora in prima linea. I loro discorsi suscitano una solidarietà immediata e intensa; ciò che mostrano e di cui parlano può essere riassunto molto semplicemente: si preoccupano delle persone.
A cura di Eduardo Simantob
Traduzione dall’inglese: Sara Ibrahim
Dora Leu è una critica cinematografica rumena e regista occasionale. Oltre al cinema, ha studiato anche storia dell’arte. I suoi principali argomenti di ricerca sono la New Wave giapponese, i film d’essay e il cinema sperimentale. Ha un debole per i video musicali e le band post-punk irlandesi.
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