L’arte di Niki de Saint Phalle è ancora più grande di una grandiosa mostra a Zurigo
Il Museo d'arte di Zurigo celebra l'opera di Niki de Saint Phalle con una retrospettiva che, per quanto completa, non riesce a trasmettere il senso di avventura e la portata della sua arte.
Lo spirito dell’artista franco-americana Niki de Saint Phalle (1930-2002) continua a proiettare un’ombra vivace e colorata su tutte le persone che transitano dalla stazione ferroviaria principale di Zurigo. Ad accoglierle c’è la scultura di un angelo custode alta 11 metri e appesa al soffitto della hall centrale. I suoi colori e le sue forme testimoniano i marchi di fabbrica di Saint Phalle, famosi in tutto il mondo: è una delle sue Nana, che tiene le brocche della carta della Temperanza, una carta dei tarocchi, simbolo caro all’artista. La carta rappresenta l’equilibrio, la pazienza e la moderazione.
L’ange protecteur (angelo custode) è stato un regalo dell’azienda di sicurezza Securitas in occasione del 150° anniversario delle Ferrovie federali svizzere nel 1997. Da allora, è diventato un’allegra presenza nel paesaggio cittadino. Le Nana di Saint Phalle sono state concepite negli anni Sessanta come simbolo di donne gioiose e libere, foriere di un’imminente era matriarcale.
La mostra al Museo d’arte di Zurigo (Kunsthaus ZürichCollegamento esterno), che si protrarrà fino all’inizio di gennaio 2023, propone una carrellata cronologica della sua carriera artistica. Ma per quanto perfettamente curata, l’opera di Saint Phalle non si adatta alle mura di un museo. L’eredità che ha lasciato, dopo una carriera di oltre mezzo secolo, è stata pensata per occupare gli spazi pubblici, in costante ed eterna interazione con la gente.
Chi visita l’esposizione intravede solo un debole scorcio delle attitudini avanguardiste e violente che si celano dietro il suo lavoro; gran parte di esso è il risultato del suo tentativo di liberarsi da un soffocante trascorso borghese e di riprendersi da un abuso sessuale.
La sua opera è anche una collaborazione dinamica con il suo amante di lunga data, l’artista cinetico svizzero Jean Tinguely, una relazione artistica ben rappresentata nel museo di Zurigo.
Saint Phalle e Tinguely erano i “Bonnie & Clyde” del mondo dell’arte, secondo le parole del regista tedesco Peter Schamoni, che ha realizzato il documentario più completo sul loro lavoro, Niki de St. Phalle – Who’s the Monster, You or Me? (1995). Schamoni, deceduto nel 2011, ha parlato della lunga collaborazione della coppia in un’intervista rilasciata alla Televisione pubblica svizzera di lingua tedesca SRF nel 2006
QuiCollegamento esterno potete guardare l’intero film (in inglese).
Detto questo, una retrospettiva dell’opera di Saint Phalle è molto gradita anche nei limiti di un museo. Getta una luce importante sullo sviluppo dell’arte contemporanea nella seconda metà del XX secolo e sulla lotta per il giusto riconoscimento delle donne nella scena artistica.
Guarire le ferite
L’impulso di base di Saint Phalle per l’arte era una necessità personale, un modo per superare le esperienze traumatiche vissute da bambina e da giovane.
È cresciuta in un contesto sociale aristocratico e oppressivo. Vittima di abusi sessuali da parte del padre, si è sposata giovane, a 18 anni, ed è diventata subito mamma. Aveva regolarmente degli attacchi di depressione e tendenze suicide ed è stata ricoverata in un reparto psichiatrico dove è stata sottoposta a elettroshock. Per l’ex modella (all’età di 18 anni era apparsa su riviste di moda come Elle, Vogue e Harper’s Bazaar), l’arte non era solo uno sfizio, ma l’unica via d’uscita.
Sparare alle bestie
Dopo il divorzio dal primo marito, lo scrittore Harry Mathews, nel 1960, Saint Phalle si è tuffata a capofitto nella sua pratica artistica ed è diventata subito famosa per aver “assassinato” a bruciapelo le sue opere. Promuoveva anche eventi come sessioni di tiro a segno in cui invitava il pubblico a sparare con il suo fucile calibro 22.
Come dice nel documentario di Schamoni: “Gli uomini della mia vita, quelle bestie erano le mie muse. La sofferenza che hanno inflitto e la vendetta [contro di loro] hanno alimentato la mia arte per molti anni. Li ringrazio”.
In seguito, ha ampliato il simbolismo dei suoi obiettivi e ha preso di mira i leader mondiali.
Promuovere le donne nell’arte
Le ricerche intime di Saint Phalle sono coincise con l’ascesa dei movimenti di liberazione femminile. Mentre si faceva strada verso la fama internazionale, la mancanza di una classica educazione artistica formale non le ha impedito di impegnarsi assieme agli artisti e alle artiste avanguardisti/e dell’epoca in mostre collettive in Europa e negli Stati Uniti.
Saint Phalle si è così trovata in una posizione privilegiata per promuovere la partecipazione delle donne nell’arte, anche se non ha mai voluto aderire a un particolare gruppo femminista.
La collaborazione con Tinguely, in cui vita, amore e lavoro si sono sovrapposti, è stata un duello, in cui Saint Phalle era in contrasto con l’arte meccanica di Tinguely – fatta per lo più di costruzioni ingegneristiche – tramite la sua posizione umanista femminile. All’inizio degli anni Sessanta, dopo aver sconfitto molti (anche se non tutti) dei suoi mostri interiori, ha iniziato a sviluppare la propria voce e il proprio stile femminista.
Icona femminista
Le Nana sono il risultato di anni di gioco con bambole grandi quanto esseri umani e raffiguranti le donne come spose, madri e mostri, in cui ha cercato caratteristiche che potessero dare spazio alla posizione femminile in un contesto dominato dagli uomini
“Nana” era l’appellativo comune con cui si indicavano le prostitute nella seconda metà del XIX secolo. È anche il titolo di un famoso romanzo dello scrittore francese Émile Zola (1880) e di un quadro “scandaloso” di Édouard Manet (1877), che raffigura un uomo della borghesia e una ragazza che indossa una sottoveste e un corsetto. Negli anni Sessanta, il termine era un modo colloquiale, se non leggermente sessista, per indicare la fidanzata.
Questi riferimenti non sono affatto passati inosservati a Saint Phalle, che nel 1966 ha realizzato la sua Nana più grande in una mostra antologica a Stoccolma.
Acclamata come una delle prime icone femministe, Saint Phalle avrebbe presto “tradito” le aspettative con la serie di sculture “anti-nana” nota come le Devouring Mothers (le madri divoratrici). La maternità viene raffigurata come un periodo tutt’altro che gioioso e liberatorio.
La rottura con la rappresentazione tradizionale della maternità come momento appagante nella vita di una donna le ha procurato ondate di insulti e critiche, soprattutto da parte dei cosiddetti circoli femministi di seconda generazione degli anni Settanta.
Un profumo per il Giardino dei Tarocchi
In quel decennio, la sua serie di Nana era estremamente conosciuta. Le loro forme, enormi e variopinte, erano in contrasto con la scena artistica contemporanea, dominata dal concettualismo e dal minimalismo. La produzione di sculture cinetiche con Tinguely negli spazi pubblici, intensificatesi negli anni Settanta, ha ottenuto un’ampia copertura mediatica.
Lo spazio pubblico ha assunto un’importanza decisiva nei suoi progetti che diventavano sempre più monumentali – e costosi – da realizzare. Per permettersi la costruzione del suo progetto più ambizioso, il Giardino dei Tarocchi, che alla fine sarebbe costato circa 5 milioni di dollari (circa 12 milioni di dollari oggi), ha venduto le sue famose Nana e ha creato un profumo di marca con il suo nome.
La mossa, che le ha permesso di rimanere finanziariamente indipendente, ha però macchiato la sua reputazione nel mondo dell’arte.
Attivismo
Le reazioni alle sue opere non l’hanno colta di sorpresa. Non ha mai sentito il bisogno di dimostrare le sue credenziali femministe e ha contraddistinto il suo lavoro successivo con l’attivismo politico, con video pionieristici che chiedevano di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’epidemia di AIDS ed esprimevano le sue preoccupazioni sulla cultura americana delle armi.
Lieto fine
I suoi sforzi per realizzare il Giardino dei Tarocchi sono stati ripagati. La costruzione durata oltre 20 anni, a cui hanno partecipato gli abitanti e le abitanti della zona di Garavicchio, in Toscana, ha permesso di realizzare un’opera collettiva che la comunità può rivendicare, con orgoglio, come propria.
Tinguely è morto nel 1991 e il Giardino dei Tarocchi è pieno di omaggi, alcuni espliciti, altri discreti, al compagno di viaggio più amato da Saint Phalle.
E si deve viaggiare, per apprezzare l’eredità artistica della madre delle Nana. Sono 30 le opere pubbliche in Europa, sparse tra Svizzera, Germania, Regno Unito, Lussemburgo, Italia e Svezia. Ce ne sono cinque anche nell’Asia orientale (Giappone, Corea del Sud e Taiwan), due in Israele e 12 negli Stati Uniti.
Articolo a cura di Virginie Mangin
Traduzione dall’inglese di Luigi Jorio
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