La neutralità svizzera al confine tra le Coree
Da settant'anni, la Svizzera contribuisce a sorvegliare il rispetto del trattato di armistizio tra le due Coree. La missione è oggi spesso citata come esempio positivo dei "buoni uffici" elvetici. All'inizio Berna temeva però ripercussioni negative sulla neutralità.
Dopo la Seconda guerra mondiale, la Svizzera è confrontata con nuovo ordine internazionale in cui fatica a trovare posto. I forti legami economici con la Germania nazista durante il conflitto non sono passati inosservati, USA e Unione sovietica guardano con grande scetticismo alla politica di neutralità elvetica.
Berna, pur allineandosi di fatto al blocco occidentale, non abbandona nel dopoguerra il suo approccio prudente e defilato alla politica estera. Il governo federale rinuncia all’adesione alle Nazioni unite, pur partecipando al lavoro delle organizzazioni “tecniche” dell’ONU e inviando una missione di osservazione nella sede di New York.
La guerra di Corea
Liberata dall’occupazione giapponese durante la Seconda guerra mondiale dalle truppe statunitensi a sud e sovietiche a nord, nel dopoguerra la Corea dovrebbe essere riunificata. Il mancato accordo tra le due grandi potenze porta alla creazione di due entità statali separate.
Nel 1950 truppe della Corea del Nord invadono il sud, dando inizio alle ostilità e provocando l’intervento di truppe statunitensi e di altri Paesi sotto l’egida delle Nazioni Unite. A fianco dei nordcoreani si schierano anche “volontari” cinesi. Dopo alterne vicende, il confine si attesta attorno al 38° parallelo.
Il 27 luglio 1953 è firmato a Panmunjom un armistizio mise fine alle ostilità nel più sanguinoso conflitto della Guerra fredda.
“Nelle sue relazioni con l’ONU, la Svizzera oscilla in questo periodo tra due poli”, osserva lo storico Sacha Zala, direttore del centro di ricerca Dodis. “Da una parte vuole mettere in risalto la sua tradizione umanitaria e dimostrare che i ‘buoni uffici’ e la neutralità sono utili al mondo. Dall’altra deve tener conto del fragile consenso interno e delle forti reticenze dell’opinione pubblica rispetto alle scelte di politica estera.”
I “neutrali” sorvegliano l’armistizio
L’ambivalenza elvetica emerge con particolare evidenza dalle discussioni sulla partecipazione svizzera alla Commissione di supervisione delle nazioni neutrali sull’armistizio in Corea (NNSC).
Nata nel corso delle trattative per il cessate il fuoco, la NNSC è una conseguenza del rifiuto della Corea del Nord di affidare alle forze belligeranti le ispezioni sugli armamenti e sui movimenti di truppe. La soluzione di compromesso prevede l’invio in Corea di rappresentanti dei Paesi “neutrali” indicati dai due contendenti.
Dopo qualche vicissitudine, le parti si accordano su una delegazione militare composta di rappresentanti di quattro Paesi: Svezia e Svizzera per la coalizione del sud, Polonia e Cecoslovacchia per quella del nord.
Le autorità statunitensi informano l’ambasciatore svizzero a Washington già nel dicembre 1951 della loro intenzione di candidare la Svizzera per la missione in Corea. Il Consiglio federale esprime pochi giorni dopo il suo accordo di principio. Significativa è l’osservazione di Karl Kobelt, capo del Dipartimento militare federale: “Dar seguito alla richiesta, per giustificare l’utilità dei neutrali”.
Timori per la neutralità
Mezz’anno dopo tuttavia, quando la richiesta di partecipare alla missione in Corea si concretizza, nel governo elvetico si fa strada qualche dubbio. Il capo del Dipartimento politico federale Max Petitpierre è consapevole che un rifiuto svizzero risulterebbe incomprensibile all’estero, ma teme che la Svizzera sia vista alla stregua di una rappresentante neutrale “degli USA e dell’ONU”, vale a dire di una delle parti in causa.
“La Svizzera considera la sua neutralità ‘universale’ e non può tollerare che sia percepita come unilaterale”, nota Sacha Zala.
Materiali sulla missione in Corea
La rivista Quaderni di Dodis ha pubblicato di recente un volume a cura di Sacha Zala, Yves Steiner e Dominik Bär, dedicato alla missione svizzera in seno alla NNSC. Il volume è liberamente consultabile qui.Collegamento esterno
Gli scrupoli svizzeri sono formulati più ampiamente in un rapporto del DPF all’attenzione del Consiglio federale del 22 agosto 1952, il cui si ribadisce che le relazioni tra la Svizzera, “essendo realmente neutrale”, l’ONU e gli Stati Uniti non sono “per nulla paragonabili” a quelle di Polonia e Cecoslovacchia con Cina e Corea del Nord. Il timore di Berna è che i rappresentanti polacchi o cecoslovacchi non denuncino le violazioni dell’armistizio da parte dei nordcoreani o dei cinesi.
D’altra parte il rapporto constata che la NNSC è “una delle chiavi di volta” dell’armistizio. Un rifiuto dei Paesi neutrali di parteciparvi rischia di rimettere in causa la convenzione “sviluppata dopo lunghi e pazienti sforzi”, con conseguenze molto gravi nell’opinione pubblica mondiale. In conclusione, il DMF afferma di considerare l’approvazione del mandato come “un dovere nei confronti della comunità internazionale.”
La Svizzera non manca tuttavia di spiegare la propria posizione a Washington. In un memorandum inviato dell’aprile del 1953, il DPF ricorda i principi delle neutralità elvetica, tra i quali in particolare quello dell’imparzialità: “Pur essendo designata da uno dei belligeranti […], la Svizzera non può considerarsi il rappresentante di quel belligerante”.
Cordialità e tensioni
Il 13 giugno 1953 il Consiglio federale approva definitivamente la partecipazione della Svizzera alla NNSC. Si tratta della prima missione di pace dell’esercito svizzero all’estero. La NNSC si riunisce per la prima volta a Panmunjom, nella Joint Security Area, al confine tra la due Coree, il 1° agosto 1953. “Il tono generale è stato piuttosto cordiale, soprattutto verso la fine dell’incontro”, scrive il colonnello Friedrich Rihner, capo della delegazione svizzera.
Compito della NNSC è raccogliere informazioni sull’importazione ed esportazione di materiale da guerra e sugli spostamenti di truppe. I team di ispezione, composti da membri di tutte e quattro le delegazioni, sono stazionati in dieci località nel sud e nel nord del paese e devono verificare la correttezza delle informazioni sul passaggio di materiale bellico.
“La Svizzera considera la sua neutralità ‘universale’ e non può tollerare che sia percepita come unilaterale.”
Sacha Zala, storico
Ben presto emergono difficoltà nella collaborazione con le delegazioni degli Stati del blocco socialista. “In particolare i rappresentanti polacchi hanno fatto trasparire in maniera crescente che la loro intenzione principale era quella di gettare sospetti sull’ONU e sui suoi organismi subordinati”, scrive nel gennaio 1954 il colonnello Rihner.
“Per mantenere un equilibrio tra le delegazioni del sud e del nord nella NNSC, la Svizzera non può incarnare il suo ideale di indipendenza e di neutralità ‘universale’, ma deve costantemente sostenere la posizione della Svezia”, rileva Sacha Zala.
Il gioiello della corona
Le divergenze e i problemi di comunicazione all’interno della commissione rendono fin dall’inizio il ruolo della NNSC più che altro simbolico. Berna ha accettato di farvi parte convinta che la missione sia di breve durata. Nella primavera del 1954, quando ormai è evidente che una soluzione della crisi coreana è ancora lontana, la Svizzera comincia a riflettere sulla possibilità di mettere fine all’esperienza della commissione neutrale.
Il fallimento della Conferenza di Ginevra, convocata per tentare di dare una risposta alle questioni ancora aperte della guerra in Corea e della prima guerra in Indocina, induce però anche Stati Uniti e Corea del Sud ad auspicare lo scioglimento della NNSC. Per Berna è un problema: “In ogni caso, non vogliamo dare l’impressione che la Svizzera voglia porre fine al suo impegno in Corea per servire la politica americana”, scrive il DPF nel luglio 1954.
“Paradossalmente, la rigida interpretazione della neutralità che inizialmente ha reso difficile alla Svizzera di accettare il mandato, la induce in un secondo momento a rimanere a Panmunjon”, nota Sacha Zala. “La missione in Corea offre al Consiglio federale un’opportunità di promuovere il ruolo e i benefici della neutralità svizzera, pesantemente criticata dopo al Seconda guerra mondiale.”
Berna ottiene tuttavia negli anni successivi un ridimensionamento del mandato e degli effettivi della commissione. Dal 1995, dopo il ritiro delle delegazioni polacca e ceca, in Corea rimangono solo Svizzera e Svezia.
“Porteremo a termine il compito o almeno lo realizzeremo, purché non sia incompatibile con le condizioni che abbiamo accettato e con i principi di umanità a cui siamo così strettamente associati”, proclama Max Petitpierre nel novembre del 1953. Settant’anni dopo la Svizzera è ancora a Panjumon e la missione in Corea continua a essere considerata, come dice Zala, “il gioiello nella corona dei ‘buoni uffici’ svizzeri.”
“Una storia spiacevole. Abbiamo dichiarato che diremo sì a una richiesta ufficiale. Accordo tra le forze ONU e la Corea del Nord e la Cina in base al quale Svizzera, Svezia, Polonia e Ungheria [sic, in realtà Cecoslovacchia] sono state riconosciute come osservatori neutrali. Non una commissione neutrale nominata da entrambi, ma una commissione di neutrali nominata da ciascun gruppo. Siamo i neutrali degli Stati Uniti e dell’ONU, cioè i neutrali di un gruppo belligerante con il consenso dell’altro gruppo. La posizione dei nostri osservatori sarà molto difficile. Polonia e Ungheria non riconosceranno mai un errore commesso dal loro gruppo. Noi siamo i veri neutrali, gli altri sono solo satelliti.
Dobbiamo essere d’accordo o meno? È difficile rispondere negativamente, perché siamo stati avvicinati come neutrali in una questione di pace. Forse possiamo essere d’accordo a certe condizioni e spiegare come vogliamo che venga interpretata la nostra partecipazione all’ispezione”.
Intervento di Max Petitpierre, capo del Dipartimento politico federale (DPF, futuro Dipartimento federale degli affari esteri), durante la seduta del Consiglio federale del 16 agosto 1952
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