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Le cicatrici di Jacek Pulawski

Il fotografo ha accompagnato transessuali e prostitute per otto mesi. Jacek Pulawski

Vincitore dello Swiss Photo Award 2010 con un reportage sulla prostituzione, Jacek Pulawski ha portato alla luce una realtà fatta di miseria e sofferenza, nascosta tra le pieghe della società. Ritratto di un fotografo emergente.

Sono storie di ordinario squallore quelle raccontate nelle fotografie di Jacek Pulawski. Storie di prostituzione e sfruttamento, di sogni infranti e sorrisi rubati. Storie che preferiremmo non sapere, ma che questo giovane artista ci ha messo davanti agli occhi, senza sconti.

«Un buon fotografo non è come una falena che va verso la luce alla ricerca di cibo», ci spiega Jacek Pulawski. «Un buon fotografo deve cercare di emettere luce propria laddove non ce n’è».

Per mesi, Jacek Pulawski ha cercato di penetrare le maglie della prostituzione ticinese fingendosi un cliente. Più volte si è visto sbattere la porta in faccia da gerenti infuriati e ragazze diffidenti. Finché un giorno ha incontrato Júlio, un transessuale brasiliano attivo a pochi passi da casa sua, in un quartiere alla periferia di Chiasso. E grazie a lui è riuscito a varcare il sottile confine che separa apparenza e realtà, benessere e miseria.

«Ho incontrato ragazze costrette a vendersi più volte al giorno, a vivere in appartamenti sovraffollati, in compagnia dei topi. Sembrano bunker postbellici, ma vengono affittati a 100 franchi al giorno», ci dice Pulawski. «Lavorano come schiave, sfruttate dal sistema. Spesso non hanno una vera alternativa oppure si aggrappano al sogno di una vita migliore e mandano parte dei loro guadagni ai figli lontani».

Pulawski ha seguito queste ragazze per otto mesi, le ha viste scambiare il giorno per la notte, litigare per una lattina di birra o piangere l’assenza dei propri figli. Ne ha immortalato i corpi stanchi, gli abbracci furtivi e i sorrisi beffardi. Ventotto scatti in bianco e nero che gli hanno valso non solo lo Swiss Photo Award, il più prestigioso riconoscimento riservato ai fotografi professionisti, ma anche la partecipazione al Lumix Festival per i giovani talenti ad Hannover.

Figlio di mondi diversi

Jacek Pulawski è giunto in Svizzera all’età di 12 anni, fuggito da una Polonia in piena rivoluzione post-comunista. «Era l’estate del Novanta, poco dopo le famose “notti magiche” dei mondiali e a poco meno di un anno dalla caduta del Muro di Berlino…». In Svizzera ha trovato una realtà diversa, forse più individualista, ma non per questo chiusa al diverso. «All’inizio non sapevo nemmeno una parola di italiano, ma non posso dire di aver vissuto il razzismo sulla mia pelle, anche se qualche compagno mi ha dato del filo da torcere».

Figlio di una Polonia in cerca di identità, Pulawski porta con sé i riflessi di un’educazione nata sotto il regime comunista e influenzata da una forte presenza della religione cattolica. «Sono cresciuto in un paese dove la gente è di ferro e di sani principi, dove la fede del popolo è riuscita a vincere il sistema. Sono nato a Breslavia, ma è in Ticino che sono diventato un uomo».

L’esperienza del comunismo, e dei primi segnali di democrazia, hanno segnato in modo fondamentale il suo sviluppo e la sua propensione alla denuncia sociale. «Mi ricordo che ogni anno, in occasione del 1° di maggio davanti all’entrata dei palazzi venivano affisse due bandiere: una rossa (comunista) e una bianca e rossa (polacca). Già a sette anni, bruciavamo quella rossa in segno di libertà. Non era tanto una forma di ribellione contro un partito o un’ideologia politica, ma un grido di libertà. Ed è quello che sto cercando di fare attraverso la fotografia: rompere i tabù per dar voce a chi non ne ha più».

La fotografia, uno strumento di denuncia sociale

Il nome di Jacek Pulawski non è certo sconosciuto nel mondo della fotografia elvetica. L’anno scorso si è infatti aggiudicato lo Swiss Press Photo, grazie a una serie di immagini sui richiedenti l’asilo nel centro di registrazione di Chiasso. Eppure, questo giovane di origini polacche, è essenzialmente un autodidatta con una gran passione per la fotografia e la voglia di avvicinarsi a coloro che, dal suo punto di vista, sono vittime del sistema.

«Fin da adolescente, quando mi sono trovato tra le mani i libri di René Burri e Henri Cartier-Bresson, sono rimasto affascinato dalla forza di queste immagini », ci racconta Pulawski. «Quando poi, sfogliando le fotografie di James Nachtwey, avevo già le lacrime agli occhi alla terza pagina, ho capito che questa era la missione della fotografia e questa la strada che volevo prendere».

Una strada che ora lo sta portando ad esplorare le problematiche legate all’handicap fisico e mentale. Da diversi mesi, sta lavorando come volontario in un centro per ragazzi diversamente abili per seguire da vicino il loro percorso, le loro sofferenze, ma anche le loro piccole gioie quotidiane.

«So che in questo paese posso ancora crescere tanto come fotografo, prima di partire per un paese in guerra. Vorrei un giorno fotografare un conflitto con gli occhi di un bambino… ma non so se troverò mai il coraggio per farlo».

Pulawski sembra ricercare questo coraggio proprio nella sofferenza altrui: «Chi soffre raggiunge traguardi soprannaturali, dà prova di un’umiltà difficile da decifrare ma che merita tutto il nostro rispetto». Per questo, forse, le sue fotografie non trasmettono soltanto il dolore vissuto da queste persone, ma anche la forza che hanno trovato nell’affrontarlo. E come direbbe Dé André: «dai diamanti non nasce niente dal letame nascono i fior.».

Stefania Summermatter, Chiasso, swissinfo.ch

Jacek Piotr Pulawski nasce nel 1978 a Breslavia, in Polonia.

Dal 1990 vive in Svizzera.

Lavora come fotografo per diversi giornali e riviste svizzere.

Attualmente sta lavorando a un progetto sulla malattia cronica di un gruppo di ragazzi diversamente abili.

Il suo reportage sui richiedenti l’asilo del centro di registrazione di Chiasso ha vinto lo Swiss Press Photo 2009.

Nel 2010 si è aggiudicato lo Swiss Photo Award con una serie di fotografie su un transessuale a Chiasso.

Dalla fine della Guerra Fredda le relazioni tra la Polonia e la Svizzera si sono intensificate.

Durante la fase di transizione degli anni Novanta, verso la Polonia è confluita la parte più consistente degli aiuti svizzeri a favore dell’Europa orientale, per un totale di 264 milioni di franchi.

Quale membro dell’Unione europea, la Polonia figura tra i beneficiari del contributo svizzero all’attenuazione delle disparità economiche e sociali nell’UE allargata.

A fine 2009, le esportazioni svizzere verso la Polonia ammontavano a 2’247 milioni di franchi, mentre le importazioni a 1’284 milioni di franchi.

Attualmente, 600 svizzeri risiedono in questa repubblica dell’Est europeo.

(Fonte: Dipartimento federale degli affari esteri)

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