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L’antisemitismo in Svizzera

Rivolta “antiparassitaria”: attacchi antiebraici contro i centri commerciali svizzeri

Antisemitische Karikatur eines Warenhausbesitzers
Nel 1934, una settimana prima di Natale, venivano distribuiti degli opuscoli sui quali si leggeva: "Non fate acquisti nei centri commerciali ebrei, ma acquistate solida merce svizzera in genuini negozi svizzeri". Stadtarchiv Zürich

Quasi la metà dei centri commerciali in Svizzera è stata fondata da persone immigrate di fede ebraica. Negli anni Trenta, l'antisemitismo si intensificò e il Consiglio federale proibì la creazione o l'ulteriore sviluppo di grandi magazzini.

Il 21 febbraio 1937, 4’300 proprietarie e proprietari di negozi si riunirono a Losanna per opporsi al grande magazzino EPA, abbreviazione di “Einheitspreis-AG” (“Prezzo unico SA”). “Rovina la classe media”, si diceva, e si chiedeva allo Stato di intervenire. Si trattava della stessa classe media economicamente malridotta che aveva portato Hitler al potere in Germania.

In un periodo di crisi economica, con i suoi prezzi estremamente vantaggiosi, l’EPA aveva molto successo, specialmente presso le numerose persone disoccupate e le famiglie operaie. Tuttavia, la sua politica dei prezzi bassi alimentava la rabbia dei piccoli negozi in difficoltà.

L’EPA era particolarmente criticata rispetto ad altre aziende concorrenti: né l’apparizione delle cooperative di consumo, né quella di altri grandi magazzini sono state combattute così duramente come l’apertura di EPA.

Coloro che possedevano EPA erano di fede ebraica e dirigevano già i grandi magazzini Julius Brann e Maus Frères. Questo fu un elemento esplosivo delle rivendicazioni all’epoca.

Nel 1930, aprirono le tre prime filiali di EPA in Svizzera a Zurigo, Ginevra e Losanna.  

L’antisemitismo come critica della modernità

Julius Brann era originario della città di Rawicz, allora prussiana (oggi in Polonia). Aprì il primo grande magazzino in Svizzera, a Zurigo, nel 1896. Le famiglie Maus e Nordmann, originarie dell’Alsazia, si insediarono dapprima a Bienne poi aprirono congiuntamente nel 1902 un centro commerciale a Lucerna, il Léon Nordmann.

David Loeb, commerciante di Friburgo in Brisgovia, riuscì invece ad affermarsi con il grande magazzino Loeb, che esiste ancora oggi a Berna.

Innenansicht eines glamourösen Warenhauses
Il tempio dello shopping. Rappresentazione dell’atrio del centro commerciale Brann, aperto il 18 aprile 1900 lungo la Bahnhofstrasse di Zurigo. La grande statua femminile è una creazione dello scultore svizzero August Bösch. Tages-Anzeiger, 1902

La maggior parte di chi, in Svizzera, fece da apripista a questo settore all’inizio del XX secolo proveniva dai Paesi vicini. Molte erano persone immigrate di fede ebraica originarie della Prussia, orientale ed occidentale, e dall’Alsazia.

All’inizio del secolo, i commerci di taglia modesta reagirono con veemenza all’apparizione di questi marchi in Svizzera che consideravano “mostri dannosi per l’economia nazionale”.

La crescita del consumo di massa perturbava molto i valori morali dell’epoca. I centri commerciali erano “un grande pericolo sociale” per la loro sovrabbondanza di merci e causavano “molti danni”, si legge nel verbale di un intervento a Zurigo risalente al 1901.

A San Gallo, le associazioni commerciali criticavano l’arredamento glamour e le decorazioni raffinate delle vetrine dei grandi magazzini. Sotto accusa era anche la libertà di movimento appena conquistata dalla parte più grande della clientela, quella femminile.

Grande magazzino del 1912
I centri commerciali come “cattedrale del commercio moderno” (Emile Zola). Nel 1912, Julius Barn Brann ingrandì il suo marchio costruendo un nuovo edificio dai richiami quasi sacri. (

I moderni princìpi commerciali, come la pubblicità e le inserzioni, non furono solo denunciati come “sleali”, ma anche come metodi commerciali specificamente “ebraici”: le argomentazioni di chi li criticava erano infarcite di antisemitismo.

A Bienne, ad esempio, nel 1902 sorse una forte opposizione ai grandi magazzini Knopf e Brann, entrambi di proprietà ebraica. L’allora segretario dell’Associazione dei negozianti e degli artigiani della regione si lanciò in un’opera di moralizzazione e di istigazione contro i due centri commerciali, definendoli una “degenerazione culturale”, “figli della più sporca avidità” e, in confronto ai grandi magazzini parigini, “dei bazar di cianfrusaglie”.

L’antisemitismo delle accuse nei confronti dei grandi magazzini era affiancato da una critica alla modernità capitalista. I centri commerciali, per chi li criticava, erano l’emblema della “finzione e della frode” e dell'”insaziabile speculazione capitalistica”, per usare le parole pronunciate dal “rappresentante della classe media” tedesca Paul Dehn, nel 1899.

Coloro che studiavano il fenomeno in quell’epoca additarono le persone di fede ebraica come i principali attori del cambiamento: le ridussero a una classe mercantile avida e immorale che attaccava il commercio tradizionale e le forme sociali preesistenti.

Altri sviluppi

Quando il Governo vietò l’espansione dei grandi magazzini

Dopo alcuni anni di calma, negli anni Trenta gli attacchi contro i grandi magazzini ripresero: nell’aprile del 1933, i centri commerciali di Baden furono imbrattati con svastiche e in maggio ci furono attacchi anche a Zurigo, con simboli nazisti dipinti o incollati sulle vetrine assieme alle scritte “Non comprate dagli ebrei” e “Maiali ebrei – andate via, ebrei!”.

I “frontisti” svizzeri adottarono i punti del programma ideologico del Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori (NSDAP) che, nella fase iniziale, si era scagliato proprio contro i centri commerciali. Con l’eccezione di Rudolph Karstadt e Theodor Althoff, anche coloro che gestivano i grandi magazzini in Germania provenivano da famiglie ebree che avevano vissuto per generazioni nelle regioni orientali di confine della Prussia.

Manifesto
Architettura monumentale con enormi vetrine. Negli anni della loro fondazione, i grandi magazzini erano attrazioni turistiche sensazionali oltre che paradisi dello shopping. Nell’immagine, il centro commerciale Léon Nordmann di Lucerna, 1913. Museo Maus Frères, Ginevra. (privat)

Queste società furono sistematicamente smantellate dai nazionalsocialisti tedeschi dopo che salirono al potere nel 1933, attraverso l’esautorazione, il saccheggio, l’espulsione e l’assassinio delle persone ebree.

Slogan e ideologie frontiste ebbero particolare presa sui proprietari e sulle proprietarie di piccoli commerci colpiti dalla crisi economica. Il movimento “Nuova Svizzera”, vicino a quello frontista, chiese l’introduzione del divieto di nuove aperture e ampliamenti per i grandi magazzini e la grande distribuzione fino al 1945. Ed ebbe successo. Nell’ottobre del 1933, la risoluzione urgente del Consiglio federale fu approvata con un’ampia maggioranza parlamentare.

“Israeliti supercapitalisti”

Nonostante il rigoroso divieto, la situazione continuò a peggiorare. La classe media attiva nel commercio si scagliò contro l’EPA con slogan e polemiche.

La pace sociale svizzera era in pericolo, scriveva il Journal de Genève nel 1937, a causa di un pensiero straniero con capitale internazionale e metodi antisociali la cui rapida diffusione aveva portato il commercio al dettaglio locale all’anarchia e alla miseria. Per piccoli negozi era una questione di vita o di morte.

Ufficialmente, le persone coinvolte in questa campagna originatasi nella Svizzera francese avevano preso le distanze da qualsiasi forma di antisemitismo. Il presidente del comitato precisò nelle sue osservazioni sulla Gazette de Lausanne del 22 febbraio 1937 che la richiesta di chiusura dell’EPA non intendeva essere “antisemita”, ma “antiparassitaria”, motivo per cui avrebbe lottato con tutte le sue forze contro questi “supercapitalisti israeliti”, “stranieri” o “appena naturalizzati” che controllavano il settore dei grandi magazzini in Svizzera.

Nel 1937, la campagna chiedeva a Julius Brann e Maus Frères di liquidare l’EPA ed emigrare. I proprietari di EPA erano soprannominati “mostri” o “squali”.

Saly Mayer, allora presidente della Federazione svizzera delle comunità israelite, era molto preoccupato per l’atmosfera incandescente. I circoli ebraici sono inquieti, scrisse in una nota, per l’antisemitismo che si stava sviluppando tramite il settore economico. Invitò più volte i proprietari dell’EPA a soddisfare le richieste della classe media, poiché pensava che fosse l’unico modo di scongiurare l’imminente pericolo: “Voi [Maus e Brann] avete la possibilità di intervenire per risolvere la situazione e dobbiamo ancora una volta chiedervi di siglare senza indugi l’intesa ormai necessaria”.

Le maggior parte delle persone di fede ebraica proprietarie di grandi magazzini non superò indenne questo periodo. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, Julius Brenn, che non aveva figli, vendette il lavoro della sua vita, Brann AG ed EPA, al presidente del consiglio di amministrazione Oscar Weber ed emigrò negli Stati Uniti.

I membri di fede ebraica del consiglio di amministrazione e della direzione dei grandi magazzini Jelmoli – fondati dall’italiano Giovanni Pietro Jelmoli – lasciarono la propria funzione nel 1940 e si trasferirono in America.

I proprietari di Maus Frères invece, per precauzione, nel 1938 acquisirono i grandi magazzini Bergner’s, negli Stati Uniti, per avere un altro punto d’appoggio. Una strategia attuata anche da grandi gruppi non ebraici come la casa farmaceutica Roche che aprì una seconda sede a Nutley, nel New Jersey.

Il Consiglio federale, che nel 1933 si era fatto trascinare dalle pressioni antisemite, invertì la rotta in piena guerra fredda: negoziò accordi con il Canada e con l’Australia in modo che, in caso di guerra, avrebbero accolto le grandi aziende svizzere nel loro territorio, ma mantenendo la giurisdizione elvetica.

Angela Bhend, storica, è autrice del libro “Trionfo della modernità – I fondatori ebrei dei grandi magazzini in Svizzera, 1890-1945” (“Triumph der Moderne. Jüdische Gründer von Warenhäusern in der Schweiz, 1890–1945”. Chronos 2021).

Traduzione dal tedesco: Zeno Zoccatelli 

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