Storia di uno strumento di democrazia diretta per eccellenza
Utilizzata con sempre maggior frequenza e probabilità di successo, l’iniziativa popolare federale affonda le radici storiche nel periodo della Rivoluzione francese. Lo storico Bernard Degen traccia per swissinfo.ch il percorso di questo diritto popolare dalle origini ad oggi.
125 anni fa, il 5 luglio 1891, i votanti – solo uomini – approvarono la revisione della terza sezione della Costituzione federale. Essa conteneva un’innovazione capitale: l’iniziativa popolare a livello federale. Ciò significava che 50’000 elettori potevano proporre una modifica costituzionale che doveva poi essere sottoposta al voto di tutto l’elettorato. In seguito all’introduzione del suffragio femminile, la soglia minima di firme necessaria nel 1977 fu portata a 100’000. Nel 1971 fu depositata la centesima iniziativa popolare valida. Le cento successive furono inoltrate nel giro di 23 anni e altre cento si aggiunsero in soli 18 anni. Negli ultimi tre anni e mezzo ne sono state depositate 23.
Come per il referendum, l’iniziativa popolare è in primo luogo uno strumento di sfiducia o di opposizione nei confronti delle autorità elette. Mentre il primo mira a mantenere lo status quo, la seconda mira invece a un cambiamento.
Storicamente l’iniziativa popolare risale alla Rivoluzione francese (Costituzione montagnarda del 1793). In Svizzera la strada era stata spianata dalle petizioni di massa, che ebbero un ruolo centrale nell’inizio della RigenerazioneCollegamento esterno (1830).
A poco a poco le iniziative popolari furono inserite in varie costituzioni cantonali. Inizialmente, però, consentivano soltanto di chiedere una revisione costituzionale totale. Così fu anche quando l’iniziativa popolare fu iscritta nella prima Costituzione federaleCollegamento esterno, nel 1848. Ma da allora l’iniziativa popolare per la revisione totale fu depositata una sola volta: nel 1934, da cerchie di estrema destra.
Molte resistenze
Nel frattempo, dagli anni 1860, l’iniziativa popolare per la revisione parziale si diffuse in cantoni, città e grossi comuni. A livello federale, invece, incontrò a lungo resistenze.
La svolta arrivò con una mozione inoltrata dall’allora deputato nazionale e in seguito consigliere federale [membro del governo federale, Ndr] Josef Zemp e da altri parlamentari cattolici conservatori. La petizione portò, l’8 aprile 1891 in parlamento, all’adozione dell’articolo 121 della Costituzione federale, che prevedeva l’iniziativa popolare per la revisione parziale.
Questo articolo fa parte di una serie dedicata ai 125 anni dell’iniziativa popolare federale su #DearDemocracy, la piattaforma per la democrazia diretta di swissinfo.ch.
Le allora 50’000 firme necessarie per la sua riuscita rappresentavano quasi l’8% dell’elettorato, mentre le 100’000 richieste oggi corrispondono a meno del 2%. Inizialmente non regolamentato, il periodo di raccolta nel 1976 fu limitato a 18 mesi.
Una partenza col botto
Già 14 mesi dopo l’entrata in vigore dell’articolo costituzionale, fu presentata la prima iniziativa popolare per il divieto della macellazione rituale; in votazione fu poi approvata. Nonostante il successo di partenza sul piano istituzionale, questo strumento per molti anni fu raramente utilizzato.
La situazione cambiò per la prima volta durante la grande depressione degli anni 1930. Tuttavia, nel periodo della seconda guerra mondiale e negli anni seguenti la sua utilizzazione diminuì, per poi di nuovo aumentare significativamente negli anni 1950, principalmente a causa dei conflitti politici in materia finanziaria, sociale e militare.
Dopo una flessione nel primo decennio della “formula magicaCollegamento esterno” (1959), le iniziative popolari dagli anni 1970, con le crescenti critiche alla democrazia consociativa, si sono moltiplicate come mai prima di allora.
Probabilità di successo in ascesa
Nonostante il successo dei promotori nella raccolta delle firme, per molti anni le iniziative popolari non avevano quasi alcuna probabilità di essere accettate.
Sulle prime cento, depositate nell’arco di otto decenni, ne furono approvate sette, di cui solo tre politicamente significative: nel 1918 per l’elezione con il sistema proporzionale del Consiglio nazionale [Camera del popolo, Ndr.], nel 1921 per il referendum in materia di trattati internazionali e nel 1949 per la restrizione del diritto di necessità.
Sulle cento successive, nel giro di quasi un quarto di secolo, ne furono accolte cinque, la maggior parte con preoccupazioni ecologiche: nel 1987 per la protezione delle paludi, nel 1990 la moratoria di centrali nucleari e nel 1994 per la protezione delle Alpi.
Sul terzo centinaio di iniziative, depositate in meno di due decenni, dieci hanno superato lo scoglio delle urne. Ad eccezione di quella per l’adesione alle Nazioni Unite nel 2002, la maggior parte riguardavano questioni giuridiche cariche di emozionalità, come l’immigrazione, i minareti o i criminali.
Una controversia aperta
Vi sono poi anche iniziative popolari respinte o ritirate che hanno comunque avuto degli effetti concreti, nel senso che hanno spinto le autorità a presentare controproposte dirette o indirette.
Vantaggi e svantaggi di questo strumento di democrazia diretta sono sempre stati oggetto di dibattito. L’iniziativa popolare consente effettivamente una risposta più rapida a nuovi problemi oppure, tramite la sua utilizzazione continua, impedisce alle autorità di sviluppare riforme a lungo termine? La controversia resta aperta.
(Traduzione dal tedesco: Sonia Fenazzi)
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