Elezioni in India, “sul lungo termine ho molta speranza”
La professoressa Debjani Bhattacharyya condivide con SWI swissinfo.ch le sue considerazioni sulle elezioni che si terranno in India a partire dal 19 aprile. La tensione tra Stati della Repubblica federale e il Governo centrale è un tema caldo. L'accordo di libero scambio con la Svizzera, invece, non lo è affatto.
Debjani Bhattacharyya è una storica indiana che insegna all’Università di Zurigo. Detiene la cattedra di storia dell’antropocene (termine utilizzato per indicare l’epoca attuale in cui l’attività umana ha iniziato a incidere sui processi geologici).
Il suo ambito di ricerca ripercorre il modo in cui il colonialismo britannico ha modellato l’ecologia del Bengala occidentale, creando anche Calcutta, città in cui è cresciuta.
SWI swissinfo.ch: Lei è originaria della metropoli di Calcutta, nel Bengala occidentale, in India. Ci sono delle grandi questioni in vista delle elezioni che riguardano questa regione altrettanto che il resto del Paese?
Debjani Bhattacharyya: Decisamente no. Il Bengala occidentale è governato dal Trinamool Congress (TMC), che non è parte della coalizione del partito Bharatiya Janata (BJP) di Narendra Modi. Nel Bengala occidentale, una preoccupazione fondamentale è bloccare il nuovo Atto sui diritti civili di Modi. Questa legge, annunciata dal Governo nel 2019, è passata in Parlamento a inizio marzo, ma una decisione della Corte suprema è ancora pendente.
Lo Stato del Bengala occidentale è ufficialmente contrario alla nuova legge?
Sì, ci sono molti Stati al confine con il Bangladesh, ma anche altre parti dell’India, che si oppongono.
Qual è lo scopo di questa legge controversa?
Da una parte renderebbe più facile l’ottenimento della cittadinanza per minoranze vittime di persecuzione nei Paesi vicini: sikh, buddisti, cristiani. Ma persone di fede musulmana perseguitate in Myanmar, per esempio, sarebbero escluse.
La legge introduce anche requisiti probatori e limiti di tempo per l’ottenimento della cittadinanza. Nello Stato di Assam, in cui l’implementazione della legge è già iniziata, circa due milioni di persone non figurano nel registro dei cittadini. Rischiano di diventare apolidi.
Anche se sono cittadini, è difficile per loro dimostrarlo tramite prove. Hanno bisogno un certificato di nascita, un certificato scolastico – ma in molti di questi villaggi non ci sono scuole; è dove vive la gente più povera tra la gente povera. In particolare nell’Assam, molte persone hanno vissuto da una parte e dall’altra del confine con il Bangladesh.
Le frontiere sono state fluide in questa zona fin dal 1947 e dall’indipendenza del Bangladesh dal Pakistan nel 1971. Fino a pochi anni fa, c’erano 71 enclave del Bangladesh in India e tre enclave indiane in Bangladesh. Oggi, circa 10’000 persone vivono in villaggi che non figurano su nessuna mappa. C’è anche gente che si sposta stagionalmente in luoghi diversi nelle pianure fluviali, che viene completamente emarginata.
È un grande problema e un tema caldo delle elezioni.
L’India è una Repubblica federale. Fino a che punto il Bengala occidentale può decidere per sé stesso in modo autonomo dal Governo centrale?
L’India aveva una struttura federale. Negli ultimi dieci anni, la centralizzazione si è affermata in varie forme. Un fattore di leva è la gestione dei fondi di bilancio da parte del Governo centrale tramite la tassa per beni e servizi (“Goods and Services Tax”).
Dall’inizio del millennio, diversi governi della federazione hanno elaborato sistemi fiscali per stimolare le attività commerciali attraverso le frontiere statali. Il BJP nel 2017 ha introdotto la tassa per beni e servizi, i cui ricavi vanno al Governo centrale.
Il finanziamento viene ridotto se uno Stato non si comporta come il Governo centrale vorrebbe?
No, ma i pagamenti vengono ritardati. Sui giornali del Bengala occidentale appaiono costantemente articoli sui fondi trattenuti.
Cosa scrive la stampa indiana sull’accordo di libero scambio tra India e i membri dell’Associazione europea di libero scambio (AELS) di cui fa parte anche la Svizzera? Si tratta di un argomento di rilievo nella Confederazione.
Io sono venuta a saperlo dal quotidiano zurighese Neue Zürcher Zeitung (NZZ) e non dai tre giornali indiani che leggo ogni giorno. Quando ho cercato più informazioni, non ho trovato quasi nulla nei media indiani al di fuori di riviste economiche specializzate.
“Fin dagli anni Novanta, quando il neoliberismo ha trasformato l’economia indiana, la religione si è fatta ampiamente strada in politica.”
Le novità che riguardano la Germania, la Francia, il Regno unito, gli Stati Uniti o l’Australia, ricevono molta attenzione in India, ma con la Svizzera è diverso. È strano perché la Confederazione è molto presente in India. Uno dei miei studenti sta facendo ricerche sulla presenza di Nestlé nel Paese, che risale agli anni Cinquanta – nonostante all’epoca l’economia indiana fosse isolata.
In Svizzera, ONG come Public Eye criticano l’accordo perché secondo loro potrebbe esporre l’industria farmaceutica indiana a denunce da parte del settore farmaceutico svizzero.
Ho un’opinione ambivalente sulla questione. Tali accordi vanno davvero siglati, considerando che in India la libertà di stampa è limitata, la democrazia è allo sbando e si verificano atti di violenza politica? Forse. Forse questi accordi creano posti di lavoro; la disoccupazione è elevata in India dove, in ogni caso, il dibattito ha una connotazione diversa. Tutti i partiti si concentrano fortemente sul welfare.
Negli ultimi dieci anni, il Governo centrale ha tagliato i fondi per programmi di sostenibilità come il MGNREGACollegamento esterno, un sistema che fornisce lavoro per 100 giorni alle persone disoccupate e crea opportunità di mobilità sociale verso l’alto nelle aree rurali.
Invece, la politica distribuisce quello che i politologi chiamano “freebies” (“omaggi”). Nel Bengala occidentale si assiste alla competizione tra Governo centrale e locale: la foto del primo ministro adornano le bombole del gas mentre le giovani donne ricevono sussidi grazie a un programma che porta il nome della ministra del TMC.
Si tratta di importanti sostegni, accompagnati però da una retorica populista – proveniente da destra nel caso dello Stato centrale, dal centro-sinistra nel caso del Bengala occidentale.
Che opinione ha del partito al potere nel Bengala occidentale, il TMC?
È credibilmente secolare, un’eccezione nell’India di oggi. Fin dagli anni Novanta, quando il neoliberismo ha trasformato l’economia indiana, la religione si è fatta ampiamente strada in politica, anche se la Costituzione del 1947 è secolare. Jawaharlal NehruCollegamento esterno – un grande statista, secondo me – voleva industrializzazione e sviluppo. Diceva che le dighe erano i templi della nuova India.
Il secolarismo indiano non è laicismo, ma piuttosto una forma di ecumenismo. Abbiamo avuto già un Governo del BJP negli anni Novanta, ma il suo leader – a differenza di Modi oggi – si recava ad ogni festival islamico. Era usuale.
Nehru considerava le dighe i templi del futuro. Modi vede il futuro nelle dighe e nei templi indù?
Si potrebbe dire così, sì. Dopotutto Modi ha inaugurato la diga Sardar Sarovar più di mezzo secolo dopo la posa della prima pietra. La prima volta che è stato eletto, insisteva sullo sviluppo, non sulla religione. Diceva allora che lo Stato indiano del Gujurat rappresentava un modello di sviluppo che poteva essere applicato in tutto il Paese. Modi punta su dighe e templi. Dighe, templi e grosse statue.
Un anno fa, la fondazione Konrad-AdenauerCollegamento esterno ha previsto che Modi verrà rieletto quest’anno. Ormai sembrano esserci pochi dubbi.
Ci sono buone possibilità che ottenga un terzo mandato. Diventerà uno dei premier più longevi della storia indiana. Negli ultimi anni, si è assistito al ritorno dell’India come potenza globale. Siamo un bastione contro la Cina – motivo per cui la perdita di democrazia e le crescenti ineguaglianze passano in secondo piano per gli Stati Uniti, l’Europa occidentale e l’Australia. L’India è un grande acquirente di armi. L’Oceano indiano è una regione cruciale per le attuali dispute geopolitiche. Sotto Modi, l’India ha ottenuto un seggio nel Consiglio di sicurezza dell’ONU.
Molte persone indiane, specialmente esponenti benestanti della diaspora, vedono Modi sotto una luce positiva: un Paese forte guidato da un uomo forte.
Sembra che gli “uomini forti” stiano dominando la politica in molte parti del mondo. Come professoressa di storia dell’antropocene, direbbe che tali figure sono l’espressione di quest’epoca in cui l’umanità sta modellando il pianeta?
Questi uomini forti stanno emergendo in un periodo di cambiamento ecologico. Anche se le industrie del petrolio e del gas lo negano e l’estrazione di materie prime – come l’uranio in India – continua senza sosta, siamo già in una fase globale di trasformazione. Temo che la transizione ecologica proposta diventi sanguinosa.
Sanguinosa?
Viviamo in una mescolanza complessa di situazioni. Da una parte, abbiamo trasformato la natura in una sorta di magazzino di provviste. Dall’altra, vediamo apparire delle forme di populismo ecologico che si posizionano come alternativa alla modernità tecnologica. In India, ad esempio, si osserva un grandissimo entusiasmo per i metodi di cura alternativi. In occidente, questo fenomeno è talvolta romanticizzato ma, nell’insieme, non fa altro che nascondere l’incapacità dello Stato nel garantire l’infrastruttura del sistema sanitario pubblico.
“Negli ultimi anni, si è assistito al ritorno dell’India come potenza globale.”
Un altro esempio è il fiume Gange: dopo il riconoscimento dei diritti della comunità maori e dei sistemi di conoscenze indigene in Nuova Zelanda, il fiume Wanganui è diventato un’entità legale, con una misura giustamente salutata in tutto il mondo. Su questa scia, in India il Gange è stato dichiarato un’entità legale in nome della protezione ambientale, il che ha consolidato il suo statuto mitico in seno alla cosmologia indù.
Tutto ciò suona inquietante. Lei ha delle speranze per lo sviluppo politico indiano?
Ho molta speranza sul lungo termine. Narendra Modi è il primo ministro più popolare di sempre. Ma le cose cambiano e l’opposizione resta forte. Il BJP fatica a imporsi in alcuni Stati. Fino a quando potranno crescere le disparità economiche? Quanto tempo si può costruire un sistema politico basandosi sulla creazione di divisioni religiose, etniche e anche di caste? Non durerà per sempre.
Quindi lei è ottimista sul lungo termine?
Ci sono voluti 300 anni all’India per disfarsi del colonialismo britannico. Sono una storica. Osservo le cose sul lungo periodo.
Sul corto termine, invece, in cosa spera?
In un’opposizione forte in Parlamento, capace di tenere sotto controllo il Governo.
Molti esperti ed esperte qualificano l’India come “democrazia illiberale”. Lei come la pensa?
Sono d’accordo. La libera stampa è crollata e ormai non può più essere definita il quarto potere. Numerosi media sono favorevoli al regime – oppure fanno clamore senza fornire quasi nessuna informazione.
La Corte suprema deciderà sulla nuova legge sui diritti civili. Secondo lei, la giustizia è ancora indipendente?
Nell’ultimo decennio, la Corte ha preso decisioni eterogenee – ogni tanto equilibrate, ogni tanto a favore del regime. Ma i processi accumulano ritardo. Se la giustizia spreca troppo tempo, finisce per diventare ingiusta. Per esempio, numerosi prigionieri politici attendono il verdetto per molto tempo in cella. Alcuni aspetti dell’architettura legale sono stati trasformati in strumenti. È un fenomeno iniziato già prima di Modi. Sotto il suo Governo, si è semplicemente amplificato.
A cura di Mark Livingston
Traduzione, Zeno Zoccatelli
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