Un’ondata di donne alla conquista di seggi alle Camere svizzere
Le elezioni parlamentari degli ultimi quattro anni nei cantoni lo hanno dimostrato: la politica in Svizzera si tinge sempre più di verde e di rosa. Dopo diversi anni di stallo della rappresentanza femminile negli organi politici elvetici, le elezioni federali del 20 ottobre 2019 potrebbero inaugurare un nuovo capitolo.
Questo articolo fa parte di #DearDemocracy, la piattaforma di swissinfo.ch sulla democrazia diretta.
La Svizzera ama definirsi la culla della democrazia diretta. Ma per oltre un secolo una grossa macchia ha intaccato il profilo pulito della Confederazione: per 123 anni, la democrazia in Svizzera esisteva solo per la metà della cittadinanza. Fino al 1971, le donne non avevano diritto di voto a livello federale.
La Svizzera è stata uno degli ultimi paesi in Europa ad introdurre il vero e proprio suffragio universale e anche a livello internazionale figura tra i ritardatari. Numerosi paesi in Africa, Asia e America avevano accordato i diritti politici alle donne anni o addirittura decenni prima della Svizzera.
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Quel ritardo segna tuttora la Svizzera. Le donne sono ancora significativamente meno rappresentate degli uomini negli organi politici. La proporzione femminile nei parlamenti cantonali si aggira in media attorno al 30%. Nel Consiglio nazionale, la Camera del popolo svizzera che conta 200 seggi, ristagna al 32%.
Nel Consiglio degli Stati, la Camera dei Cantoni, è addirittura diminuita negli ultimi dieci anni. Oggi, le donne occupano solo il 15% dei 46 seggi.
Segnale dai cantoni: si avanza!
Tuttavia, elezioni parlamentari svizzere del 20 ottobre prossimo, potrebbero dare per la prima volta uno scossone a questa composizione iniqua. È perlomeno quanto suggeriscono i risultati delle ultime elezioni cantonali prima di quelle federali di ottobre, svoltesi nei cantoni di Zurigo, Lucerna, Basilea Campagna, Appenzello Esterno e Ticino.
Tutti i cantoni avevano già annunciato un record: mai prima d’ora così tante donne si erano candidate ai parlamenti dei 26 cantoni svizzeri. Le candidature femminili erano quasi il 42% del totale a Zurigo e quasi il 40% a Lucerna e Basilea Campagna. E alla fine, ovunque sono state elette più donne della legislatura precedente.
A Zurigo, il cantone più popoloso della Svizzera, sono state elette 73 donne nel parlamento cantonale di 180 membri. Nel 2015, solo 61 donne avevano conquistato un seggio. La loro quota è ora di quasi il 40%: un record svizzero. Il governo zurighese è ora composto di quattro donne e tre uomini. È la seconda volta nella storia che l’esecutivo cantonale di Zurigo è a maggioranza femminile.
A Lucerna la quota di donne è salita dal 29 al 35% circa, a Basilea Campagna dal 36% a poco meno del 39% e in Appenzello Esterno dal 25 al 34%.
Proporzione femminile negli organi politici svizzeri (2018)
A livello federale
Governo: 43%
Consiglio nazionale: 32%
Consiglio degli Stati: 15%
A livello cantonale
Governi: 25%
Parlamenti: 29%
A livello di città
Esecutivi: 27%
Parlamenti: 32%
A livello di comuni (1775 Comuni)
Esecutivi: 25%
Quota di esecutivi in cui non siede alcuna donna: 15%
Fonti: Ufficio federale di statistica e Andreas Ladner, Ada Amsellem, Die Vertretung der Frauen in kommunalen ExekutivenCollegamento esterno, DeFacto, 25 maggio 2019.
Il Cantone Ticino, per anni fanalino di coda in fatto di rappresentanza femminile, ha recuperato il ritardo: La quota di donne in parlamento è passata dal 24 al 34%.
Non previsto in tale misura
“Non mi sarei aspettato un aumento così continuo del numero di donne”, dice la politologa Cloé Jans dell’istituto di ricerca gfs.bern. Ci si attendeva in primo luogo che i partiti verdi avrebbero tratto vantaggio dalla questione molto dibattuta del cambiamento climatico. Ed effettivamente è emersa questa tendenza. “Ma l’ondata di donne sta forse producendo uno sconvolgimento più duraturo nel panorama politico. È come se la popolazione avesse bisogno di un cambiamento, che ora è stato espresso”.
Secondo Cloé Jans, la parità di genere negli ultimi anni è diventata una questione centrale sia a livello internazionale che nazionale. È emerso un nuovo femminismo pop-culturale. Il marchio di moda di lusso Dior, ad esempio, ha prodotto una T-shirt con la scritta “We should all be feminists.”
Anche pop star come Beyoncé e attrici come Emma Watson si sono definite tali. Donne di tutto il mondo sono scese in piazza per manifestare contro l’elezione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump e le sue dichiarazioni sessiste. Anche in Svizzera si sono svolte marce femminili.
Tra le forze trainanti del movimento figura la campagna #metoo, in cui donne di tutto il mondo hanno denunciato le loro esperienze di violenza sessuale da parte degli uomini. Questo hashtag è simbolo di una nuova consapevolezza delle donne di alzare la voce e difendersi invece di soffrire l’ingiustizia in silenzio.
Anche in Svizzera è cresciuta la consapevolezza dell’uguaglianza. Ciò è stato dimostrato lo scorso dicembre nelle elezioni per i due seggi del governo nazionale, rimasti vacanti in seguito alle dimissioni dei ministri Doris Leuthard e Johann Schneider-Ammann.
Nelle discussioni pubbliche è emersa chiaramente l’opinione secondo cui dovesse essere eletta almeno una donna, se non due. E ha funzionato: il parlamento ha eletto Viola Amherd e Karin Keller-Sutter con risultati brillanti. Il governo elvetico conta così tre donne e quattro uomini.
Il disinteresse dei partiti
Sono passati quasi 50 anni da quando in Svizzera le donne hanno ottenuto l’uguaglianza dei diritti politici. Ma perché questo paese, che nel confronto internazionale è sempre stato ai vertici in materia di democrazia, solo ora si sta muovendo verso la parità politica di genere?
Una risposta è fornita dalla storica Fabienne Amlinger. Nella tesi di laurea “Im Vorzimmer der Macht?Collegamento esterno” (“Nell’anticamera del potere?”), ha esaminato le organizzazioni femminili all’interno dei partiti politici rappresentati nel governo svizzero, tra il 1971 e il 1995. Si tratta dei Partiti socialista (PS), liberale radicale (PLR) e popolare democratico (PPD). Non è invece stato preso in esame l’Unione democratica di centro (UDC), perché il più grande partito della Svizzera ha negato l’accesso al suo archivio alla ricercatrice.
Le immagini dei tre partiti che si sono presentate a Fabienne Amlinger erano uniformi: semplicemente mostravano scarso o nessun interesse per le donne. Per molto tempo non le hanno quasi mai coinvolte nella gestione interna.
Il deficit democratico si è quindi protratto a lungo, nonostante l’uguaglianza politica. L’indignazione collettiva e pubblica si è manifestata solo quando, nel 1993, la maggioranza del parlamento ha bocciato la candidata ufficiale del Partito socialista Christiane Brunner in un’elezione suppletiva del governo federale e ha eletto un uomo al suo posto. Una chiara dimostrazione maschile e ciò quasi un quarto di secolo dopo l’introduzione del suffragio femminile.
“La cultura partitica ancora maschile”
Cloé Jans dice: “Ancora oggi, soprattutto i partiti borghesi hanno difficoltà a coinvolgere attivamente le donne”. In molti luoghi si dice che le porte sono aperte. Ad esempio, all’UDC di Zurigo alla fine di marzo dopo che ha perso le elezioni cantonali a vantaggio dei Verdi. “La cultura politica dell’UDC è ancora fortemente plasmata dagli uomini. Questo la rende poco attraente per molte donne”, afferma la politologa.
Tradizionalmente, sono piuttosto i partiti di sinistra che cercano attivamente le donne e le aiutano anche ad ottenere un buon posto nelle loro liste elettorali. Una posizione in cima alla lista dei candidati nella pratica si è rivelata un criterio quasi indispensabile per ottenere il successo.
I Verdi, ad esempio, compongono da tempo le cosiddette “liste a zebra”, in cui donne e uomini sono elencati in modo alternato. Non sorprende quindi che l’onda femminile e quella verde, spinta dalla questione climatica, siano andate praticamente di pari passo.
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Una pagina web del parlamento svizzero per promuovere la parità
“Helvetia chiama!”
Secondo Cloé Jans, tuttavia, il fatto che i temi dell’uguaglianza di genere e del cambiamento climatico siano ora così fortemente presenti nell’opinione pubblica ha meno a che fare con la politica di partito che con la crescente pressione della società civile. “L’establishment politico non è riuscito a risolvere i problemi, quindi ora la pressione viene dal basso”.
Una pressione alla quale ha contribuito anche “Helvetia chiamaCollegamento esterno“, una campagna lanciata congiuntamente lo scorso autunno da Alliance F, la più grande organizzazione ombrello femminile, e dalla piattaforma Operation Libero. Tramite questa campagna si cerca di motivare le donne a candidarsi alle elezioni cantonali e nazionali e si prendono contatti con le sezioni cantonali dei partiti per garantire che offrano alle donne posti sulle liste con buone probabilità di successo.
Per le elezioni parlamentari svizzere del 20 ottobre, Cloé Jans prevede: “Sarà dura per quei partiti che non si occupano della questione dell’uguaglianza”. La politologa è convinta che l’ondata di donne si protrarrà ancora per un pezzo.
(Traduzione dal tedesco: Sonia Fenazzi)
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