Federalismo svizzero, esempio di autonomia fiscale per altri Paesi
Il federalismo fiscale associato alla perequazione finanziaria intercantonale: è questo l’elemento di maggior successo del sistema svizzero, che potrebbe essere copiato da altre Federazioni, afferma uno specialista di politica comparata dell’università del Kent. La collaborazione tra i Cantoni potrebbe invece essere un modello per l’Italia.
Non corrisponde proprio all’idea classica di una divisione netta fra due livelli – con il potere centrale limitato a relazioni estere, difesa e moneta e con i 26 cantoni sovrani per tutte le altre competenze – l’immagine del federalismo svizzero che esce dalle analisi comparate di Paolo DardanelliCollegamento esterno, professore associato di politica comparata dell’università del Kent. Come gli altri Stati federali classici, anche quello svizzero è cambiato profondamente dalla sua fondazione, nel 1848, ad oggi.
Nel corso del tempo, il federalismo si è trasformato, adattandosi alle nuove sfide. Cosicché, la Svizzera del 2017 è una federazione di Stati con “una legislazione molto più centralizzata di quanto si tenda generalmente a supporre”, osserva lo specialista. Il processo di centralizzazione e di armonizzazione legislativo, in altre parole, costituisce “un’erosione progressiva dell’autonomia dei Cantoni”.
L’ampia autonomia fiscale cantonale
C’è però una sfera di competenza in cui l’autonomia dei Cantoni è robusta: l’erario. La Svizzera ha dimostrato che, contrariamente a quanto sostenuto da alcuni teorici del federalismo, “è possibile combinare poteri fiscali forti delle Regioni, ossia dei Cantoni, con una perequazione finanziaria intercantonaleCollegamento esterno che permette comunque di avere un livello di ridistribuzione delle risorse elevato”, sottolinea Paolo Dardanelli.
In questo modo, “la Svizzera è riuscita a mantenere un legame molto sano dal punto di vista della responsabilità democratica: i Cantoni sono competenti di determinate politiche e sono anche responsabili di trovare le risorse per finanziarle”, aggiunge l’esperto.
Lezioni utili per la questione catalana
La combinazione adottata dalla Svizzera, secondo Paolo Dardanelli, potrebbe servire da modello per altre Federazioni. A suo avviso, l’alta autonomia fiscale di tipo elvetico comporterebbe tuttavia qualche difficoltà di applicazione in Paesi “con un alto squilibrio economico fra le Regioni”, come l’Italia e la Spagna.
Ciò nonostante, lo specialista, che è stato consulente della Commissione costituzionale del Senato spagnolo, ritiene che “la Spagna possa trarre lezioni molto utili dal sistema perequativo svizzero e dalla sua recente riforma”. A suo parere, sarebbe opportuno che la Spagna vi si ispirasse “per la riforma del sistema di finanziamento delle Regioni per far fronte alla questione catalana”.
La complicata “via di ripiego” italiana
In Italia vi sono cinque Regioni a Statuto speciale, mentre le altre, a Statuto ordinario, in seguito alla riforma costituzionale del 2001, possono chiedere allo Stato forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse. Una richiesta che potrebbero presto avanzare Lombardia e Veneto, se nei rispettivi referendum del 22 ottobre l’elettorato darà il nullaosta. Dal canto suo, l’Emilia Romagna ha già avviato il processo negoziale con il governo centrale per chiedere più autonomia, senza domandare l’opinione dei cittadini.
Un sistema complesso che solleva la domanda sull’opportunità di snellirlo. “Certamente un sistema omogeneo è generalmente preferibile, perché i sistemi asimmetrici sono più complicati da gestire e rischiano di provocare attriti interni. D’altra parte, però, in Paesi in cui vi sono diversità regionali enormi, trovare un accordo che soddisfi tutti è molto difficile. In Italia finora non è stato trovato”, precisa il ricercatore.
La strada intrapresa dall’Italia nell’ambito della riforma costituzionale per una transizione verso il federalismo, “fatta in maniera affrettata”, è una “via di ripiego”. E così il sistema italiano “va piuttosto nella direzione di quello della Spagna, dove ci sono 17 Regioni, ciascuna con i propri Statuti di autonomia specifici”.
L’esempio della collaborazione intercantonale
Un altro elemento del sistema svizzero potrebbe tuttavia servire da esempio all’Italia, secondo lo specialista di politica comparata: la collaborazione orizzontale tra i Cantoni, istituzionalizzata con le Conferenze dei direttori cantonali dei diversi settori (pubblica educazione, sanità, socialità, finanze, ecc.) e quella dei governi cantonali.
Questa forma di cooperazione, che “non era prevista dalla Costituzione federale, è emersa col tempo in risposta a certe esigenze”, rammenta Paolo Dardanelli. Nonostante le critiche, perché vi sono decisioni di questi organi che sfuggono al controllo della democrazia diretta e in molti casi anche dei parlamenti cantonali, è “un sistema di coordinamento orizzontale e di interazione tra le Regioni e il centro, che funziona”.
Questo sistema “potrebbe essere interessante per l’Italia che va verso una maggiore autonomia e diversificazione delle Regioni”. In questo nuovo contesto, infatti, “le necessità di coordinamento orizzontale e verticale aumentano”.
Non un clone per l’UE
L’idea secondo cui la Svizzera oggi potrebbe essere il modello d’integrazione per l’UE è invece messa in dubbio dallo specialista di politica comparata. “Sono scettico per un motivo semplice, ma fondamentale: quando c’è stata la transizione dalla Confederazione a una Federazione di Stati, nel 1848, c’era già un senso della nazione svizzera”.
La situazione è completamente diversa per l’UE, dove “gli Stati che si vorrebbero unire sono nazioni. E in molti casi l’identità nazionale è stata definita in opposizione ad altri paesi europei. Nell’UE vi sono identità nazionali forti, radicate, a livello degli Stati, e praticamente un’assenza di identificazione con l’UE di natura nazionale. Quella europea è un’identità di cosmopolitismo, di fratellanza fra varie nazioni”, spiega Paolo Dardanelli.
Oltre all’esistenza del senso di nazione c’è un’altra differenza fondamentale: “tutti gli esempi storici di transizione fra una Confederazione e uno Stato federale, hanno comportato un conflitto. Negli Stati Uniti non c’è stato prima, ma è seguito subito dopo”, rammenta lo studioso.
“La mia conclusione è dunque che una trasformazione dell’UE in uno Stato federale come la Svizzera è molto improbabile. Questo non significa che non possa esserci una transizione verso una federazione europea tra qualche secolo. Comunque affronterebbe ostacoli nettamente maggiori a quelli che ha dovuto superare la Svizzera”.
Uno sguardo al futuro
Vari studi, tra cui uno di Paolo Dardanelli e Sean MüllerCollegamento esterno, hanno evidenziato che il federalismo elvetico ha perso parecchi pezzi dalla nascita, nel 1848, ad oggi. La 5a Conferenza nazionale sul federalismoCollegamento esterno, in calendario il 26 e 27 ottobre a Montreux, pone la domanda se la Svizzera sarà ancora federalista fra 50 anni.
Interrogativo a cui Paolo Dardanelli risponde: “Penso che il processo di erosione di autonomia dei Cantoni continuerà e la Svizzera sarà meno federale di adesso, ma non credo che avrà perso tutte le caratteristiche federali”. Tutto dipenderà dalla capacità dei Cantoni di mantenere un’autonomia fiscale considerevole e uno spazio legislativo in materie come l’istruzione per evitare di giungere a “un federalismo di facciata come quello austriaco, dove in pratica le unità si limitano all’esecuzione delle decisioni del potere centrale”.
In conformità con gli standard di JTI
Altri sviluppi: SWI swissinfo.ch certificato dalla Journalism Trust Initiative
Potete trovare una panoramica delle discussioni in corso con i nostri giornalisti qui.
Se volete iniziare una discussione su un argomento sollevato in questo articolo o volete segnalare errori fattuali, inviateci un'e-mail all'indirizzo italian@swissinfo.ch.