La Svizzera di fronte a una sfida transnazionale
Il previsto accordo di libero scambio TTIP tra gli Stati Uniti e l’Unione europea mette bene in evidenza i punti di forza e le carenze dei diritti popolari. A medio e lungo termine è impossibile evitare una transnazionalizzazione della democrazia diretta moderna.
Le recenti elezioni politiche lo hanno dimostrato una volta di più: in tutta Europa stanno guadagnando consensi quelle forze che cercano il futuro nel passato. Da destra a sinistra si fomentano paure evocando concetti quali la «migrazione dei popoli», il «pollo al cloro», il «caos dell’asilo«, la «giustizia parallela«, i «giudici stranieri» e le «trattative segrete». Tutti hanno un denominatore comune: lo Stato nazionale (più o meno) democratico è ritenuto più o meno esplicitamente un baluardo contro tutte le possibili minacce transfrontaliere, siano esse i migranti, come insiste la destra, o i trattati commerciali, come critica la sinistra.
La Svizzera, un paese ben amministrato, molto benestante e politicamente equilibrato nel cuore dell’Europa, è un esempio lampante delle sfide a cui sono confrontate le democrazie moderne. Si tratta di preparare i pilastri principali della democrazia – stato di diritto, delega e partecipazione – alle sfide del futuro, vale a dire aiutarli ad affermarsi anche a livello transnazionale. Perché le due alternative presenti oggi sulla scena sono inutili e anacronistiche. Da una parte si ricorre a riforme di stampo tecnocratico, talvolta presentate come adattamenti autonomi, ma inevitabili. Dall’altra si promuove la ritirata nelle quattro mura domestiche dello Stato nazionale, una ritirata camuffata da resistenza democratica.
Oltre 100 accordi di libero scambio
Entrambe le varianti possono essere illustrate con l’esempio dell’approccio svizzero ai trattati commerciali: da decenni il governo federale segue la strategia di garantire all’economia svizzera, molto sviluppata, l’accesso vitale ad altri mercati attraverso accordi di libero scambio bilaterali. Finché si tratta di trattati che riguardano dei beni specifici, la destra ha poco da obiettare e permette che le lamentele della sinistra siano messe a tacere con delle misure di compensazione. Dagli anni Settanta, la Svizzera ha siglato oltre 100 accordi di questo genere.
Se questi accordi coinvolgono però contemporaneamente vari Stati e se inoltre comprendono una libera circolazione transfrontaliera delle persone, è necessaria in genere una votazione popolare, vale a dire una legittimazione democratica. È stato il caso per esempio del primo accordo di libero scambio con la Comunità Europea nel 1972 e poi degli accordi bilaterali I e II con l’UE dopo il 2000. E lo sarebbe senza dubbio nell’eventualità che in futuro la Svizzera aderisca a un accordo di libero scambio vigente tra l’UE e gli Stati Uniti.
Questo trattato di libero scambio, abbreviato in TTIP (Transatlantic Trade and Investment PartnershipCollegamento esterno), a cui i partner su entrambe le sponde dell’Atlantico stanno lavorando da tempo, farebbe nascere uno degli spazi economici più grandi del mondo. La via che conduce a quel risultato appare però al momento molto incerta, soprattutto perché da parte europea sono state sollevate molte critiche sia contro la procedura di negoziazione, sia contro i contenuti dell’accordo. L’opposizione al TTIP si è espressa tra l’altro in un’iniziativa europeaCollegamento esterno autorganizzata e in grandi manifestazioni di protesta, come di recente a Berlino, dove sono scese in piazza 200’000 persone.
Per la Svizzera, che preferisce promuovere il libero scambio attraverso l’OMC (Organizzazione mondiale per il commercio), oltre che con gli accordi bilaterali, la crescente regionalizzazione della politica commerciale è inopportuna. Come già nei confronti dell’integrazione europea o rispetto alla questione del segreto bancario, il paese si trova nella platea degli spettatori quando si tratta di adottare riforme transfrontaliere.
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Tribunali migliori, più trasparenza
E com’era già accaduto nel processo di integrazione europeo, anche nell’ambito delle trattative per il TTIP si identificheranno e si elimineranno (o almeno c’è da sperarlo) usi antiquati. Per esempio la procedura per la protezione degli investimenti privati in Stati terzi, nata all’ombra della Banca mondiale. Simili tribunali arbitrali, che mettono in questione decisioni democratiche degli Stati, sono ostacoli importanti alla conclusione delle trattative sul TTIP e dovranno probabilmente far posto a una soluzione complessiva basata su tribunali commerciali transnazionali.
L’attuale corsa a ostacoli del TTIP mostra chiaramente che in futuro simili negoziati dovranno essere più trasparenti, senza che sia necessaria la mobilitazione di milioni di persone.
Così la politica transnazionale si sviluppa, senza che la Svizzera – punto di riferimento internazionale per una riuscita combinazione tra sistema federalista e democrazia partecipativa – vi partecipi attivamente. Nel caso concreto del trattato di libero scambio con gli Stati Uniti, un tentativo bilaterale avviato oltre dieci anni fa è stato abbandonato anzitempo a causa dell’opposizione degli ambienti contadini.
In generale la situazione rispecchia i punti di forza e le carenze fondamentali dei diritti popolari basati sulla democrazia diretta, così come sono praticati in Svizzera e che in fondo rappresentano il dilemma di ogni democrazia: coloro che possono prendere decisioni nel quadro di una determinata comunità fanno fatica ad ampliare questo quadro. È stato così per l’introduzione tardiva del suffragio femminile, dell’abbassamento dell’età minima per votare; oggi è il caso per i diritti di voto e di cittadinanza per gli «stranieri» o appunto del processo di democratizzazione del livello transnazionale, dove viene preso un numero crescente di decisioni sempre più importanti.
Per questo la Svizzera farebbe bene a partecipare con maggiore autostima laddove il tesoro di esperienze del piccolo paese nel cuore d’Europa può servire da riferimento e da ispirazione. Quando si tratta di combinare autonomia e partecipazione, non possiamo più evitare di pensare a un rafforzamento della democrazia diretta sul piano transnazionale.
Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione di swissinfo.ch
Traduzione di Andrea Tognina
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