Iniziative popolari: “non si può giocare con il fuoco”
Il sistema politico svizzero soffre di un eccesso di sovranità popolare, ritiene Katja Gentinetta. Secondo la filosofa, molti cittadini sostengono iniziative popolari controverse per dare una lezione alla classe politica, ma non sono coscienti che in tal modo stanno giocando con il fuoco.
swissinfo.ch: Quale cittadina svizzera, è fiera di poter partecipare, molto più che in altri paesi, alle decisioni politiche tramite lo strumento della democrazia diretta?
Katja Gentinetta: Fiera non è la parola giusta, dal momento che non si tratta di un merito mio. Il diritto di votare e di eleggere è un regalo della storia, qualcosa di straordinario. Bisogna esserne consapevoli e prendere cura di questo diritto, esercitandolo.
swissinfo.ch: Di questi tempi vanno di moda mobili e altri oggetti “vintage”, che appartengono ad altri tempi. Con il culto della vecchia democrazia diretta, in cui l’ultima parola spetta al popolo, l’Unione democratica di centro (UDC) cerca di promuovere questa tendenza anche a livello politico?
K.G.: È esattamente il contrario. Questo partito si serve nel suo lavoro politico delle possibilità di comunicazione della società mediatica moderna. Non fa ricorso al passato, ma alle nuove possibilità. A livello di contenuti cerca di veicolare una Svizzera tradizionale, ma questo è un altro tema.
swissinfo.ch: In relazione al sì espresso lo scorso 9 febbraio dal popolo svizzero all’iniziativa dell’UDC sul freno all’immigrazione, lei ha parlato di una “tirannia della minoranza”. Perché un decisione scaturita nell’esercizio della democrazia diretta rappresenterebbe una “tirannia della minoranza”?
K.G.: Intendevo parlare dell’UDC che dispone di una base elettorale inferiore al 30%, ma che riesce a strappare una maggioranza, anche se di stretta misura, in favore delle sue iniziative.
Qui vi è, secondo me, uno dei principali nodi del sistema. La nostra democrazia di concordanza si basa sul fatto che nessun partito può disporre di un potere assoluto e che ognuno è costretto a cercare dei compromessi. Ma l’UDC, che di questi tempi raccoglie più successo, fa regolarmente leva su delle minoranze. E, questo, facendo ricorso a iniziative popolari problematiche.
Katja Gentinetta
La filosofa dirige assieme a Heike Scholten la ditta “Gentinetta Scholten Wirtschaft Politik Gesellschaft”, che si occupa di consulenza su questioni della nostra società per imprese, istituzioni e privati.
Katja Gentinetta è inoltre docente presso università e scuole superiori svizzere e ha condotto per 4 anni la rubrica “Sternstunde Philosophie” della televisione svizzero-tedesca SRF.
Dal 2006 al 2011 è stata vicedirettrice di Avenir Suisse, la Think Tank dell’economia svizzera.
Ha pubblicato diversi saggi dedicati alle questioni dello Stato sociale e alla politica europea della Svizzera.
swissinfo.ch: Perché l’UDC riesce a mettere sotto pressione gli altri attori politici – governo, parlamento, partiti, associazioni e organizzazioni – che un tempo erano predominanti?
K.G.: Una cosa è sicura: la Svizzera è cambiata dal rifiuto in votazione federale dello Spazio economico europeo, nel 1992. Viviamo in un mondo globalizzato, in cui mercati e frontiere sono diventati più aperti. E in un mondo in cui la politica interna e quella estera non possono più essere chiaramente separate.
In Svizzera, la politica estera è stata per lungo tempo nelle mani del Partito liberale radicale (PLR), mentre l’UDC determinava piuttosto la politica agricola. In un mondo in cui diverse scelte economiche sono dettate nel quadro dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), questa sistema non funziona più.
Nel corso di questa svolta, l’UDC è riuscita più degli altri partiti a curare i legami con la sua base. Inoltre dispone da tempo di grandi mezzi finanziari. In questi ultimi 20 anni la cultura politica svizzera è cambiata.
swissinfo.ch: E cosa è successo presso gli altri attori politici, in particolare gli altri partiti?
K.G.: La “colpa” non può essere attribuita solo all’UDC. Anche gli altri partiti hanno promosso la loro politica in questi ultimi 20 anni. La questione è di sapere perché sono stati più deboli. Hanno utilizzato le ricette sbagliate? O hanno avuto meno soldi?
Un ruolo lo ha svolto la globalizzazione, che ha reso molte cose più complesse. In seguito a questi cambiamenti molta gente non è diventata più felice, ma piuttosto più timorosa. È più facile fare politica sollevando paure che non mostrando le possibilità e le opportunità.
swissinfo.ch: Diversi dati dimostrano però che la Svizzera ha superato meglio di molti altri paesi europei la crisi del 2008/2009, in un’epoca di globalizzazione.
K.G.: Fino a qualche tempo fa valeva il principio in base al quale “ciò che giova all’economia, giova anche alla Svizzera”. Questo argomento non funziona più dal salvataggio dell’UBS da parte della Confederazione e dall’approvazione popolare dell’iniziativa “Contro le retribuzioni abusive”. Questi eventi hanno lasciato una cesura nella politica svizzera, che ancora oggi rimane insanabile.
swissinfo.ch: La democrazia svizzera poggia su un sistema equilibrato, che garantisce coesione, sicurezza, stabilità e benessere. Occorre un giro di vite a questo sistema?
K.G.: La democrazia diretta non dovrebbe essere né ridotta né soppressa. Considero invece degna di riflessione la proposta dell’ex cancelliera federale Annemarie Huber-Hotz, secondo la quale bisognerebbe ritornare alle radici del diritto di iniziativa. Questo diritto non era stato creato nel 1891 per i maggiori partiti, che si spartiscono il potere, ma per quelle frange della popolazione non direttamente rappresentate da attori politici.
Ripropongo regolarmente la creazione di una corte costituzionale, anche se oggi è impensabile in Svizzera. Come scritto da Alexis de Tocqueville nel 1835 a proposito degli Stati uniti, la democrazia diretta è meravigliosa, se dispone di un freno. Una corte costituzionale è l’istanza che potrebbe porre dei limiti a quella che de Tocqueville definiva la “tirannia della maggioranza”.
swissinfo.ch: In quali casi una simile istanza dovrebbe intervenire?
K.G.: La corte costituzionale interviene quando sono minacciati dei principi, che non possono essere rimessi in discussione con strumenti democratici. Il sistema svizzero soffre di un eccesso di sovranità popolare, non ci si chiede più se il popolo deve poter decidere su tutto.
Attualmente si pone invece la questione se il diritto nazionale deve prevalere su quello internazionale. Si tratta per finire di sapere se vogliamo e possiamo votare sui diritti umani e sulla loro validità. Occorrono quindi dei limiti per preservare i principi fondamentali della nostra coesistenza.
swissinfo.ch: Lei afferma che la politica svizzera non è più dominata dal consenso e dal compromesso, ma dallo scontro e dalla radicalizzazione. Si può mantenere il consenso e la concordanza, quando delle proposte radicali dell’UDC diventano un modello di successo a livello politico?
K.G.: Tutti gli attori politici – ossia organi esecutivi e legislativi ad ogni livello federale, partiti, associazioni, organizzazioni e gli stessi cittadini – devono riflettere su quale Svizzera vogliono.
Per le iniziative popolari, con le quali si modifica la Costituzione, bisogna essere coscienti di una cosa: non si può giocare con il fuoco, non sono strumenti che possono essere impiegati per dare una lezione alla classe politica. I cittadini che vogliono scaricare la loro rabbia devono essere consapevoli del fatto che, in tal modo, approvano degli articoli costituzionali. Questa distinzione va riportata nelle nostre menti, in modo da essere coscienti della portata di simili decisioni.
Traduzione di Armando Mombelli
In conformità con gli standard di JTI
Altri sviluppi: SWI swissinfo.ch certificato dalla Journalism Trust Initiative
Potete trovare una panoramica delle discussioni in corso con i nostri giornalisti qui.
Se volete iniziare una discussione su un argomento sollevato in questo articolo o volete segnalare errori fattuali, inviateci un'e-mail all'indirizzo italian@swissinfo.ch.