Perché la Francia non è pronta per un governo “in stile svizzero”
In Francia, le personalità politiche aperte al compromesso o alle coalizioni sono per ora in forte minoranza all'interno del proprio schieramento. Ma alcuni osservatori vedono nella democrazia diretta una via d'uscita dalla crisi attuale.
È una situazione senza precedenti nella Francia della Quinta Repubblica. Dalle elezioni legislative anticipate del 30 giugno e del 7 luglio sono emersi tre blocchi difficilmente conciliabili. Non c’è quasi nulla in comune tra il Nouveau Front Populaire (nato dall’unione dei partiti di sinistra), giunto leggermente in testa, e il partito Renaissance (centro) del presidente Emmanuel Macron, che ha governato negli ultimi sette anni. All’estrema destra, il Rassemblement National è considerato infrequentabile dai primi due.
Non s’intravvede una possibile maggioranza e quindi, per il momento, nessun Governo. Di fronte a questa configurazione inedita, i leader politici rifiutano di guardare in faccia la realtà. Ad esempio, Jean-Luc Mélenchon (La France insoumise, sinistra radicale) ha dichiarato la sera del secondo turno che la sinistra deve applicare “tutto il suo programma”. Ciò sembra impossibile, dal momento che 100 seggi separano la sinistra da una maggioranza assoluta.
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A destra e al centro, altri e altre rappresentanti elette immaginano maggioranze di “persone ragionevoli”, altrettanto traballanti perché in minoranza. Alcune voci si levano tuttavia a favore delle coalizioni e dei compromessi – nozioni finora aborrite dalla classe politica francese – ed evocano altri Paesi europei che li praticano da tempo: la Germania, l’Italia, i Paesi scandinavi e anche la Svizzera.
La popolazione vede di buon occhio il compromesso
“L’Assemblea nazionale oggi non è più divisa dei Parlamenti tedesco o italiano, che non considerano questo fatto un problema”, afferma Loïc Blondiaux, professore di scienze politiche all’Università di Parigi I Panthéon-Sorbonne. Lo specialista vede questa situazione addirittura come un’opportunità per “riparare” la democrazia francese, martoriata da scontri feroci e sistemi di governo troppo verticali.
“Un Esecutivo pluralista come quello in Svizzera sembra al momento quasi impensabile in Francia. Eppure, recenti sondaggi mostrano che due terzi della popolazione francese approvano questa ricerca di compromessi da parte dei partiti politici”, osserva Loïc Blondiaux.
Votando massicciamente per il “fronte repubblicano” al fine di bloccare il Rassemblement National, l’elettorato ha dato un esempio in materia di compromesso. Per il momento i partiti non sembrano però pronti a cambiare le loro abitudini dello scontro.
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Due sistemi troppo diversi
“La Francia sta cercando una nuova forma di condivisione del potere”, afferma il politologo svizzero Pascal Sciarini, decano della Facoltà di scienze sociali dell’Università di Ginevra. “Ma non sono sicuro che la Svizzera sia un modello da seguire. Mi sembra troppo lontana dal sistema francese”.
La Confederazione, spiega, ha un sistema di concordanza, in cui tutti i principali partiti sono rappresentati nel Governo. Dall’altra parte della frontiera, questo è visto come una favola, se non un’assurdità, dice.
In sostanza, la cosa più preoccupante è che “i politici che sembrano disposti a pensare in termini di coalizioni sono attualmente in minoranza nel loro stesso schieramento”, sottolinea Pascal Sciarini.
A sinistra, i partiti alleati in seno al Nouveau Front Populaire non riescono a parlare con una sola voce, anche se hanno solo un terzo dei seggi nell’Assemblea nazionale appena eletta.
“È un’alleanza alla bell’e meglio”, afferma Gilbert Casasus, professore emerito di studi europei all’Università di Friburgo. “E Jean-Luc Mélenchon ha un solo obiettivo: il caos, in modo da essere in finale contro Marine Le Pen alle elezioni presidenziali del 2027”, sostiene.
Il Rassemblement National non è l’UDC
A destra, il Rassemblement National non è visto come un possibile partner dalla destra repubblicana o dal centro. C’è quindi una differenza notevole con la Svizzera, dove l’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice) è rappresentata nel Consiglio federale da molti anni: il partito possiede due ministri dagli anni 2000. Ma le due formazioni politiche sono comparabili? È una domanda ricorrente, alla quale in Svizzera si risponde generalmente in modo negativo.
“I due partiti hanno seguito evoluzioni opposte”, osserva Nenad Stojanović, professore di scienze politiche all’Università di Ginevra, vicino al Partito socialista. Negli anni Novanta, l’UDC è passata dal centro-destra alla destra nazionalista, mentre il partito di Jean-Marie Le Pen, fondato da nostalgici del regime di Vichy e dell’Algeria francese, ha cercato, sotto la presidenza della figlia Marine, di liberarsi dei suoi sentori razzisti, antisemiti e omofobi.
“Ma anche se a volte affronta con una certa ambiguità le questioni di razzismo e xenofobia, l’UDC intende rimanere un partito di governo”, sottolinea Nenad Stojanović.
Anche con il 28-30% dei voti, l’UDC non può avere la maggioranza in Svizzera, aggiunge Pascal Sciarini. “I suoi poteri sono limitati dal sistema di concordanza e dalla democrazia diretta. Il Rassemblement National, invece, punta a tutte le leve del potere”.
Quando il Rassemblement National pensava di essere alle porte del Matignon, all’inizio di luglio, sono riemersi i piani contro le persone con doppia nazionalità, che hanno instillato il dubbio nel lungo processo di normalizzazione intrapreso negli ultimi 15 anni da Marine Le Pen.
“Il Rassemblement National tenta di mascherare il suo passato; si è fatto apostolo di uno ‘sciovinismo del welfare’, cioè una forma di statalismo che protegge solo chi ha la cittadinanza francese, ma rimane profondamente nazionalista, con sfumature xenofobe”, osserva Pascal Sciarini.
La democrazia diretta per rinnovare la Repubblica?
Loïc Blondiaux, esperto del sistema svizzero e sostenitore di un referendum d’iniziativa cittadina ispirato alla Svizzera ma adattato alla Francia, suggerisce di approfittare di questa crisi per convocare una convenzione cittadina per ripensare la democrazia francese.
“Le convenzioni cittadine convocate da Macron, prima sul clima e poi sul fine vita, hanno suscitato una certa speranza nell’opinione pubblica. Perché non organizzarne un’altra, questa volta su un tema più ampio: il rinnovamento democratico?”.
“Per la pensione a 64 anni… della Quinta Repubblica”, aggiunge ironicamente Gilbert Casasus, riferendosi alle manifestazioni contro la riforma delle pensioni dello scorso anno. “Emmanuel Macron deve lanciare un referendum per cambiare le istituzioni francesi, che sono al capolinea. Se perde, dovrà dimettersi. Se vince, supererà la crisi”.
Nenad Stojanović ha avviato in Svizzera il progetto DemoscanCollegamento esterno, in cui persone estratte a sorte sono incaricate di analizzare l’oggetto di una votazione e poi informare cittadini e cittadine.
Per il professore di scienze politiche, un referendum o nuove convenzioni cittadine potrebbero essere utili in Francia, a condizione che il loro mandato sia chiaro e istituzionalizzato. Purtroppo, però, “le convenzioni francesi sono piuttosto dei controesempi in fatto di democrazia”, sottolinea.
Lanciate da Emmanuel Macron, non avevano un mandato preciso e le conclusioni della convenzione sul clima, in particolare, sono state accolte solo parzialmente dal Parlamento, nonostante le promesse del presidente francese.
+ Perché Emmanuel Macron non ha osato avventurarsi nel territorio della democrazia
A proposito di referendum, Pascal Sciarini, “sostenitore della democrazia diretta”, ricorda che “in Svizzera le élite hanno impiegato decenni per adattarsi alla spada di Damocle del referendum facoltativo e dell’iniziativa popolare”.
Nell’attuale clima francese, Sciarini teme che un referendum d’iniziativa cittadina “non farebbe che esacerbare la polarizzazione”.
A cura di Pauline Turuban
Tradotto con l’aiuto di DeepL/lj
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