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Perché Emmanuel Macron non ha osato avventurarsi nel territorio della democrazia 

il presidente emmanuel macron in mezzo alla gente
Il presidente francese Emmanuel Macron incontra la popolazione durante le commemorazioni dell'Appello del 18 giugno, una settimana dopo lo scioglimento dell'Assemblea Nazionale. Keystone

Sconfitto dall'estrema destra alle elezioni europee, il presidente francese ha deciso di ridare voce al popolo, che eleggerà un nuovo Parlamento il 30 giugno e il 7 luglio. Questo gesto democratico, ammesso che ne sia uno, non cancella però il fatto che Emmanuel Macron ha fatto ben poco per soddisfare le aspettative della popolazione in termini di democrazia diretta e partecipativa. Analisi. 

L’evento è passato quasi inosservato nel clamore che ha seguito lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale da parte del presidente francese lo scorso 10 giugno. Il brusco arresto dei lavori del Parlamento ha posto fine, temporaneamente o definitivamente, all’esame della legge sul fine vita. Questo dibattito, che ha sollevato per la prima volta in Francia la questione del suicidio assistito, l’anno scorso era stato oggetto di una Convenzione cittadina alla quale avevano partecipato 184 francesi estratti a sorte. 

“Avete scelto come cittadini di formarvi, dibattere e imparare in un quadro organizzato, equo e trasparente”, si era congratulato Emmanuel Macron al termine della Convenzione, di cui era stato il promotore. Ed ecco il problema: se il Rassemblement National (estrema destra) vincerà le elezioni legislative del 30 giugno e del 7 luglio, o se vincerà la sinistra, nessuno sa cosa succederà a questo processo democratico, che è una novità in Francia.

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Alle prossime elezioni sembrano esserci in gioco altre questioni più importanti. Questo esperimento democratico lascia però una sensazione di incompiuto. Da qui la domanda che si pongono diversi analisti e analiste politiche: se Emmanuel Macron avesse intrapreso con più decisione l’avventura della democrazia diretta o partecipativa, i cittadini e le cittadine si sarebbero sentiti meglio integrati nella vita del Paese? E quindi meno inclini a votare per i partiti estremisti? 

Un’occasione mancata 

Dopo la crisi dei “gilet gialli” nel 2018-2019, che chiedevano l’introduzione di un referendum di iniziativa dei cittadini (RIC), “il presidente Macron ha avuto l’opportunità storica di attuare questo RIC, in un modo controllato. Ma non l’ha colta”, deplora Yves Sintomer, professore di scienze politiche all’Università di Parigi 8 e all’Università di Neuchâtel. 

All’epoca, Emmanuel Macron non aveva la minima intenzione di introdurre un sistema di iniziativa popolare come quello che esiste in Svizzera. “Il modello elvetico è inadatto”, aveva dichiarato nel 2019. In Svizzera “c’è un sistema confederale, con una presidenza a rotazione, degli equilibri politici molto diversi, un diverso rapporto rispetto all’apertura/chiusura, un’accettazione delle disuguaglianze, un rapporto con il mondo profondamente diverso (…) Siamo un popolo violento da secoli e secoli. La Francia non è la Svizzera”, aveva detto il presidente francese.

una donna cammina davanti a un murales che raffigura la protesta dei gilet gialli
Una donna passa davanti a un murale dello street artist PBOY che raffigura i “gilet gialli” e ispirato al dipinto di Eugène Delacroix “La libertà che guida il popolo”, Parigi, 10 gennaio 2019. Copyright 2019 The Associated Press. All Rights Reserved.

In risposta alla sete di democrazia ampiamente espressa dalla popolazione francese, Emmanuel Macron ha comunque optato, con cautela, per alcune forme di democrazia partecipativa e consultiva. La prima Convenzione cittadina, sul clima, ha suscitato un vero e proprio entusiasmo democratico. Tuttavia, nonostante le promesse del presidente di riprendere praticamente tutte le proposte della Convenzione “senza filtri”, il Parlamento ne ha adottate solo una minoranza. 

Questi esperimenti democratici si sono rivelati frustranti per i cittadini e le cittadine che hanno avuto l’impressione che le loro parole contassero solo a metà. Alla fine del 2023, Emmanuel Macron ha promesso di allentare le condizioni per lanciare un referendum d’iniziativa condivisa, l’unica possibilità a disposizione del popolo per indire un referendum, al termine di un processo molto lungo e complesso, tanto che finora non ne è riuscito nessuno. È una promessa piuttosto vaga, che potrebbe non reggere alle turbolenze politiche del momento. 

Un Paese con troppi conflitti 

Emmanuel Macron avrebbe dovuto agire più in fretta e spingersi più in là in materia di democrazia diretta? “La Francia è indietro di cent’anni rispetto alla Svizzera”, afferma il politologo Jean-Yves Camus. “In Francia ci sono sempre più referendum locali su questioni specifiche, i cui risultati non sono vincolanti per il potere in carica. Per esempio, sull’uso dei monopattini a noleggio a Parigi”.

“La Francia è indietro di cent’anni rispetto alla Svizzera”.

Jean-Yves Camus, politologo

Ma la Francia è pronta a passare al livello superiore, ovvero ai referendum di iniziativa cittadina su questioni nazionali? “Questo sistema funziona bene in una democrazia pacata come la Svizzera. Ma il rischio è maggiore in un Paese diviso, passionale, com’è la Francia dalla Rivoluzione francese”, aggiunge Jean-Yves Camus. “Su cosa voteremmo: sul ripristino della pena di morte? Sul blocco totale dell’immigrazione?”, s’interroga il politologo, specialista dell’estrema destra. 

Emmanuel Macron ha cercato di superare le vecchie divisioni politiche e di integrare gradualmente i cittadini e le cittadine nella vita democratica, afferma il politologo svizzero François Chérix. “La cultura politica francese non è però pronta per una democrazia semi-diretta di tipo svizzero. Il clima politico è troppo conflittuale. Il consenso è poco apprezzato”. 

La voce del popolo non viene ascoltata 

Senza l’accettazione della volontà popolare, non ci può essere una democrazia semidiretta. Se le autorità politiche non rispettano la decisione del “sovrano” in modo fedele e consensuale, un referendum è inutile. La consultazione sull’aeroporto di Nantes a Notre-Dame-des-Landes e la vittoria dei sì non hanno impedito al presidente Macron di abbandonare il progetto di costruire un nuovo scalo. Il sistema è così verticale, dall’alto verso il basso, che queste consultazioni non sono sempre rispettate. 

“Nel 2018, sulla questione delle periferie, il presidente non ha nemmeno aspettato il rapporto che lui stesso aveva commissionato all’ex ministro Jean-Louis Borloo prima di prendere delle misure… opposte”, ricorda Claudine Schmid, ex deputata a rappresentanza dei e delle francesi residenti in Svizzera. 

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Scioglimento dell’assemblea nazionale, mossa politica o gesto democratico? 

Con la decisione di sciogliere l’Assemblea Nazionale, Emmanuel Macron restituisce al popolo la sua voce. È un modo per mantenere viva la democrazia francese, diranno le persone più ottimiste. Yves Sintomer, che è anche storico delle sperimentazioni democratiche, sostiene invece che si tratta di una mossa politica. “Una mossa decisa in solitaria dal presidente, sulla base delle opportunità e dei rischi. A mio avviso, non è nulla di molto democratico”, dice. 

E se l’idea di Emmanuel Macron fosse quella di costringere l’estrema destra, la cui popolarità è in costante crescita da quarant’anni, a darsi da fare, a gestire gli affari quotidiani, il bilancio del Paese, insomma, a governare – una parola che la rende immediatamente impopolare in Francia? “In Svizzera, riusciamo ad ammortizzare le posizioni più radicali grazie al nostro sistema di considerare le diverse tendenze”, osserva François Chérix. “Integriamo l’opposizione per neutralizzarla”. Ma in Francia, dove l’espressione “formula magica” non esiste, “questo azzardo mi sembra molto più rischioso”, aggiunge il politologo svizzero. 

Se andrà al potere, il partito di Marine Le Pen, che ha sempre espresso un certo interesse per il modello svizzero, assicura di voler utilizzare gli strumenti della democrazia diretta. “Fino al 2017, Marine Le Pen ha promesso un referendum sull’appartenenza della Francia all’Unione Europea. Poi si è parlato di un’altra votazione sull’immigrazione. Oggi non sappiamo bene cosa succederà”, osserva Jean-Yves Camus. “Quello che è certo è che il referendum del Rassemblement National assomiglia a una forma di cesarismo o bonapartismo. È un appello al popolo lanciato dall’alto”. 

A cura di Samuel Jaberg

Traduzione di Luigi Jorio

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