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Esistono “città santuario” in Svizzera?

Folla in piedi in una piazza.
Centinaia di persone senza documenti hanno partecipato a una seduta informativa sull'operazione di regolarizzazione "Papyrus" a Ginevra nel 2017. © Keystone / Salvatore Di Nolfi

Negli Stati Uniti, alcune città si sono opposte allo Stato federale e alle sue leggi in materia di immigrazione. In Svizzera si sta vivendo un fenomeno analogo, anche se su scala molto più modesta.

Il termine “santuario” indica un luogo in cui chi sfugge alla giustizia per reati penali o per motivi politici può trovare rifugio sicuro, per esempio in una chiesa. Oggi, la parola ha un significato più laico: una “città santuario” offre protezione e assiste le persone prive di documenti, sfidando così le leggi nazionali.

La questione suscita ampi dibattiti negli Stati Uniti, dove metropoli come Chicago, New York e lo “Stato santuario” della California si sono rifiutati di cooperare con l’amministrazione Trump e con la sua politica in materia d’immigrazione, considerata troppo restrittiva.

Casi simili sono rari in Svizzera e in generale in Europa. Tuttavia, anche nel vecchio continente ci sono città che “stanno muovendo i primi passi in aree che in passato non competevano loro”, indica David Kaufmann, professore al Politecnico federale di Zurigo e direttore del gruppo di ricerca “Sviluppo del territorio e politica urbana” (SPUR).

In occasione di una serie di conferenzeCollegamento esterno tenute a Zurigo, Berna e Ginevra, Kaufmann ha parlato delle “città santuario” e ha ricordato che alcune iniziative stanno rimettendo in discussione gli equilibri tra il potere a livello federale, cantonale e locale.

Progetto Papyrus

L’esempio più interessante è stato quello del canton Ginevra. L’iniziativa pilota “Papyrus” ha permesso la regolarizzazione di circa 3500 clandestini residenti nel cantone, molti dei quali sono donne latinoamericane impiegate come collaboratrici domestiche.

Quella di Ginevra è stata un’operazione volta ad “ammorbidire un po’ il processo di legalizzazione dei sans-papiers”, dice Kaufmann. Di solito, i cantoni hanno la possibilità di regolarizzare singoli clandestini in caso di “difficoltà” comprovate. Papyrus ha interessato un numero maggiore di persone nell’ambito di un processo che ha coinvolto organizzazioni non governative, autorità cantonali e federali per evitare l’espulsione di chi faceva richiesta di regolarizzazione.

Nonostante le autorità federali abbiano assicurato che non si trattava di “una regolarizzazione collettiva bensì di una valutazione caso per caso“, Papyrus ha attirato l’attenzione di altri cantoni, tra cui Basilea-Città, Zurigo e Ginevra.

Cantoni e città-stato

Ma il modello ginevrino può funzionare anche altrove? Kaufmann ricorda che da una parte l’allestimento delle strutture necessarie ha richiesto molto tempo e che l’operazione Papyrus è stata promossa in un contesto specifico. D’altra parte, non tutte le città svizzere hanno competenze così ampie come quello di Ginevra.

Ginevra e Basilea sono esempi unici, poiché sono sia città che cantoni. “Ambedue sono città-stato”, spiega l’esperto. In pratica ciò significa che la città (dove risiede la maggior parte dei sans-papiers) e il cantone (a cui spetta il compito di elaborare le leggi) perseguono spesso gli stessi obiettivi politici. Le città di Zurigo o Berna, rette da un governo a maggioranza rosso-verde, si scontrano invece contro un cantone più grande e conservatore, che è contrario a simili progetti.

A Zurigo questa spaccatura è particolarmente evidente. La città di 428mila abitanti è guidata da un esecutivo di sinistra, mentre il governo cantonale è a maggioranza di centro-destra. Quando nel 2018 è stata avanzata la proposta di regolarizzare i clandestini residenti, l’esecutivo cantonale l’ha bocciata. “La situazione nel cantone di Zurigo non è paragonabile a quella nel canton Ginevra”, ha spiegato in un comunicato il governo.

Carte d’identità della città

Con una situazione istituzionale e politica completamente diversa rispetto a quella degli Stati Uniti, le città svizzere hanno promosso progetti piuttosto modesti. A Zurigo, per esempio, un’associazione ha lanciato nel 2017 l’idea di una carta d’identità, una City Card riconosciuta dalle autorità cittadine, valida anche per i sans-papiers. Nonostante fosse riluttante a questa idea, il governo cantonale dovrà proporre un progetto di legge al parlamento entro il 2020.

Payal Parekh del movimento “Wir alle sind BernCollegamento esterno” (“Siamo tutti Berna”), intervenuto nell’ambito della serie di eventi sulle “città santuario”, ha informato su un progetto volto a promuovere una simile “City Card” anche nella capitale della Svizzera. Stando all’attivista, si tratta dello scopo principale dell’associazione, che promuove anche incontri e dibattiti interculturali per chi si interessa alla politica, ma non ha il diritto di voto.

Parekh ricorda che tali progetti non vogliono trasformare Berna in una “città santuario”. Indica tuttavia che “Wir alle sind Bern” fa parte di un movimento della società civile che potrebbe spingere le autorità a inserire la regolarizzazione dei sans-papiers nella loro agenda politica. A Berna, afferma Parekh, le condizioni sono “ottimali” per simili iniziative. Prima di tutto è una città con notevoli competenze in materia di politica della cittadinanza. Inoltre, come molte città svizzere è retta da un “governo rosso-verde”.


Senza documenti

Stando a uno studio del 2015, ci sono circa 76’000 sans-papiers in Svizzera, pari a quasi l’uno per cento della popolazione residente. Circa 28’000 vivono a Zurigo, 13’000 a Ginevra, 12’000 nel canton Vaud, 4’000 a Basilea-Città e 3’000 a Berna. Non si conoscono le cifre esatte. Quelle presentate nello studio si basano sulle stime di vari esperti.

(Traduzione dall’inglese: Luca Beti)

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