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La farsa dei referendum

Redazione Swissinfo

I referendum vanno di gran moda in Europa. In giugno, l’elettorato britannico deciderà se il Regno Unito resterà nell’Unione europea (UE). Il governo ungherese ha indetto una votazione per decidere se accettare la quota attribuita al Paese magiaro nel piano di ripartizione dei rifugiati stabilito dall’UE.

Il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha già detto che l’Ungheria si opporrà al loro ingresso. “In sostanza, tutti i terroristi sono migranti”, ha affermato. Probabilmente il risultato del voto andrà nella sua direzione.

Il referendum più strano è forse quello che si tiene il 6 aprile in Olanda, in seguito a una petizione che ha avuto successo. La domanda posta ai cittadini olandesi è se i Paesi Bassi devono firmare l’accordo di associazione tra l’UE e l’Ucraina.

Ian Buruma è professore di democrazia, diritti umani e giornalismo al Bard College, nello stato di New York. Saggista di fama internazionale, ha scritto diversi libri, in parte tradotti anche in italiano, tra cui “Anno zero. Una storia del 1945” “Domare gli dei. Religione e democrazia in tre continenti” e “Assassinio ad Amsterdam. I limiti della tolleranza e il caso di Theo van Gogh”. Nato all’Aja nel 1951, è cresciuto nei Paesi Bassi e in Giappone, dove ha studiato storia della letteratura cinese e cinematografia giapponese. Ian Buruma è opinionista di temi politici e culturali per varie testate in Italia, Stati Uniti, Gran Bretagna e Paesi Bassi. Sulla piattaforma Project Syndicate tiene una rubrica mensile. ianburuma.com

Tutti gli altri Paesi membri dell’Ue l’hanno già accettato, ma senza gli olandesi non potrà essere ratificato. Si potrebbe supporre che i dettagli di accordi commerciali e barriere tariffarie con l’Ucraina rendano perplessi la maggior parte degli elettori olandesi. E ci si potrebbe anche chiedere perché mai dovrebbero interessarsene così tanto da tenere una votazione. È che i referendum calzano a pennello all’umore populista che sta dilagando in molti Paesi: dall’America di Donald Trump all’Ungheria di Orbán.

Democrazia diretta

I referendum sono un esempio in quella che è nota come “democrazia diretta”. La voce dei cittadini (o piuttosto: del Popolo) non si fa sentire tramite i suoi rappresentanti eletti al governo, bensì direttamente, tramite le votazioni. Quando Winston Churchill nel 1945 propose che il popolo britannico potesse votare in un referendum se proseguire con il governo di coalizione del periodo bellico, il leader laburista Clement Attlee si oppose. Definì i referendum “non britannici” e uno “strumento di dittatori e demagoghi”.

Attlee aveva ragione. Anche se a volte i referendum sono utilizzati nelle democrazie rappresentative, come quando i votanti britannici decisero di restare nella Comunità economica europea nel 1975, entusiasmano di più i dittatori. Dopo aver invaso l’Austria nel 1938, Hitler domandò agli austriaci tramite un plebiscito se volevano essere annessi alla Germania. Un’offerta che in realtà non potevano rifiutare. Ai despoti piace l’appoggio dei plebisciti perché non solo pretendono di rappresentare il Popolo, ma di essere il Popolo.

Atti di sfiducia

L’attuale popolarità dei referendum riflette la sfiducia nei confronti dei rappresentanti politici. Solitamente, in una democrazia liberale eleggiamo uomini e donne che supponiamo studino e decidano questioni di cui la maggior parte dei cittadini comuni non ha né il tempo né la competenza di occuparsi personalmente.

Punti di vista

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Gli accordi commerciali sono un tipico tema di cui gli elettori di solito non sono chiamati ad occuparsi direttamente. Un referendum solitamente non è un esame preciso delle facoltà razionali della gente o un test della sua competenza. I referendum sono piuttosto legati a sensazioni, che possono essere facilmente manipolate dai demagoghi. È questa la ragione per cui ai demagoghi piacciono.

Emotività

Finora, in Gran Bretagna, il dibattito sulla “Brexit” è stato quasi esclusivamente focalizzato su aspetti emotivi: la grandezza storica della Gran Bretagna, gli orrori delle tirannie straniere o, al contrario, la paura di ciò che potrebbe accadere se fosse stravolto lo status quo. Pochissimi elettori britannici hanno un’idea di come lavori la Commissione europea o del ruolo del Consiglio europeo, ma la maggior parte ha delle sensazioni legate alla resistenza solitaria della Gran Bretagna a Hitler o alla prospettiva di essere “invasa” da immigrati.

Solitamente, in un referendum la gente decide da che parte stare per motivi che hanno poco a che fare con quanto le viene chiesto. Taluni in Gran Bretagna potrebbero scegliere di uscire dall’UE solo perché non amano il primo ministro David Cameron, che è a favore della permanenza. Nel 2005, nei Paesi Bassi e in Irlanda gli elettori votarono contro il disegno di Costituzione dell’Ue. Probabilmente pochissimi di loro avevano mai letto la Costituzione, che in effetti è un documento illeggibile. Il voto contrario derivava da un generale scontento verso le élite politiche associate a “Bruxelles”.

Complessità e opacità

In una certa misura, ciò era comprensibile e non privo di motivi. I negoziati UE sono complessi e opachi per la maggior parte delle persone, e le istituzioni dell’UE sono molto lontane. Non c’è da stupirsi che molti cittadini abbiano la sensazione di aver perso il controllo sugli affari politici. I governi democratici nazionali sembrano sempre più impotenti, mentre l’UE non è una democrazia. Il desiderio di referendum non è solo un indice di divisioni nazionali interne, ma è anche un altro sintomo di quella domanda populista globale di “riprendersi il proprio Paese”.

Questa posizione sembra piuttosto delirante (se uscisse dall’UE, la Gran Bretagna potrebbe avere meno potere sul proprio destino di quanto ne avrebbe se rimanesse), ma la crisi di fiducia deve essere presa sul serio. Dopo tutto, anche se i referendum sono spesso futili, le loro conseguenze non lo sono. Ciò che accade in Ucraina è importante. L’uscita della Gran Bretagna dall’Ue potrebbe avere conseguenze devastanti non solo per il Regno Unito, ma anche per il resto dell’Europa. Un rifiuto dell’Ungheria a collaborare per risolvere la crisi dei rifugiati potrebbe indurre altri Paesi a seguire l’esempio.

Rappresentatività

Il problema fondamentale è che molte persone non si sentono rappresentate. I vecchi partiti politici, che sono governati dalle vecchie élite fondate sui canali tradizionali di influsso, non danno più ai cittadini la sensazione di partecipare a una democrazia. La straordinaria influenza esercitata da un manipolo di miliardari negli Stati Uniti e la mancanza di trasparenza nella politica dell’UE aggravano il problema.

La democrazia diretta non ripristinerà la fiducia del popolo nei suoi rappresentanti politici. Ma se non crescerà il livello di fiducia, il potere andrà a quei leader che affermano di parlare a nome del Popolo. E da questo non potrà mai venire nulla di buono.

Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione di swissinfo.ch. Questo articolo è stato pubblicato originariamente sulla piattaforma Project SyndicateCollegamento esterno.

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