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Trump, Biden e l’odio: come la polarizzazione degli USA colpisce gli americani in Svizzera 

Due partiti e due candidati* alla presidenza, entrambi impopolari per molti elettori ed elettrici. Poche società sono così polarizzate come quella negli Stati Uniti. Abbiamo raccolto le impressioni di un democratico, un repubblicano e un indipendente, tutti residenti in Svizzera, la terra del compromesso.  

* Nota della redazione: le interviste e la stesura di questo articolo risalgono a prima del ritiro del presidente statunitense Joe Biden dalla corsa alla Casa Bianca.

Perché ci concentriamo sulle “repubbliche sorelle” Svizzera e USA?

Il 5 novembre la popolazione statunitense voterà per un nuovo presidente o – per la prima volta – per una presidente donna.

Sia Kamala Harris che Donald Trump hanno dichiarato che si tratta di un’elezione fatidica per il futuro del sistema politico e della democrazia.

La Svizzera e gli Stati Uniti un tempo si sono plasmati a vicenda.

In questo momento, abbiamo analizzato la storia comune dei due Paesi e abbiamo visto come il passato fraterno continui ad avere un impatto sul presente.

“Recentemente qualcuno ha scritto su Facebook che Joe Biden è come Hitler”, dice Sue Rickenbacher, americana. I due principali candidati alla presidenza – l’attuale presidente, Joe Biden, e l’ex presidente, Donald Trump – sono impopolariCollegamento esterno per gran parte della popolazione statunitense. Rickenbacher non è una fan di BidenCollegamento esterno, ma come può rispondere a questo tipo di paragoni? “Quando qualcuno scrive una cosa del genere, è difficile stare nel mezzo”, dice. 

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Dopo l’attentato del 13 luglio contro Trump, Rickenbacher ritiene che la campagna elettorale sia stata decisa. “Una persona è stata uccisa. Trump è ora una vittima e sembra allo stesso tempo più forte. Biden avrà ancora più problemi a far passare il suo messaggio”.   

Il 21 luglio Joe Biden si è ritirato come candidato democratico alla presidenza. È cambiata la polarizzazione emotiva, ora che Kamala Harris e Donald Trump sono in corsa l’uno contro l’altro?

Non per il repubblicano Tariq Dennison. Ha l’impressione che anche nella corsa tra Kamala Harris e Donald Trump, “forse il 60-80% degli americani” si stia chiedendo se questi siano davvero i candidati migliori su una popolazione di circa 340 milioni di persone.

Parlando con coloro che vogliono votare per Harris, Dennison ha l’impressione che la maggior parte preferirebbe votare contro Trump piuttosto che per la candidata democratica. Non ha ancora incontrato nessuno che sostenga con orgoglio Kamala Harris per il suo programma politico e le sue qualità di leadership. “Lo trovo un po’ sconcertante”, dice Dennison.

Per Sue Rickenbacher, qualcosa è davvero cambiato: “Sento che la polarizzazione emotiva è completamente diversa rispetto alla combinazione Trump-Biden”. I “due uomini” si erano ritratti a vicenda “come un pericolo per il mondo”. Kamala Harris si attiene a un “messaggio positivo e lungimirante”. Trump, invece, si presenta come “un bullo, non uno statista”. In “un mondo perfetto”, Harris non sarebbe la sua scelta. Ma Rickenbacher voterà per lei.

La democratica Liz Voss era presente alla convention del Partito Democratico a Chicago. L’atmosfera era elettrica. Anche lei ritiene che la polarizzazione emotiva sia “un po’ scemata”. Il motivo: “Gli elettori sono contenti che ci sia un cambiamento rispetto al 2020”

L’attacco ha scioccato l’americana residente in Svizzera. “Ma d’altra parte, se si pensa alla retorica violenta di Trump o all’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021, non c’è da sorprendersi. La persona sbagliata sente questo e si sente giustificata a compiere un attacco”. 

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“Non sento di poter comunicare apertamente con tutti perché non sai mai da che parte sta la gente e la situazione è così carica di emozioni che non è molto piacevole”, dice Sue Rickenbacher. Vera Leysinger / Swi Swissinfo.ch

Sue Rickenbacher ha votato per George W. Bush e Barack Obama 

Non parla come una conservatrice, ma non è d’accordo con tutte le politiche dei Democratici. Vorrebbe scegliere un repubblicano moderato: Chris Christie, Nikki Haley o John Kasich avrebbero tutti ottenuto il suo voto se si fossero candidati. 

Secondo Rickenbacher, invece, i candidati in lizza sono “molto polarizzati”. Lei vuole stare al centro. La direttrice di marketing in pensione è un’orgogliosa elettrice indipendente. 

L’atmosfera tesa coinvolge anche la sua vita privata. “Non posso più parlare di politica con mio cognato. Lui pensa che le ultime elezioni siano state rubate”, dice. Rickenbacher ha già perso un amico a causa dell’elezione di Obama. 

Raramente si lascia coinvolgere in discussioni online. Quasi tutti gli americani che vede regolarmente non sono sostenitori di Trump, perché la maggior parte dei cittadini e delle cittadine statunitensi in Svizzera sono liberali. Rickenbacher è convinta che ciò sia dovuto alla prospettiva più ampia che si acquisisce quando si vive all’estero. In Svizzera, ad esempio, si impara ad apprezzare il sistema sanitario pubblico, dice. 

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Sue Rickenbacher vive nella Confederazione dagli anni Novanta. Dei tre statunitensi con cui SWI swissinfo.ch ha parlato di polarizzazione affettiva, è quella che ha vissuto più a lungo fuori dagli Stati Uniti. 

Quando la polarizzazione non si riferisce solo a una divergenza su questioni concrete, ma descrive anche una spaccatura emotiva tra gruppi, si parla di polarizzazione affettiva o emozionale. Ad esempio, un repubblicano potrebbe pensare che chiunque sia democratico sia una cattiva persona e viceversa. 

Gli economisti politici Alois Stutzer e Benjamin Jansen hanno studiato la polarizzazione affettiva in Svizzera sulla base di un sondaggio della Radiotelevisione svizzera. Hanno scoperto che questa polarizzazione non è aumentata negli ultimi 20 anni. 

I risultati erano in contrasto con le aspettative di Stutzer. “Sono rimasto sorpreso dai risultati”, afferma. “Pensavo che il cambiamento dello stile politico avrebbe lasciato il segno”. L’ipotesi iniziale era stata formulata a causa delle “campagne politiche che miravano ad aprire o almeno ad alimentare le spaccature”. 

Liz Voss fa campagna elettorale per i Democratici 

Liz Voss dice di aver ricevuto volantini dell’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice) che la facevano sentire sgradita in Svizzera. Ma ad Allschwil, vicino a Basilea, si sente a casa. Voss è una convinta democratica ed è impegnata con i Democratici all’estero. Anche se Biden non è il suo candidato preferito, quest’anno ha un grande progetto: mobilitarsi per la sua rielezione. Vuole assicurarsi che la fetta più grande possibile dell’elettorato democratico e moderato vada a votare. L’emigrata americana uole mantenere questo obiettivo anche dopo l’attacco a Trump. Invece di partecipare alla “crescente spaccatura”, parla della necessità di leggi più severe in materia di armi da fuoco. 

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“Sono fortunata perché la maggior parte della mia famiglia e dei miei amici più stretti negli Stati Uniti sono democratici o liberali”, dice Liz Voss. Vera Leysinger / Swi Swissinfo.ch

Parlando con Voss, appare chiaro che si tratta di un’attivista impegnata. Un “certo grado di polarizzazione emotiva” può certamente stimolare la democrazia, spiega Benjamin Jansen, economista politico. Chi è “emotivamente polarizzato” è più propenso a votare o a diventare politicamente attivo. 

Secondo il suo collega Alois Stutzer, la polarizzazione affettiva diventa “critica” “quando i cittadini e le cittadine emotivamente polarizzati rieleggono i politici del ‘loro’ partito anche quando si comportano male”. 

A differenza della Svizzera, però, la polarizzazione affettiva è cresciuta notevolmente negli Stati Uniti. “Negli Stati Uniti, il ‘noi contro loro’ è facile”, afferma Stutzer. Questo, secondo lui, è dovuto al sistema bipartitico, perché senza un terzo partito esterno, “la comunicazione politica che sminuisce l’altra parte diventa una strategia attraente”. 

Secondo le osservazioni di Stutzer, “l’identificazione con il proprio partito e la demarcazione dai sostenitori dell’altro” caratterizza sempre più “la vita privata quotidiana”. Mentre un genero di religione diversa, ad esempio, è oggi un problema minore, “un’appartenenza partitica divergente è un problema molto più grande”. 

Voss si dice felice di avere a che fare quasi esclusivamente con democratici statunitensi. Allo stesso tempo, apprezza il fatto di avere più incontri casuali nella sua vita quotidiana in Svizzera. Negli Stati Uniti si spostava “dalla porta di casa all’automobile, dall’automobile all’ufficio” e non incontrava quasi nessuno al di fuori dei colleghi e delle colleghe di lavoro. L’unico modo per convincere chi la pensa diversamente è però il dialogo personale, dice. Per questo motivo, è preoccupata che molti dibattiti si siano spostati su Internet. 

Quando parla con membri della famiglia che la pensano diversamente dal punto di vista politico, la donna si rende conto di quanto sia difficile una comunicazione ricca di sfumature su Internet. Evita il confronto oltreoceano. “È meglio non combattere i conflitti a distanza perché mancano alcuni livelli di comunicazione, come il linguaggio del corpo”, afferma. 

Una questione che preoccupa profondamente Voss è l’accesso all’aborto. Fa riferimento a sondaggi secondo cui una chiara maggioranza di statunitensi è favorevole all’interruzione di gravidanza legale e lei stessa considera inaccettabile il divieto in alcuni Stati degli USA. “Non ho intenzione di stare a guardare mentre vengono tolti i diritti a mia nipote. Mia figlia vive qui, ma ha anche un passaporto statunitense”. 

Per Voss la Svizzera è un Paese caratterizzato dalla diversità politica. “Ammiro il panorama politico e il fatto che ci siano così tanti partiti diversi”, afferma. Nonostante la sua posizione , vorrebbe vedere una terza formazione politica moderata negli Stati Uniti. “I due partiti sono così tanto a sinistra o a destra che non c’è più un denominatore comune”, afferma. Per questo motivo, spera in un partito centrista che possa facilitare i compromessi e ammorbidire le discussioni in un clima così acceso. 

Il parco di Allschwil è vuoto, e per questo Voss ride quando le chiedono se la Svizzera è più tranquilla. Sì, lo è, dice. Ma allo stesso tempo non incontra americani che la pensano in modo completamente diverso. Non conosce nessun repubblicano nella Confederazione. Probabilmente perché non ce ne sono in gran numero. 

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“In generale, gli Stati Uniti hanno istituzioni solide”, afferma Tariq Dennison. Vera Leysinger / Swi Swissinfo.ch

Tariq Dennison è uno di questi. Dennison siede con una bottiglia di Rivella nel ristorante biologico del suo vicino di casa a Weinfelden, una piccola città in Turgovia. La famiglia, la fede, l’idea di “eccezionalità statunitense” e la costruzione di un’attività in proprio hanno plasmato il suo percorso per diventare un “classico conservatore americano”, dice. 

Parla della sua crescita nelle basi militari statunitensi nella Germania occidentale della Guerra fredda, del suo primo ricordo politico – la campagna elettorale del 1984, vinta a mani basse da Ronald Reagan – e del suo entusiasmo per i dibattiti, che ha portato avanti al liceo. 

Questo aspetto diventa chiaro durante la conversazione. Indipendentemente dall’argomento, Dennison, un economista, elenca i pro e i contro prima di giungere alla sua conclusione. Anche sul tema molto sentito dell’aborto. È favorevole a “soluzioni razionali e pragmatiche”. Da un lato, “crede fermamente nel valore della vita”, ma dall’altro è anche sensibile alle “molte ragioni per cui gli elettori non sono d’accordo con una posizione a favore della vita”. 

Dennison ritiene che l’aborto all’ottavo mese “possa essere indiscutibilmente considerato un omicidio” – ad eccezione di “casi difficili” in cui la vita della madre è in pericolo. “È uno dei doveri di un Governo morale proteggere la vita da tali sofferenze”. Per quanto riguarda “tutti i casi meno estremi e le sfumature di grigio”, tuttavia, Dennison vorrebbe vedere un “ritorno alle discussioni razionali”. Ritiene che alla fine tutti sarebbero d’accordo sul fatto che un mondo con meno aborti sarebbe migliore. 

Per quanto il suo giudizio sia equilibrato, Dennison si aspetta altre qualità da un presidente degli Stati Uniti. Critica Obama per aver scelto una dirigenza “leading from behind” (lett. “guidare stando dietro”, ossia comandare senza esporsi, senza mettersi in primo piano, ndr). Obama era troppo preoccupato di ciò che l’Unione Europea a Bruxelles pensava di lui, dice. Al contrario, elogia Trump per il suo essere “smaccatamente America First”. Secondo Dennison, non si preoccupa di ciò che gli altri Governi vogliono da lui. 

Dennison non si considera un fan di Trump, ma ha votato per lui nel 2016 e nel 2020 e dice che intende votare di nuovo per lui nel 2024, “soprattutto dopo aver assistito al suo dibattito del 27 giugno contro l’attuale presidente, Joe Biden”. 

Al contempo, Dennison ritiene “molto spiacevole che la polarizzazione negli Stati Uniti sia peggiorata negli ultimi dieci anni, da quando Donald Trump è apparso sulla scena politica”. 

Nel corso dell’intervista, Dennison richiama più volte la storia americana. Alla domanda se un terzo partito o un nuovo sistema elettorale potrebbero risolvere il clima di tensione negli Stati Uniti, ricorda “ciò che è accaduto nelle elezioni multipartitiche del 1824, del 1912 e del 1992”. Questi sono esempi di “come i terzi partiti possano essere controproducenti nell’attuale sistema elettorale statunitense”, afferma. 

Descrive le idee dei padri fondatori statunitensi come “solidi pilastri” della sua posizione politica: vita, libertà, ricerca della felicità e diritti e doveri di un individuo di difendere la propria famiglia, la libertà e la proprietà. 

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“In generale, gli Stati Uniti hanno istituzioni solide”, afferma Dennison. Un sistema che è sopravvissuto a una guerra civile e a due guerre mondiali, “oltre a molte altre sfide”, non ha bisogno di grandi riforme. Il Congresso, il Senato e il potere giudiziario degli Stati Uniti controllano il presidente e possono “conciliare le priorità della popolazione americana meglio delle alternative”. 

Alla domanda sull’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021, Dennison descrive le persone coinvolte “come una gang, che anche molti elettori di Trump condannano”. Lui stesso è molto chiaro al riguardo: “Il nostro Paese dovrebbe essere al di sopra di una rivolta armata dopo la vittoria di un avversario politico”. 

Ma il suo atteggiamento nei confronti di quanto accaduto dopo le ultime elezioni americane fa sì che Dennison faccia parte di una minoranza tra chi sostiene il partito repubblicano negli Stati Uniti: il 60% dell’elettorato repubblicanoCollegamento esterno ritiene che le elezioni del 2020 siano state “rubate”. 

Anche nell’attuale campagna elettorale, TrumpCollegamento esterno ribadisce di aver vinto le elezioni quattro anni fa. 

“Qualsiasi sistema può fallire”, afferma Sue Rickenbacher. Liz Voss teme che Trump non accetti di nuovo la sconfitta e che si possa verificare una situazione simile a quella del 2021. Per Tariq Dennison, coloro che hanno preso d’assalto il Campidoglio in nome di Donald Trump sono una gang. 

Tutti e tre si rammaricano della portata della polarizzazione. Tutti e tre riconoscono che lo spostamento dei dibattiti sui social media è parte del problema e che l’apparizione di Trump sulla scena politica è stato il momento in cui la situazione ha raggiunto il culmine. Sorprendentemente, ci sono punti d’incontro tra tre persone con visioni diverse. 

L’economista politico Benjamin Jansen dell’Università di Basilea descrive la “polarizzazione affettiva dei partiti” la situazione nella quale “le persone simpatizzano più con il proprio partito che con gli altri partiti politici e i loro rispettivi membri”. Coloro che non provano simpatia o antipatia verso le persone a causa della loro affiliazione partitica “non sono quindi considerati polarizzati emotivamente e viceversa”. 

Secondo Jansen, può esserci una forte polarizzazione emotiva tra i gruppi anche se le differenze sostanziali non sono così grandi. Le opinioni diverse sono di per sé positive per una democrazia, per questo Jansen ritiene importante distinguere tra polarizzazione sostanziale e affettiva. Quest’ultima “rende più difficile lo scambio tra i gruppi. Le divergenze di contenuto non sono di per sé un problema per una democrazia; al contrario, rendono tale sistema produttivo in primo luogo”. 

Ma il motivo per cui si possono immaginare Sue Rickenbacher, tariq Dennison e Liz Voss in una discussione impegnata ma rispettosa è probabilmente perché tutti e tre condannano ciò che è accaduto dopo le ultime elezioni americane. Nel farlo, riconoscono la stessa realtà. 

Se i tre si incontrassero, probabilmente la discussione non sarebbe più emotiva di quanto non lo sia per il dibattito democratico,

A cura di Mark Livingston.

Tradotto con l’aiuto di DeepL/mrj.

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