Nell'età della pietra, le steppe dell'Eurasia erano abitate da migliaia di cavalli selvatici. Dichiarati estinti nel 1960, i Przewalski sono stati reintrodotti in Mongolia grazie anche a un'associazione di ricercatori con sede in Svizzera.
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Non sempre la scomparsa di una specie è un fenomeno irreversibile. In Svizzera, ad esempio, è stato reintrodotto lo stambecco, scomparso nel 1809, così come i castori, le linci e i gipeti. E questo grazie al fatto che nei paesi limitrofi esistevano ancora popolazioni sane. È stato invece molto più difficile proteggere il destino del Przewalski, l’unica specie di cavallo selvatico sopravvissuta.
Nell’età della pietra, i cavalli selvatici erano molto diffusi nelle steppe dell’Eurasia. Gli artisti preistorici li ritraevano sulle pareti delle caverne – e li cacciavano. Così, nei millenni successivi, questi animali hanno lasciato l’Europa per tornare ad occupare le terre dell’Asia. Le popolazioni mongole consideravano sacri i cavalli selvatici, chiamati «Takhi». Ciò non significa però che fossero al riparo dai cacciatori e dai cambiamenti ambientali, al punto che nel 1960 la specie è stata dichiarata ufficialmente estinta.
Esiste tuttavia un barlume di speranza: le popolazioni presenti nei vari zoo del mondo. Basteranno per salvare un’intera specie? Alcuni ricercatori e ambientalisti stanno cercando di scoprirlo, grazie a un programma di riproduzione e reintegrazione degli animali nel loro habitat naturale, condotto grazie anche all’associazione International Takhi Group, con sede in Svizzera.
A partire dal 1992 sono state «ricostruite» tre mandrie. Nati negli zoo, gli animali hanno prima di tutto dovuto imparare a vivere nell’habitat naturale. Gli ultimi esemplari sono stati portati in Mongolia nel 2016, grazie al contributo della biologa elvetica Claudia Feh. Assieme ad altri colleghi ricercatori, Claudia Feh è inoltre riuscita a sequenziare il codice genetico del cavallo Przewalski, ciò che apre nuove speranze per una sopravvivenza della specie.
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